6. L’ORIENTALISMO NEL XXI SECOLO, IL CASO DI SOUMISSION DI MICHEL HOUELLEBEQ
7.1 LE RAGIONI DI SAID NELLA VISIONE ORIENTALISTA DELLA LETTERATURA
L’obiettivo di questo lavoro non è screditare le opinioni di Said esposte in
Orientalismo, ma partire proprio dalle stesse e applicarle ai testi scelti per
vedere se possono essere sistematicamente valide su ogni prodotto letterario, cosa che lo stesso Said propone.
In altre parole, leggendo Orientalismo si ha la sensazione che l’autore ci voglia suggerire una chiave interpretativa della letteratura occidentale sull’Oriente valida sic et simpliciter, senza adattamenti, contestualizzazioni o eccezioni di sorta.
Ciò che si è provato a fare è stato mettere alla prova questo sistema interpretativo per vedere se è, veramente, sempre valido. È emerso, come è
stato già affermato, che non sempre è così, spesso in realtà i luoghi comuni impiegati sono reinventati per fini puramente letterari.
Occorre però rendere giustizia a Said e, senza venir meno alla critica mossa nelle precedenti pagine, provare a rintracciare, nelle opere scelte, gli elementi che l’autore di Orientalismo avrebbe ritenuto validi per le proprie argomentazioni.
Facendo ciò non si vuole certo sconfessare quanto detto finora, ma sottolineare il fatto che occorre comunque tenere presenti entrambi i punti di vista. Non si ha infatti la pretesa di affermare che l’analisi di Said sia completamente fallace, ma in questo lavoro si è voluto precisare che le opere letterarie sono ben altro che ripetitori di pregiudizi e stereotipi facenti parte di un canone standardizzato, come vedremo meglio nel prossimo paragrafo.
Pertanto possiamo affermare, senza contraddirci ma anzi confermando quanto detto nelle pagine precedenti, che Said ha pienamente ragione nell’affermare che l’Occidente costruisce un’immagine fittizia e artificiale dell’Oriente. Questo fatto è costante, e forse inevitabile, nel corso di tutta la storia letteraria occidentale.
Vediamo quindi brevemente in che modo questa immagine costruita si proponga nelle opere che abbiamo scelto.
Nel Decameron di Boccaccio abbiamo visto come l’Oriente si presenti sovente con sembianze femminili, come nei casi di Alatiel e della principessa di Tunisi. È presente pure la figura del Sultano, tanto affamato di ricchezze da indebitarsi, come nella novella di Melchisedec, oppure saggio e con poteri soprannaturali, come nella novella di Torello.
Vi è anche spazio per le figure dei saraceni, nella quarta novella del quarto giorno, descritti, come abbiamo visto, con la loro proverbiale ferocia nell’atto di dissanguare la principessa di Tunisi davanti agli occhi dell’innamorato principe Gerbino.
Insomma, abbiamo visto, nel corso delle pagine precedenti, che in Boccaccio l’Oriente si presenta secondo un ampio ventaglio di sfumature e tipi di personaggi che sicuramente partono da una una connotazione stereotipata e abbracciano ogni tipo di luogo comune riguardo l’alterità orientale. Il modo in cui
poi Boccaccio risolva tali pregiudizi e storture della rappresentazione orientale lo abbiamo visto nel corso del capitolo dedicato.
Per quanto concerne i personaggi di Torquato Tasso, abbiamo constatato come nella Gerusalemme Liberata la figura dell’ “Altro” sia parte di un meccanismo funzionale alla rappresentazione di un’istanza alternativa dell’Occidente, laddove i crociati incarnano i principii della Controriforma, mentre i pagani sono emblema dei valori rinascimentali.
Nonostante ciò, la rappresentazione narrativa dei personaggi arabi è tipicamente caratterizzata facendo largo uso di luoghi comuni. Così, ad esempio, l’esercito pagano è vasto ed eterogeneo, di contro all’unità di quello cristiano. Gli orientali sono descritti come ingannatori, idolatri e finanche satanici. Oltretutto è frequente l’associazione con le arti magiche, in special modo con l’esoterismo e la magia nera, che vengono esercitate dal mago Ismeno, un tempo cristiano, poi convertitosi. A ciò si oppone, nel gioco dei doppi speculari messo in scena da Tasso, il mago di Ascalona, che abbiamo visto essere portatore di magia benefica, con la quale aiuta i rappresentanti dell’esercito crociato.
