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5. L’ORIENTALISMO NEL XX SECOLO SALMAN RUSHDIE, FRA VITA E OPERE

5.2 THE SATANIC VERSES

I Versi Satanici uscirono nel 1988 e provocò clamore e proteste. Il libro è molto

lungo, si snoda infatti per più di 500 pagine e si compone di due principali

storylines suddivise in nove capitoli, ognuna con un’ambientazione

sostanzialmente differente . 103

Lo sviluppo della vicenda narrata è tutt’altro che lineare e presenta una serie di

flashback che rendono la struttura testuale quasi labirintica. Tale effetto è

sicuramente voluto e avvicina l’opera alle Mille e una notte.

Questa complessa struttura narrativa ad incastro va di pari passo a un’asperità formale notevole; infatti il romanzo è pieno di riferimenti culturali e linguistici difficili da capire per chi non conosca bene la letteratura inglese, ma anche per coloro che non sono cresciuti o non conoscono molto bene l’India e l’Asia orientale.

Nello specifico, la lingua de I Versi Satanici è costellata di soprannomi, espressioni gergali e parole chiave espresse in lingua indiana, davanti a cui il lettore occidentale si trova disorientato e a cui deve abituarsi per procedere alla lettura. Oltre a ciò notiamo che spesso queste parole sono ricorrenti e ad esse si aggiunge una certa tendenza all’uso di frasi formulari ed espressioni ricorrenti.

È abbastanza chiaro come una struttura di tale genere sia voluta per richiamare ad una certa atmosfera di oralità, come se fosse un racconto, un testo prosaico che echeggia la forma sapienziale di opere sacre come i Veda indiani e il

Corano.

Non è da trascurare poi, in quanto colonna portante del romanzo, la presenza dell’elemento magico, trattato da Rushdie con naturalezza verosimile. Pertanto

J. Kourtti, The Satanic Verses: “To be born again, first you have to die”, pp. 103

125-138; cap. in The Cambridge Companion to Salman Rushdie, Cambridge University Press, Cambridge

il suo stile è stato classificato nel genere del “realismo magico”, anche se tale etichetta non è del tutto apprezzata dallo stesso Rushdie . 104

Bisogna poi considerare la magia una componente fondamentale della scrittura di Rushdie, che si sviluppa sempre in un’ambientazione onirica e a tratti fantastica. Infatti è stata ribadita da molti critici la tendenza di Rushdie ad una prosa affabulatoria, comune a tutte le sue opere e derivante dall’influenza della letteratura novellistica indiana.

Il tanto criticato romanzo, in sostanza, è quindi una storia tipica della produzione di Rushdie, che si presenta apparentemente come il classico racconto della vita di due emigrati indiani nell’Inghilterra contemporanea. I due protagonisti sono entrambi attori indiani di origine musulmana; uno ha un grande successo a Bollywood, mentre l’altro ha rinunciato alle sue radici e lavora come doppiatore nel Regno Unito.

All’inizio del romanzo i due protagonisti sopravvivono in modo soprannaturale ad un attentato che distrugge l’aereo su cui stanno viaggiando, infatti si svegliano con le conseguenze di una metamorfosi fisica su cui si concentreranno poi, tramite uno dei numerosi flashback, i capitoli centrali del libro.

Questo episodio, posto all’inizio del romanzo, è uno dei due su cui si concentra il romanzo, ovvero la trasformazione rispettivamente in Satana e nell’Arcangelo Gabriele dei due protagonisti; ma andiamo con ordine.

Gibreel Farishta è fra i due il personaggio forse più importante, se non altro perché le sue vicende si intrecciano con entrambi i filoni del romanzo. Oltre ad essere il protagonista della “sezione contemporanea” è anche, nelle vesti dell’Arcangelo, colui che suggerisce le visioni a Mahound nella “sezione orientale” delle due storylines.

