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LA TENSIONE CULTURALE DELLA GERUSALEMME LIBERATA

4. L’ORIENTALISMO IN TORQUATO TASSO PRESENTAZIONE E ANALISI DI QUATTRO CANTI SCELTI DALLA GERUSALEMME LIBERATA

4.3 LA TENSIONE CULTURALE DELLA GERUSALEMME LIBERATA

Nel capitolo introduttivo Edward Said era stato definito un “intellettuale ibrido, sospeso fra due identità culturali apparentemente distanti” e, secondo la citata 76

definizione di Brugnolo, “un intellettuale di frontiera”. Ciò perché il pensiero di Said si costruisce fra due mondi geografici, quello occidentale e quello orientale, a metà quindi fra due ideologie e sistemi culturali.

Con le dovute proporzioni e differenze potremmo definire anche Torquato Tasso un intellettuale ibrido e di frontiera. In lui, al contrario di Said, non incidono i diversi contesti geografici, bensì il mutare del contesto storico e culturale di appartenenza.

Lanfranco Caretti nel saggio Ariosto e Tasso parla del “bifrontismo culturale” 77

nel Tasso come di un fenomeno trasversale che non solo investe tutta la

Liberata su vari livelli, ma turba anche la psicologia e la vita dell’autore stesso. Il

poema di Tasso è quindi il prodotto della tensione ideologica fra il Rinascimento, superato ma di cui Tasso è comunque figlio, e i canoni rigidi della Controriforma, cui l’autore vuole attenersi.

“È il periodo in cui la poesia tassiana riflette il caldo riverbero dell'eredità rinascimentale, ancora operante nelle coscienze dei suoi contemporanei, e viene arditamente innestandovi lo spirito nuovo e inquieto d'una età percossa dall'urto violento della Riforma e intimamente desiderosa d'una sincera «renovatio» morale.” 78

Solamente questo sarebbe sufficiente per far cadere le argomentazioni di Said secondo le quali la Liberata è anch’essa il prodotto, e il veicolo ideologico di una letteratura propagandistica avversa all’Oriente. Poiché la visione dell’alterità orientale che emerge nel poema tassiano infatti è la conseguenza, non la causa, della tensione storico - culturale cui l’opera è soggetta e che riguarda, fondamentalmente, solo, e soltanto, l’Europa e il mondo cristiano.

Cfr. p. 31 76

L. Caretti, Ariosto e Tasso, Einaudi, Torino, 1970. Da qui in poi tutte le citazioni di 77

questo libro provengono dalle pp. 61-68 Ibidem

È certamente vero che nel poema di Tasso è presente l'idea di superiorità religiosa ed etica dei cristiani sui musulmani, a differenza ad esempio del

Furioso di Ariosto con cui Caretti confronta la Liberata e in cui l'opposizione

ideologica delle due religioni faceva solo da sfondo all’opera. Tuttavia gli stereotipi che emergono, oltre ad essere inevitabilmente figli di un clima culturale di transizione come l’epoca di Tasso, sono parte di un impianto artistico più ampio, veicolo non di propaganda, ma di letteratura, in quanto, come abbiamo già detto, è presente anche una critica alla cultura egemone e un’immedesimazione dell’autore nelle istanze dei vinti, e in generale di coloro che sono considerati inferiori.

“Perché il Tasso in effetti ci appare piuttosto, una volta resecate le punte estreme e particolarmente eccentriche della sua personalità, uno dei più partecipanti e suggestivi protagonisti dell'inquieta epoca sua, con la quale ebbe quegli stessi rapporti di dare e di avere, cioè quelle costanti e ineliminabili trasfusioni, che in certi artisti, appartenenti ad età più serene e stabili, sortiscono effetti di felice consonanza, mentre in altri, destinati a vivere in tempi labili e problematici generano una intricata trama di incontri e scontri, un difficile accordo costantemente insidiato e tuttavia solo apparentemente eluso.” 79

Il conflitto fra Oriente e Occidente, come si è accennato, è specchio, oltre che del piano manifestamente religioso, anche di quello storico: nello specifico l’epoca contemporanea a Tasso, con tutte le sue contraddizioni e tensioni interne. Riformulando il “bifrontismo” carettiano, Zatti afferma che la lotta fra 80

Pagani e Crociati è emblema di una lotta egemonica fra due codici culturali differenti, fra due sistemi di valori antitetici. I Pagani si richiamano agli ideali di un umanesimo laico, materialista e pluralista, i Crociati invece sono portatori dell’autoritarismo religioso della Controriforma.

