• Non ci sono risultati.

6. L’ORIENTALISMO NEL XXI SECOLO, IL CASO DI SOUMISSION DI MICHEL HOUELLEBEQ

7.3 L’ORIENTALISMO DOPO SAID

Edward Said ha avuto un ruolo di primo piano nella critica orientalista, il suo saggio di cui tanto abbiamo discusso, pur presentando delle generalizzazioni qui criticate, è sicuramente un punto di riferimento se ci si vuole approcciare alla “materia orientale” e a come la letteratura si ponga nei confronti dell’Altro e del diverso.

Quasi mai abbiamo visto studiosi come Said, intellettuale palestinese che ha parlato e scritto criticamente come uomo del Medio Oriente esperto di letteratura e di storia occidentale. Questo fatto è di per sé fondamentale per la costruzione del discorso orientalista, come Said scrisse nel 1978:

“L'Oriente e l'Islam hanno una sorta di status irreale, fenomenologicamente ridotto, che li mette fuori dalla portata di tutti tranne che dell'esperto occidentale. Fin dall'inizio della speculazione occidentale sull'Oriente, l'unica cosa che l'Oriente non ha potuto fare è stata quella di rappresentare se stesso.” 180

Secondo le sue considerazioni, non possiamo accettare nulla dell’entità “Oriente” così come è veramente. Ciò a meno che non venga prima filtrato attraverso le lenti di intellettuali “specialisti” euro-americani che sovente hanno concezioni estremiste, scarsa esperienza accademica e le cui idee, spesso, ancora derivano direttamente da filosofie e romanzi orientalisti.

Secondo Said l’uomo occidentale ha anche, per pigrizia intellettuale o per paura del diverso, rinunciato a conoscere la rappresentazione che la cultura orientale vuole e può dare di sé, ostacolandone i tentativi di comunicazione in modo ostruzionistico, o comunque riuscendo a filtrarli, e quindi a snaturarli, perché non interessata, o spaventata, di conoscerne il vero contenuto.

Le teorie di Said in Orientalismo hanno, anche per questo, ricevuto ampie critiche da tutto lo spettro politico. Gli è stata contestata una sorta di inversione razzista contro i “caucasici”, un’accusa anti-intellettuale che distorce le sue opinioni e rende gli attacchi personali.

Said ha ripercorso la storia coloniale euro-coloniale ad un livello di profondità tale da dimostrare la notevole continuità nel modo in cui le maggiori potenze

Orientalismo, p. 180

coloniali europee e gli Stati Uniti, loro successori dal Ventesimo secolo, hanno costruito ideologie di eccezionalità e di superiorità attraverso retoriche molto simili.

Tuttavia, a quarant’anni esatti dalla pubblicazione, continua tutt’oggi ad essere un testo di riferimento nel panorama culturale mondiale. Sul significato che oggi può avere un’opera come Orientalismo si è espresso in modo interessante Miguel Mellino : 181

“dopo Orientalismo […] è stato sempre più difficile affidarsi al concetto di cultura come a un comodo rifugio asettico e considerare la produzione del sapere come un campo autonomo dalle logiche di potere e dalle lotte politiche che attraversano l’intera arena sociale, come il frutto di volontà obiettive e disinteressate” 182

Infatti al di là delle critiche, dovute alle estreme generalizzazioni di Said,

Orientalismo ci ha portato a riflettere sul rapporto fra cultura e potere, fra

letteratura ed egemonia coloniale. Di questo bisogna tenerne conto, anche se il presente lavoro si propone, appunto, di non generalizzare e confutare il fatto che l’intero corpus della letteratura europea, ed occidentale, sia nient’altro e niente più che un potente impianto di giustificazione coloniale.

È infatti innegabile che Orientalismo costituisca uno dei più importanti presupposti della critica postcoloniale contemporanea, ovvero di quell’approccio scientifico che si basa su, come argomenta lo stesso Mellino in un altro saggio: “una presa di distanza, cioè un momento di frattura o superamento nei confronti dei criteri di rappresentazione e valutazione tipici della teoria sociale moderna e la cui validità epistemologica veniva sancita […] dall’egemonia del colonialismo a livello mondiale”183.

Miguel Mellino è attualmente saggista e docente di Antropologia Culturale presso il 181

Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”.

M. Mellino, Post - Orientalismo, Said e gli studi postcoloniali, Meltemi Editore, 182

Assago (MI), 2009; pp. 8-9

M. Mellino, La critica postcoloniale - decolonizzazione, capitalismo e 183

Consideriamo quindi le parole di Said una messa in guardia nei confronti dei criteri di rappresentazione dell’alterità orientale sanciti dall’autorità, egemonica e coloniale, occidentale.