In questa occasione risalta l’elemento del sogno, cui si è già parlato e sul quale torneremo, in quanto il Gibreel della “sezione contemporanea” soffre di insonnia, ha paura di addormentarsi per ciò che sognerà, fino a soffrire di crisi paranoiche a causa di allucinazioni e visioni, le quali, come detto, sono centrali nella seconda sezione.

Intervista a cura di A. Monda, riportata sulla pagina di online Repubblica il 104

28/06/2009, presso il seguente indirizzo: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/ repubblica/2009/06/28/salman-rushdie.html

L’altro protagonista del romanzo è Salahuddin Chamchawala, attore conosciuto dal grande pubblico con il diminutivo di Saladin Chamcha. Ossessionato dall’Inghilterra fin dalla gioventù, inizia il proprio percorso nel mondo dello spettacolo come doppiatore alla radio, sia per la sua abilità nell’imitare voci, sia a causa del suo aspetto fisico, non propriamente in linea con i canoni occidentali.

Se Gibreel interpreta ruoli che Jouri Kourtti definisce celestiali , a Saladin 105

toccano ruoli più terreni e comici, come tappeti o stufati di fagioli parlanti, fino addirittura al presidente degli Stati Uniti. Riceve la sua consacrazione poi come celebrità del settore nel ruolo di un alieno in uno show per bambini.

I due personaggi sono quindi strutturati secondo un gioco di opposti e contrari che si bilanciano a vicenda. La natura della differenza ontologica fra i due è intuibile fin dall’etimologia dei nomi. Gibreel Farishta in Urdu significa Angelo Gabriele, mentre Chamcha nella medesima lingua indica letteralmente un cucchiaio e, nel linguaggio colloquiale, un sicofante, uno yes-man . È molto 106 importante questa indagine sui nomi, in quanto abbiamo già detto quanto Rushdie faccia largo uso di parole orientali, dense di significato.

Nel resto della storia, che prosegue in maniera sempre più onirica e magica, Gibreel e Saladin cominciano a trasformarsi. Il primo diviene simile a un angelo, mentre il secondo comincia a assomigliare ad un demone, “shaitan”. Se all’inizio i ruoli di bene e male sembrano chiari, tuttavia, con l’avanzare del racconto, la trasformazione angelica si rivela una sorta di schizofrenia, mentre l’altro personaggio, il demone, sembra riuscire a redimersi. Alla fine il doppiatore si riconcilia con le sue radici indiane, mentre la star di Bollywood, sempre più alienata dal suo passato, si suicida.

Nello specifico un filone del racconto è ambientato all’incirca nel medesimo periodo in cui il romanzo è stato scritto, ovvero fine anni Ottanta del secolo scorso; fra Regno Unito (soprattutto Londra), Argentina ed India. La parte che però a noi interessa di più, e quella più controversa, si svolge nella Penisola Arabica, nelle immaginarie città di Jahilia e Yathrib, modellate sulla Mecca e Medina.

A. Gurnah, The Cambridge Companion to Salman Rushdie; cap. 9, The Satanic 105

Verses: “To be born again, first you have to die”, a cura di J. Kourti; p.127

Ibidem 106

Questa è la parte più controversa del libro, occupa quasi ottanta pagine ed è la descrizione di un lungo sogno di uno dei protagonisti, la star di Bollywood. In questa scena onirica, Rushdie rielabora una vicenda leggendaria della tradizione islamica, ovvero l’episodio dei versi satanici, appunto. Si tratta di un racconto molto antico della tradizione musulmana che però non è mai stato inserito nella versione canonica del Corano.

In modo simile ad alcuni passi dei vangeli apocrifi, dove è descritta l’infanzia di Gesù, i suoi dispetti e le piccole cattiverie che commetteva, l’episodio dei versi satanici racconta un momento di debolezza di Maometto. Nella storia il profeta dell’Islam viene ingannato dal diavolo che lo spinge ad annunciare ai suoi concittadini che le tre figlie di Allah, ovvero tre antiche divinità pagane del pantheon arabico, erano degne di essere venerate come messaggere semi divine di Allah.