Lo scontro reale nella Liberata quindi si gioca fra due diverse istanze antitetiche, ma interne alla medesima società e cultura, in particolare quella occidentale-cristiana. Illuminante prova di questa argomentazione è che in effetti a scontrarsi sul campo di battaglia non sono Dio e “Maometto”, bensì Dio

Ibidem 79

S. Zatti, L’uniforme cristiano e il multiforme pagano; pp. 12-13 80

e Satana, ovvero, non gli esponenti delle due religioni contrapposte sul campo di battaglia, ma la verità cristiana ed il suo profondo elemento di negazione, il Cristo e l’Anticristo. Due istanze interne al mondo cristiano, due volti della stessa medaglia.

Questa dissertazione è perfettamente coerente con l’analisi già citata di Brugnolo, secondo il quale nel momento in cui l’Occidente parla e descrive l’Oriente, lo fa per parlare e descrivere se stesso in negativo e articolare una critica ai suoi valori portanti e una messa in discussione del proprio ruolo. Anche in questo caso perciò l’Oriente è una sorta di alibi occidentale utilizzato come velo per coprire ma anche lasciar trapelare sotto una luce opaca le proprie aporie, tensioni culturali e incongruenze.

Il bifrontismo di Tasso è anche, in definitiva, una posizione psicologica dell’autore, figlia delle tensioni della propria epoca e ha come terreno di dispiegamento e sfogo l’ideale contesto narrativo della Liberata. Da ciò possiamo ben comprendere come sia possibile l’esistenza di personaggi, come quello di Clorinda, che ci apprestiamo ad analizzare, con una connotazione identitaria sospesa fra le due fazioni in gioco, le quali, abbiamo visto, non sono altro che due differenti visioni di una medesima istanza.

4.4 CANTO IV

Il canto IV della Liberata presenta delle peculiarità in parte già esposte in precedenza e mostra come Tasso, attraverso il lungo e argomentato discorso di Lucifero che spicca per maestria retorica, tratti con severità e nascosto consenso le istanze dei vinti.

I demoni si adunano a concilio, governati da Plutone, che parla nel silenzio assoluto, per trovar modo d'impedire l'impresa dei Crociati, esponendo argomentazioni fondamentali per lo studio del nostro tema.

Successivamente, istigato dai demoni, il mago Idraote, che governa la città di Damasco e la zona circostante, ordina alla bellissima Armida, sua nipote, di recarsi nel campo cristiano, in apparenza per chiedere aiuto e soccorso, in

realtà per distogliere i crociati dalla guerra, cercando di attrarre a sé, con la propria sensualità femminile e le sue arti magiche, i più valorosi guerrieri.

Quando Armida arriva nel campo cristiano, tutti restano estasiati davanti alla sua bellezza: le si fa incontro Eustazio, che le rivolge la parola e la conduce da Goffredo di Buglione, al quale la donna racconta falsamente le peripezie della sua vita e si raccomanda chiedendo di essere salvata e aiutata a riconquistare il regno perduto di Damasco. Goffredo promette di aiutarla solamente dopo aver liberato Gerusalemme dagli infedeli. Armida allora prorompe in pianto lamentando il suo destino avverso e il fatto che le viene negato l'aiuto richiesto e sperato. Eustazio tuttavia non rimane insensibile a questo, finto, pianto e parla in suo favore, chiedendo che le siano concessi dieci cavalieri scelti, altrimenti egli stesso avrebbe rifiutato d'ora in poi di combattere. Il dono viene infine concesso, anche se la volontà di Goffredo era diversa, e così Eustazio può promettere il proprio aiuto ad Armida, che dispiega tutte le sue arti ammaliatrici nei confronti dei dieci cavalieri.

Il canto si presenta articolato in tre grandi sezioni, la prima (ottave I - XIX) contiene, come detto, il discorso di Lucifero ai propri sudditi, la seconda (ottave XX - XXVII) la figura del mago Idraote che architetta un piano contro i crociati grazie a sua nipote Armida. La terza, lunga, sezione (ottave XVIII - XCVI) è invece la messa in opera dell’inganno ai danni dell’esercito cristiano per mezzo delle arti di Armida.