Mellino parla proprio di “momento di frattura” e “superamento” di tali criteri, in quanto, che abbia torto o in parte ragione, Said ha scavato un solco fra la critica orientalista prima e dopo di lui, pertanto anche oggi bisogna tener conto di queste istanze.

Attualmente comunque le cose sembrano essere un po’ cambiate e comunque ben lontane dalla prospettiva di dissoluzione, prospettata e sperata dallo stesso Said al termine del proprio saggio.

C’è stato un momento, dunque, in cui sembrava che qualcosa potesse cambiare. Proprio Orientalismo stava contribuendo sul finire degli anni settanta del Novecento allo sviluppo della critica e degli studi postcoloniali, interessati a fornire un’immagine molto diversa delle culture e dei popoli non occidentali; a ciò si aggiunge il mutato punto di vista di antropologi e sociologi. La crisi dell’Orientalismo tradizionale andava in quegli anni di pari passo con l’incapacità dei vecchi modelli di leggere la realtà storica.

Le turbolenze sociali del mondo islamico, la crescita dei movimenti di liberazione nazionale in molte ex colonie già dalla prima metà del Novecento, erano interpretati dal vecchio orientalismo come rigurgiti tradizionalisti o come un ritorno a dogmatismi religiosi, senza comprendere le reali variabili economiche, socio-politiche e culturali che avevano nel frattempo sconvolto e profondamente cambiato le società orientali, che per l’ortodossia orientalista rimanevano invece statiche e incapaci di evoluzione.

Di contro, anche potenze imperiali erano quindi cambiate dopo la sostituzione del colonialismo classico con quello economico. La popolazione, la ricchezza, l’istruzione dell’Occidente e dell’Oriente, sono, di conseguenza, profondamente mutate, con significative differenze rispetto a quando lo stesso Said scriveva, andando verso una miscela di locale e globale, di occidentalismo consumistico e ideologie invece anti americane e anti europee.

Oggi nessuno direbbe sic et simpliciter che la Cina è solamente un luogo di miseria e ignoranza, anche se i contadini cinesi sono rimasti sostanzialmente

poveri; o che gli indiani e i pakistani sono nient’altro che analfabeti inadatti al lavoro industriale.

In un mondo interconnesso e globalizzato come quello odierno i giudizi

tranchant su popoli o nazioni sembrano tutto sommato superati, o quantomeno

non sostenuti e rafforzati dell’élite intellettuale. Infatti viviamo in una società mondiale sempre più collegata e dai confini indefiniti, con le relative conseguenze, al tempo stesso positive o negative.

È vero, soprattutto in Medio Oriente vi sono sacche di resistenza al capitalismo occidentale, strenuamente avverso anche in altre nazioni come la Korea del Nord, ad esempio. Tuttavia queste regioni sono percepite come lontane ed esotiche.

Oltretutto fenomeni come la diffusione di internet, l’ampliamento delle tratte aree e il conseguente potenziamento delle vie di commercio, comunicazione, e in sostanza tutto ciò che concerne la globalizzazione, hanno creato una rete di metropoli affini e collegate fra loro, sparse in un globo sempre più ristretto dove le differenze e i rapporti di potere denunciati da Said molto meno facili da scorgere.

Città cosmopolite come Pechino, Shangai o Tokyo: rispettivamente nel cuore e all’estremo di quell’Oriente magico, esotico e culturalmente lontano, mitizzato da Marco Polo, da Matteo Ricci e da tanti altri, sono molto più occidentali, ad esempio, di paesi o borghi europei o di periferie rurali statunitensi. Questi ultimi, pur essendo luoghi situati geograficamente nel cuore del cosiddetto Occidente, sono molto spesso legati piuttosto a tradizioni locali o regionali preesistenti alla globalizzazione.

Il discorso è quindi più complesso di quanto affermi Said: Oriente e Occidente non hanno confini geografici, ma sono talmente incernierati l’uno con l’altro, e frammentati a mo’ di mosaico sul globo, che è arduo generalizzare.

D’altro canto è pur vero che si assiste a fenomeni contrari: se da una parte i confini si assottigliano, d’altro canto in Europa, soprattutto a seguito degli attentati terroristici avvenuti in anni recenti, si assiste ad una crescente paura dell’alterità, ad un ritorno dello stereotipo in cui ogni musulmano è associato al terrorista e l’Islam è ritenuto sempre integralista.

È quindi difficile provare a spiegare come si sia evoluto l’orientalismo oggi, dopo Said, in quanto dovremmo provare a classificare, categorizzare e giudicare una società nella quale siamo immersi e dalla quale è impossibile emergere per avere un punto di vista critico esterno e oggettivo.

