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Che cos’è il brain drain?

Per comprendere correttamente in cosa consista il BD e non cadere in luoghi co- muni generalisti e superficiali, è importante distinguere preliminarmente quest’ultimo dalla “brain circulation” (BC) e dal “brain exchange”1 (BE). Prima di vedere in concreto cosa indichino questi termini, è necessario però riflettere ancora su alcuni aspetti. In- tanto potremmo affermare che la BC e il BE rappresentano forme particolari di mobi- lità della popolazione, senza che ciò assuma a priori una valenza positiva o negativa. In un mondo sempre più globalizzato, ove cioè le interdipendenze settoriali e le relazioni tra diverse aree e soggetti si fanno sempre più intense ed agevolate anche dalla facilità

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Altri termini che vengono spesso utilizzati per descrivere il fenomeno sono: “brain overflow” o “human capital

flight” (Khadria, 2001). Si fa presente che, nella letteratura sul tema, esiste un certo dibattito anche su cosa esat-

tamente si debba intendere per “cervelli”; ad esempio, nel bacino europeo, con la diffusione dell’istruzione uni- versitaria almeno di primo livello, resta il dubbio se considerare quest’ultimo già sufficiente per poter parlare di cervelli, senza contare poi che il possesso di un titolo d’istruzione superiore non implica automaticamente che ci si trovi di fronte a un cosiddetto “cervello”. Si registra cioè la necessità di misurare la produttività effettiva dello stesso, ma su questi argomenti si avrà modo di ritornare in seguito.

113 “Nuovi” processi migratori in Italia

(tecnica ed economica) degli spostamenti, ciò non appare certo un fatto sorprendente2 . L’effetto di drenaggio di risorse si verifica allora quando l’uscita dei cervelli da un dato territorio non è riequilibrata da un flusso in entrata analogo sia quantitativamente che qualitativamente. Altri fattori che possono qualificare il fenomeno in senso negativo sono l’età prevalente dei cervelli (giovani, che si può desumere anche dall’HSER, Highly Skilled Expatriation Rate articolato per età3) correlata magari ad un alto tasso di disoccupazione giovanile nel Paese d’origine assieme a una serie di indicatori di caratte- re macroeconomico (ad es. stagnazione o rallentamenti significativi nel tasso di crescita del PIL, ecc.) che denunciano la perdita di dinamismo dell’economia del territorio di riferimento. Tutti questi “indizi” vanno poi messi in relazione con l’andamento delle stesse variabili in altri territori e, specificatamente, in quelli che ricevono i flussi dei giovani “talentosi”.

In effetti, in passato, il termine BD è stato utilizzato per descrivere un fenomeno ben preciso: il flusso di persone laureate o comunque con un’elevata specializzazione, che abbandonavano i Paesi in via di Sviluppo (Meyer, 2001; Bhagwati, Hamada, 1974) per trasferirsi definitivamente nelle aree più ricche del mondo, dove spesso ave- vano anche conseguito i loro titoli e specializzazioni (visione nazionalista). Questo pro- cesso era però diverso da quello che si osserva oggi per alcuni aspetti piuttosto rilevan- ti. In passato, c’era una forte chiarezza su quali fossero le aree di origine dei flussi (il Sud del mondo identificato dalla linea Brandt) e quali quelle di destinazione (USA, Europa, Australia). Ciò significa che una volta le gerarchie territoriali erano molto più nette e stabili nel tempo di quanto non lo siano oggi. Attualmente questa situazione è più polivalente, con aree – come quella italiana – che, almeno secondo certi indicatori, faticano a continuare ad essere annoverate tra le aree forti e dinamiche e nuovi e poten- ti attori territoriali emersi o emergenti.

Già da questi primi cenni si comprende che delimitare il fenomeno da un punto di vista concettuale è tutt’altro che agevole. Bisogna trovare il modo di armonizzare una visione di tipo macro-sociale con una di stampo micro-sociale. La prima, sopra richia- mata, appare evidentemente legata alle dinamiche globali che vedono competere i ter- ritori come nuovi attori nello scenario economico mondiale; la seconda risulta più le- gata ad approcci di tipo intimistico, diretti alla lettura delle motivazioni individuali e, quindi, alla sfera della soggettività. Queste riflessioni, facendosi strada nell’evoluzione degli studi sul tema, hanno condotto all’affermarsi di una visione intermedia tra quella nazionalista e quella internazionalista, detta “standard view” (Beltrame, 2007). Essa identifica il BD come un processo di migrazione di persone qualificate, che avviene di solito da Paesi economicamente meno sviluppati verso quelli più sviluppati o con eco- nomie in crescita4

, dovuto alle scelte individuali di persone che vogliono massimizzare il “valore d’uso” della loro istruzione, al netto dei costi di trasferimento all’estero.

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Questo tipo di interpretazione del fenomeno è noto in letteratura come “visione internazionalista” (Boulier, 1999, Boussaid, 1998).

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Cfr. Beltrame, 2007.

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Si noti la finezza stilistica nel distinguere ormai tra i concetti di Paese con un’economia in crescita e Paese svi- luppato. Se la prima tipologia è ben chiara, la seconda resta ben più difficile da definire.

114 FRANCESCA KRASNA

A questo punto possiamo introdurre una definizione più precisa ed articolata del fenomeno che stiamo trattando. Oltre al BD (A), come sopra indicato, si distingue allora tra (OECD, 1997):

- “brain exchange”: quando i flussi di scambio di “cervelli” tra i Paesi coinvolti tendo- no ad essere equilibrati per entità e qualità delle risorse umane scambiate; (B) - “brain circulation”: quando lo spostamento all’estero è concepito fin dall’inizio del

progetto migratorio come un’esperienza transitoria, volta a completare ed arricchire il proprio curriculum nell’ottica di spenderne il valore, ai fini della carriera, al mo- mento del rientro nel Paese d’origine; (C)

- “brain waste”: quando soggetti altamente qualificati vengono adibiti a ruoli che richiedono competenze inferiori, indipendentemente da un processo migratorio. (D).

Nel presente studio si intende concentrare l’analisi sulle migrazioni di cervelli ita- liani all’estero per capire a quale tipologia esse appartengano o meglio come si riparti- scano tra le categorie summenzionate (A, B, C). L’ultima tipologia (D) non verrà con- siderata ai fini dell’analisi, perché essa esula dal contesto di questo studio. Si ricorda, infatti, che il nostro scopo è proprio quello di capire se l’uscita di talenti (skilled wor- kers) dal nostro Paese possa essere considerata equilibrata (rispetto ai flussi in entrata) e quindi un aspetto particolare, ma non patologico, della globalizzazione o se invece non sia d’ascrivere ad un tendenziale “declino” della competitività socio-territoriale e quindi economica del sistema Italia, che andrebbe esprimendosi anche attraverso l’incapacità strutturale di inserire e valorizzare occupazionalmente le proprie forze lavoro migliori.