Non si può ignorare che il canto abbia degli evidenti echi virgiliani, in quanto la descrizione del concilio infernale riecheggia quella dell'Ade pagano dell'Eneide , ovvero del libro VI, in cui Enea scende negli Inferi accompagnato 81 dalla Sibilla. La "tartarea tromba" (ottava III, verso 2) ricorda Eneide, VI, vv. 513-515, mentre l'elenco dei mostruosi abitanti dell’Ade pagano all'ottava 5 è una ripresa di Eneide, VI, vv. 286-289. Vi sono poi numerosi rimandi all'Inferno dantesco, a cominciare dal verso 6 della prima ottava che ricorda Inferno , 82 XXXIII, verso 58 ("ambo le mani per dolor mi morsi"), mentre "fuor volando a

P. M. Virgilio, Eneide, a cura di A. La Penna, trad. e note a cura di R. Scarcia, BUR - 81

Rizzoli, Milano, 2008. Le successive citazioni dell’Eneide provengono da questa edizione.

D. Alighieri, Commedia - Inferno, a cura di A. M. Chiavacci Leonardi, Mondadori, 82

riveder le stelle" (ottava XVIII, verso 3) è un'evidente ripresa di Inferno, XXXIV, verso 139.

Lucifero è definito anche Plutone, altro richiamo classico, e si presenta come avversario irriducibile di Cristo, il quale è sceso all'Inferno dopo essere risorto per abbatterne le porte e trarne le anime dei patriarchi biblici destinati al paradiso, elemento presente anche in Dante (ad esempio in Inferno, XII, 38-39, "colui che la gran preda / levò a Dite", riferito appunto a Cristo trionfante). Il re dei demoni è poi descritto come un mostro gigantesco e terribile, cornuto, con una lunga barba e un'orrenda bocca dalla quale fuoriescono fiati maligni, una descrizione che tende piuttosto all’orrido e al grottesco, e rientra a pieno titolo nello stile letterario della Controriforma, ai cui canoni letterari Tasso voleva attenersi.

Il canto si presenta dunque ricco di azione e spunti narrativi, tuttavia il focus della nostra analisi orientalista si indirizza maggiormente sulla prima parte del testo, fittamente intessuta di elementi importanti e degni di esame.

«Tartarei numi, di seder piú degni là sovra il sole, ond'è l'origin vostra,

che meco già da i piú felici regni spinse il gran caso in questa orribil chiostra,

gli antichi altrui sospetti e i feri sdegni noti son troppo, e l'alta impresa nostra;

or Colui regge a suo voler le stelle, e noi siam giudicate alme rubelle.

Il discorso di Satana inizia argomentando che solo il “gran caso”, ovvero l’esito di una guerra, differenzia i demoni dagli abitanti dei cieli, dei quali sono originari.

Come fa notare Zatti questo concetto è molto interessante, in quanto 83

presuppone che il divario fra il bene ed il male, fra la virtù ed il peccato non sia di origine morale, bensì sia dipesa solamente dagli esiti di un conflitto bellico fra due fazioni, tra le quali la vincitrice ha imposto il proprio dominio ai vinti, senza che alcun principio di forza superiore o trascendentale supportasse a priori la causa cristiana. Da ciò discende che la parola che nella Bibbia si è fatta Verbo e si è pretesa Legge non sia altro che un valore relativo, anziché assoluto come pretende di essere, essendo la versione dei fatti dell’esercito dei vincitori.

S. Zatti, Dalla parte di Satana - Sull’Imperialismo in Tasso; p. 147 83

Andando avanti, all’ottava XIII, leggiamo:

Noi trarrem neghittosi i giorni e l'ore, né degna cura fia che 'l cor n'accenda?

e soffrirem che forza ognor maggiore il suo popol fedele in Asia prenda? e che Giudea soggioghi? e che 'l suo onore,

che 'l nome suo piú si dilati e stenda? che suoni in altre lingue, e in altri carmi si scriva, e incida in novi bronzi e marmi?

Le preoccupazioni di Satana d’altra parte sono tutt’altro che filosofiche o ideologiche, invece appartengono alla dimensione materiale e militare, egli teme di dover passare con la sua corte le giornate in ozio se tutti i popoli asiatici che lo venerano verrano sterminati o si convertiranno.

Inoltre nella seconda parte della tredicesima ottava si esprime proprio come un duce militare nei confronti dei suoi generali prima di una battaglia. Teme infatti che la fede in Cristo si estenda in Asia e conquisti la Giudea, ingrandendo la potenza cristiana e sminuendo la propria.