Ciò non toglie che comunque oggigiorno nell’opinione pubblica e sui mass- media gli stereotipi e pregiudizi siano tristemente efficaci per una comunicazione istantanea, generalizzante e di scarsa qualità: l’informazione fruibile su internet e sulle televisioni ha sempre più i caratteri di essenzialità e sensazionalismo, con la conseguenza di sacrificare un doveroso approfondimento e cadere in superficiali analisi. Si potrebbe addirittura dire che i luoghi comuni e i pregiudizi derivanti dall’estrema essenzialità e approssimazione dei canali di informazione siano tratti caratteristici della nostra epoca.

Tuttavia a parer mio, come ho provato a mostrare in questo lavoro, esiste per fortuna ancora oggi un grande iato fra chi ripete luoghi comuni sensazionalistici o propagandisticamente indirizzati e la letteratura, luogo in cui tali luoghi comuni vengono rielaborati e reinventati per svelarne ironicamente la fallacia o, ancor meglio, superarli.

7. 4 RIFLESSIONI FINALI

Le motivazioni che mi hanno portato a trattare questo argomento sono molteplici. Personalmente sono sempre stato affascinato dall’alterità orientale e mi sono sempre interrogato se la rappresentazione di quest’ultima nelle opere occidentali ne costituisca un filtro e quanto ciò possa effettivamente distorcerne la reale natura.

Altra motivazione che mi ha spinto a compiere questa analisi è stata la convinzione che la letteratura non si nutra di stereotipi, ma abbia invece la capacità di svelare i luoghi comuni e i pregiudizi, finanche a metterli in ridicolo, ma mai amplificandone la portata, almeno per quanto riguarda la letteratura più alta.

I testi riportati in questo lavoro sono stati scelti seguendo alcuni requisiti. In primo luogo sono tutte opere che parlano di Oriente, in modo assai differente le une dalle altre, secondo diverse prospettive, sia storiche che culturali e con prerogative e finalità specifiche.

In secondo luogo si è cercato di abbracciare un lasso temporale assai ampio, partendo da Boccaccio, proseguendo con Tasso e arrivando ai giorni nostri: prima con le opere di Rushdie, poi con quella di Houellebecq, pubblicata nel 2015.

Questa ampiezza temporale è stata voluta per mostrare come la questione della rappresentazione dell’Oriente da parte dell’Occidente è comune a tutta la storia della letteratura europea. Ci sarebbero stati molti testi in grado di riportare il problema, ma, ovviamente, si è dovuto fare una scelta, dettata sia dalla canonicità ed esemplarità delle opere scelte, sia, è inevitabile, dall’inclinazione personale verso queste opere.

Interessi scolastici prima, e accademici poi, mi hanno portato ad apprezzare il

Decameron e la Gerusalemme Liberata, opere di infinita grandezza artistica. Su

suggerimento del mio relatore, il Professor Sergio Zatti, ho avuto occasione di approfondire con interesse lo studio e la conoscenza di Salman Rushdie, autore che purtroppo non ho mai avuto modo di incontrare durante il mio percorso di studi.

Infine, ho voluto trattare Sottomissione perché penso che sia un ottimo esempio di ciò che ho voluto esporre nel mio lavoro, in quanto opera che traduce in letteratura le paure, i desideri e le vicende attuali che intercorrono fra Occidente e Oriente. Inoltre Michel Houellebecq è un autore del quale apprezzo lo stile di scrittura e di cui sono grande appassionato, avendo letto anche altri suoi romanzi.

Pertanto questo lavoro nasce da una sinergia di differenti istanze, alcune delle quali innegabilmente personali, che in questo ultimo capitolo e paragrafo si vogliono esporre in modo riassuntivo e conclusivo. Ma torniamo ora alla questione principale.

La scelta, alla base della critica di Said, di considerare Occidente e Oriente come due civiltà distinte, in definitiva, ha forse poco senso. Il Cristianesimo, una delle principali cause poste a fondamenta della supposta e presunta superiorità

della civiltà occidentale, è a tutti gli effetti una religione orientale. Aristotele, uno dei filosofi considerati come capostipiti del pensiero occidentale, è stato custodito per molti anni da studiosi islamici che si trovavano a dialogare di frequente con pensatori greci, così come gran parte della filosofia greca classica.

Consideriamo anche il ruolo svolto dagli studiosi della biblioteca di Alessandria d’Egitto, geograficamente collocata al di fuori dell’Occidente, nella conservazione e nella trasmissione di testi e opere che innegabilmente sono parte della tradizione occidentale che hanno contribuito significativamente a plasmare.