Nel libro l’episodio è ovviamente romanzato con l’inserimento di episodi inventati ed è presentato come la conseguenza di un compromesso politico fra Mahound e il governo del sovrano Abu Simbel . Mahound, nome fittizio per 107

indicare Maometto, grazie ad un’aura savia ed un linguaggio parabolico, è un profeta del tutto simile alla figura di Gesù, i cui seguaci appartengono ai gradini più bassi della scala sociale. Egli si trova a cercare di diffondere il culto dell’unica divinità Allah in un territorio politeista, pagano e idolatra.

Da un’iniziale diffidenza e avversione nei confronti delle autorità locali che incarcerano lui e i suoi primi discepoli, giunge poi ad un accordo che gli permette di essere riconosciuto all’interno della corte di Abu Simbel nel momento in cui riconosce una natura semi divina a tre divinità femminili pagane. Successivamente Mahound, disconosciute le proprie parole perché ispirate da Satana e non dall’Arcangelo, appunto, è costretto a fuggire in un’oasi nel deserto, dalla quale organizzerà una spedizione per conquistare Jahilia e sottometterla alla nuova religione.

Personaggio inventato così come la moglie, Hind. Il nome del re di Jahilia è 107

presumibilmente ispirato all’omonimo sito archeologico egiziano, collocato nel governatorato di Assuan, nell'Egitto meridionale, sulla riva occidentale del Lago Nasser, a circa 280 km a Sud-Ovest di Assuan.

Per quanto riguarda il nome della consorte possiamo affermare invece che sia frutto della fantasia dell’autore, in quanto non si riscontrano evidenti riferimenti a luoghi o a personaggi storici realmente esistiti.

Nel libro Rushdie aggiunge altri dettagli al racconto tradizionale, come ad esempio le varie vicende dell’oasi, tra cui l’importante esperienza della dettatura. Mahound è infatti semianalfabeta e chiede ad un suo seguace di fargli da scriba per le proprie visioni. Questo personaggio è intenzionato a mettere alla prova il Profeta, cambiando il testo in modo quasi impercettibile e non suscitando alcun sospetto in Mahound. Tale fatto lo rende scettico, se effettivamente Mahound ascolta la parola di Dio, come può non accorgersi di modifiche sempre più significative? Confessato il misfatto è costretto ad allontanarsi dalla cerchia dei fedeli.

Tornerà sulla scena nel capitolo Ritorno a Jahilia in cui verranno narrate le vicende successive alla pacifica conquista della città da parte dei seguaci del Profeta.

Con Jahilia conquistata da una religione che prende il nome proprio dalla sottomissione, Rushdie ci mostra degli abitanti restii ad abbandonare le proprie abitudini, in special modo sessuali, che durante il paganesimo non erano represse come ora. Da qui gli affari prolifici di un bordello in cui segretamente ogni prostituta assume il nome e l’identità di una delle mogli di Mahound, secondo un gioco ai limiti del blasfemo che però trova largo consenso fra i clienti.

È palese come questo e gli altri episodi possano suscitare scandalo fra i musulmani più integralisti, ma sono tuttavia ingiustificabili le reazioni scaturite dall’Iran e da vari movimenti islamici. Rushdie si cura di porre nomi fittizi ai protagonisti e di romanzare così tanto le vicende da rendere l’insieme non una cronaca di quanto realmente avvenuto, quanto piuttosto un racconto del tutto simile a quelli de Le Mille e una Notte.

Nel prossimo paragrafo si cercherà di interpretare il significato, letterario e sociale, di tali episodi, scoprendo il ruolo di Occidente e Oriente all’interno dell’opera.

Ci si concentrerà, come fatto anche in questo paragrafo, maggiormente sui capitoli dell’opera in cui Rushdie ricostruisce, romanzata, la storia che dà il titolo al libro.

Facendo ciò si tralasceranno inevitabilmente porzioni di testo dall’indubbio valore letterario, ma questa mancanza è una scelta, dettata e bilanciata dall’importanza capitale dei due capitoli analizzati.