Che sian gl'idoli nostri a terra sparsi? ch'i nostri altari il mondo a lui converta?

ch'a lui sospesi i voti, a lui sol arsi siano gl'incensi, ed auro e mirra offerta?

ch'ove a noi tempio non solea serrarsi, or via non resti a l'arti nostre aperta?

che di tant'alme il solito tributo ne manchi, e in vòto regno alberghi Pluto?

Ancora, continua il medesimo ragionamento nell’ottava XIV, mostrandosi infuriato per l’eventuale perdita di offerte, mirra, incensi e alloro, che non gli verrebbero più tributati, per la futura ed eventuale mancanza di anime per popolare il suo regno.

Argomenta ancora Zatti che quello di Satana è un vero e proprio revisionismo 84

biblico ridotto ad un relativismo romanzesco, dove la definizione di Bene e Male, di Verità ed Errore non è nient’altro che la conseguenza di uno scontro militare.

S. Zatti, Dalla parte di Satana - Sull’Imperialismo in Tasso; p. 151 84

Il discorso di Satana, così lucidamente razionale e retoricamente incalzante si può leggere come la volontà dell’autore di levare una critica all’imperialismo cristiano nei confronti dei popoli orientali. Satana infatti si lamenta delle ingerenze nei propri “territori”, quali l’Asia e la Giudea, affermando addirittura che Dio ha osato entrare nel suo regno infernale, porvi le proprie insegne e salvarne, rubarne, anime da portare in Cielo:

e porre osò ne' regni nostri il piede, e trarne l'alme a noi dovute in sorte,

e riportarne al Ciel sí ricche prede, vincitor trionfando, e in nostro scherno

l'insegne ivi spiegar del vinto Inferno.

Satana argomenta così bene il discorso alle proprie ragioni da mostrare come egli sia la vittima della fazione avversa che ha attuato delle vere e proprie usurpazioni e azioni atte anche ad umiliare il contendente, entrando addirittura nell’Inferno.

Posto che, come detto, il canto sia una lucida invettiva contro l’imperialismo europeo e cristiano, Tasso lo mantiene nell’ambiguità facendo dire tali parole da Satana, e non potrebbe essere altrimenti, in effetti. Così, se l’enunciato è quasi rivoluzionario, in quanto si scaglia contro un comportamento della propria cultura di appartenenza, è al contempo attenuato dall’autorità che lo enuncia, autorità diabolica che proprio in quanto tale non può godere di un credito sufficiente a essere creduta dai lettori di Tasso.

È come se, per usare una calzante espressione colloquiale, Tasso con queste parole volesse mettere “la pulce nell’orecchio” del proprio lettore attento e perspicace, senza tuttavia scandalizzarlo, in quanto tali parole, seppur verosimili e veritiere, sono dette da qualcuno che non può essere creduto e del quale si deve diffidare.

Questa chiave di lettura più profonda sconfessa una superficiale lettura orientalista che, seguendo il paradigma di Said, tenderebbe a criticare l’associazione dell’Oriente con il Male, e il supporto di Satana, incarnazione di peccato e malvagità, alla fede musulmana.

Quest’ultima tendenza è tuttavia conforme alla rappresentazione negativa e distorta della religione musulmana da parte di vari testi dell'età della Controriforma che vedeva l’Islam come una sorta di eresia.

Inoltre dei musulmani è detto che sono pagani adoratori di idoli, dediti a pratiche magiche e riti oscuri, sovente confusi, volontariamente o meno, con pratiche sataniche. Detto ciò è vero che questi stereotipi sono effettivamente presenti nel testo, tuttavia, enunciati da Satana, appaiono quasi ridicoli e grotteschi.

L’effetto che si vuol suscitare non è quello di cedervi, ma quello di disvelare tali pregiudizi e relegarli nella dimensione dell’irrealtà, mettere in luce la loro assurdità, allo stesso modo in cui aveva criticato l’imperialismo cristiano ed occidentale.

Risalendo a ritroso nella Liberata, la descrizione degli infedeli musulmani come pagani idolatri e blasfemi rispetto alla fede cristiana era già evidente nell'episodio di Olindo e Sofronia del canto II, in cui il mago Ismeno sottrae un'immagine sacra della Vergine per compiere un rito magico che danneggerà i Crociati.

Infine, sebbene la parte iniziale dell’ottava sia quella fondamentale per disvelare il rapporto fra Oriente e Occidente, è anche interessante fare alcune considerazioni sulla restante porzione del canto.

La protagonista indiscussa del prosieguo della narrazione è indubbiamente Armida, scelta da Idraote per architettare un inganno ai danni dei crociati. Ancora una volta è interessante notare come l’Oriente si incarni in un personaggio femminile, dopo gli esempi qui trattati di Alatiel e Clorinda, e la femminilità sia a sua volta emblema di rovinoso inganno.