Le interrelazioni e le corrispondenze tra i continenti e le culture sono innumerevoli, i confini tra le categorie altamente permeabili e soggetti a reciproche contaminazioni: non esiste un Oriente in sé racchiuso, come non esiste un Occidente statico e immutabile, le due entità non sono divise da un muro, ma unite da continui e inesauribili flussi migratori: siano essi di idee, nozioni, religioni ed esperienze artistiche.

Non possiamo spiegare cosa sia l’Occidente se non tirando in ballo l’Oriente, così come non possiamo spiegare l’Oriente senza citare l’Occidente. Le due entità sono inesorabilmente intessute a vicenda e imbevute l’una della cultura dell’altra.

È bene ricordare che questo processo di scambio non è avvenuto nel Novecento come conseguenza della globalizzazione, né tantomeno a causa del colonialismo europeo precedente. È invece un processo storico che ha profonde radici che affondano in un tempo indefinito, ovvero quando le categorie di Occidente e Oriente erano ben lontane dall’essere pensate come entità culturali e le differenze si riducevano alla distanza geografica fra Ovest ed Est.

In altre parole, possiamo azzardare a dire che Occidente e Oriente come categorie culturali contrapposte non esistono. In questo sta forse la grande critica a Said: egli considera le due entità come ontologicamente opposte e avverse per natura, una sorta di poli di una calamita che si respingono, ma non è così.

L’autore di Orientalismo considera l’Occidente un unico blocco coeso che scarica sull’Oriente ogni genere di pregiudizio, ma questo è riduttivo. Abbiamo considerato, nel corso del nostro lavoro, quanto precedentemente affermato da Brugnolo: ovvero che la letteratura occidentale produce anche, spesso proprio attraverso testi che parlano di Oriente, una critica a se stessa, quindi ciò può già contraddire in parte le affermazioni di Said. Quest’ultimo cade poi in contraddizione definendo l’Oriente, in Orientalismo, per negativo: ovvero attraverso tutto ciò che l’Occidente gli ha negato d’essere, oppure tutto il contrario dei pregiudizi che quest’ultimo gli ha attribuito.

Quindi anche Said, in un certo senso, utilizza gli stereotipi occidentali per costruire una propria immagine di Oriente, per differenziarla da un Occidente altrettanto artificioso, perché immaginato come impegnato solo e soltanto a denigrare e assoggettare la propria controparte a est.

Bisogna perciò prendere con le dovute cautele le parole di Said in quanto, volente o nolente, è caduto nella trappola che egli stesso ha affermato di aver disvelato.

Ma allora, se anche spogliando l’Oriente dai pregiudizi e dai luoghi comuni che l’Occidente gli attribuisce non si riesce ad averne una reale visione, e di contro, allo stesso tempo, cadiamo altresì nell’errore di caricare l’Occidente di pregiudizi, cosa possiamo dire di queste due entità? Sicuramente che esse non esistono di per sé, ma possiamo solo immaginarle assieme. Inoltre i pregiudizi che si attribuiscono a vicenda non possono essere eliminati perché fanno parte di loro stessi: Oriente e Occidente sono un’identità unica e univoca, che cerca, attraverso luoghi comuni e pregiudizi, di descrivere, relegando alla controparte le caratteristiche, sotto forma di giudizi e stereotipi, di cui si vuole disfare e liberare.

Entità che cercano di definire se stesse per negativo, ovvero attribuendo a sé tutto ciò che negano all’altro, senza rendersi conto che invece si sono costruite non l’una contro l’altra, bensì l’una con l’altra, quindi tramite la condivisione e lo scambio sociale, artistico e culturale.

Il compito della letteratura più autentica è quindi proprio quello di lavorare con i supposti stereotipi e pregiudizi in modo attivo, quindi non alimentandoli nella

loro vacuità, per plasmare di volta in volta nuovi concetti, elaborare nuove idee ma soprattutto criticare se stessa attraverso un “altro” indefinito.

In definitiva ritengo che sia questo ciò che è emerso con chiarezza attraverso i testi che abbiamo analizzato nel presente lavoro.

BIBLIOGRAFIA

TESTI PRIMARI

-

ALIGHIERI, Dante, La Divina Commedia - Inferno, ed. a cura di A, M. Chiavacci Leonardi, Milano, Mondadori, 2005

-

Aristotele, Politica, ed. a cura di R. Laurenti, libro III, 14, Milano, Laterza, 2007

-

BOCCACCIO, Giovanni, Decameron, ed. a cura di V. Branca, Milano, Mondadori, 2015

-

CHATEAUBRIAND de, François R., Oeuvres complètes, ed. a cura di B. Didier, vol. 2, Paris, Honoré Champion, 2008