Armida infatti prova convincere i soldati cristiani delle proprie buone intenzioni con il pianto, la supplica e la seduzione derivante dalla propria bellezza. Di fronte a questa messinscena non cede facilmente però Goffredo, il quale si dimostra ancora una volta campione di granitica integrità, che viene meno solo dopo l’insistente richiesta di Eustazio, egli sì condizionato dalle arti magiche di Armida.

Pure in questo caso vediamo quindi un Oriente femminile e incantatore che prova, e riesce, ad attrarre l’Occidente verso i propri desideri, un Oriente femminile che fa leva sugli impulsi sensuali di un Occidente maschile impossibilitato a resistervi del tutto.

4.5 CANTO XII

Il canto dodicesimo è sicuramente uno dei più celebri dell’intera Liberata, in quanto contiene, nei suoi 840 versi, moltissimi elementi di riflessione utili per il nostro tema; prima di passare ad analizzarlo, è opportuna una panoramica sulla trama per esporne le vicende.

La scena si apre in notturna, nel momento in cui Clorinda assiste con Argante al febbrile lavoro per rimettere in sesto le difese e riparare le mura. A notte fonda la guerriera promette a se stessa che incendierà la grande torre dei Cristiani, Argante dal canto suo le promette supporto e appoggio nell’impresa. I due, concordi, si recano dal re Aladino per esporgli il loro piano al quale si offre di partecipare anche Solimano, tuttavia il re lo dissuade dal prendere parte all’impresa. Il mago Ismeno chiede che attendano qualche ora in modo da preparare un miscuglio che possa incendiare bene la torre.

Mentre Clorinda si prepara per l’impresa, Arsete, suo fedele servitore da una vita, le chiede, inutilmente, di rinunciare al progetto; le svela allora quali sono le sue vere origini: figlia di Senapo, re cristiano d'Etiopia, era nata di carnagione bianca da madre nera e, per evitare la gelosia del re, era stata abbandonata alla nascita con gran dolore dalla madre e raccolta da Arsete, che la nascose e la crebbe nella religione pagana, valorosa e piena di furore nelle arti belliche. Clorinda rasserena il proprio servitore, dicendogli che sempre avrebbe seguito la fede musulmana, nella quale era stata educata.

A notte inoltrata, Clorinda, Argante e Ismeno escono dalla città e incendiano la torre; accorrono alla battaglia due truppe militari di cristiani: il combattimento è breve e, mentre i pagani rientrano in città attraverso l’ “Aurea Porta”, Clorinda, in ritardo per il combattimento con il soldato Arimone che l’aveva ferita, si mischia ai soldati cristiani. Tra loro solo Tancredi si accorge dell’intromissione di un soldato pagano tra le loro fila e decide di sfidarlo a duello, ingaggiando con Clorinda un mortale combattimento senza tuttavia che venga riconosciuta l’identità di lei.

Colpita a morte, prima di perire chiede di essere battezzata, così Tancredi le scopre il viso: grande è il suo dolore nel riconoscerla, un dolore che si attenua

solo alle parole di biasimo di Pietro l'Eremita. Nella notte prima dei funerali Tancredi sogna Clorinda, la quale gli si mostra in tutta la sua bellezza celeste e al mattino seguente l'eroe si sveglia consolato. Si diffonde nella città la notizia delle morte di Clorinda: piange Arsete, mentre Argante giura di uccidere il rivale per vendicare la compagna d’armi.

Questo canto, come si evince dalla trama, è denso di eventi e di ambiguità che hanno l’effetto di intrecciare il giusto e il fallace, l’amore e l’odio militare, la vita e la morte e, nel nostro caso, Oriente islamico da una parte e Occidente cristiano dall’altra.

Il personaggio chiave è sicuramente Clorinda: sospesa a metà fra più identità, non solo quella cristiana, primigenia, e quella musulmana, nella quale era stata educata; ma prima ancora fra quella maschile (è stata allevata alle armi e combatte come un guerriero) e femminile, provando per Tancredi sentimenti contrastanti: prima lo sfida a duello e poi, sconfitta e in punto di morte, lo perdona. L’ambiguità di Clorinda si manifesta fin dalla nascita, essendo nata di carnagione bianca da madre nera, come lo stesso Tasso sottolinea:

Ingravida frattanto, ed espon fuori