Inoltre abbiamo visto che anche nella Liberata l’Oriente ha la femminilità come genere sessuale principale, sfumata in più di una caratteristica. Infatti, nei canti scelti, incontriamo Clorinda e Armida: due personaggi molto differenti fra loro, ma sempre rappresentanti di una visione femminile dell’Oriente.
La prima è una guerriera che ha perso del tutto la propria femminilità e la ritrova nel momento in cui si innamora di Tancredi. La seconda invece unisce in sé i
topoi della donna maga e ammaliatrice in amore, che devia Rinaldo dalla retta
via. Le due hanno comunque una fine analoga, in quanto saranno entrambe sul punto di convertirsi, seppur tramite modi e percorsi diversi, mostrando ancora una volta la fluidità dei personaggi femminili, e orientali in genere.
Pertanto, in Tasso, l’Oriente è evidentemente rappresentato in modo distorto, irreale e in questo non possiamo che confermare le tesi di Said. Tant’è vero che il comandante in capo delle forze musulmane non è Maometto, come ci si potrebbe aspettare, bensì Satana che presiede un concilio di diavoli e demoni, non idoli pagani.
Procedendo avanti, nel corso della nostra indagine, ci siamo poi soffermati sul secolo scorso, con un autore di primaria importanza, ovvero l’anglo-indiano Salman Rushdie.
Nel suo caso la concezione dell’Oriente non si ferma solo alle regioni arabe, ma giunge fino a comprendere l’India. Anche in questo caso l’autore fa largo uso di stereotipi e luoghi comuni; certamente l’immagine che ci viene proposta è distorta e non oggettiva, ma qui agisce un fattore differente rispetto agli altri autori trattati.
In Rushdie infatti gli stereotipi sull’Oriente Indiano non sono dettati unicamente, da una mancanza di conoscenza dell’Altro, bensì in questo caso specifico entrano in gioco anche la componente biografica e il filtro della nostalgia. Rushdie infatti descrive un’India colorata e rumorosa, così come gli appariva sia da bambino che da ragazzo, ma anche l’India violenta, assassina e socialmente ingiusta che vide quando, da giovane uomo che appena laureatosi in Inghilterra, tornava nella propria terra d’origine lavorando nel vicino stato del Pakistan.
Oltre che parlare di India Rushdie si concentra anche, e soprattutto, sull’Islam. Infatti sono proprio i due capitoli de I Versi Satanici che parlano di un episodio,ai limiti del leggendario, riportato nel Corano a far scaturire proteste mediatiche e conseguenze gravi.
Ci siamo pertanto soffermati ad analizzare questi due capitoli e pure in tal caso non possiamo che considerare evidente la visione alterata dell’elemento orientale, denunciata da Said in Orientalismo.
Il personaggio di Mahound, nome fittizio di Maometto, è descritto secondo il tipico identikit del profeta che accoglie fra le proprie fila i meno abbienti e gli emarginati, colui che si oppone al potere della casta religiosa politeista dominante, misericordioso quando libera uno schiavo appena convertito e sacralmente ispirato dalle visioni dell’Arcangelo Gabriele nella stesura del
Corano.
Tali elementi descrittivi, pur essendo neutri e privi di giudizio, sono sicuramente appartenenti alla categoria degli stereotipi, ma non sono questi che hanno scandalizzato il mondo musulmano più radicale, o meglio, non solo. Il fatto che si parli di Maometto infatti ha allertato e indignato gran parte del mondo arabo,
ma l’evento eponimo dell’opera lo ha proprio scandalizzato. Ancora una volta Said ha ragione nell’evidenziare una canonizzazione al negativo dei personaggi orientali. Mahound non è solo il saggio visionario di cui sopra, ma anche un abile mercante, attento ai propri affari, un fine stratega che accetta il compromesso che gli viene proposto e pure un debole, che ammette di essersi fatto ingannare dal diavolo.
Emerge quindi un dissacrante ritratto del Profeta dell’Islam, il cui carattere è esplorato da Rushdie nella sua dimensione terrena e umana, attingendo ad una consolidata tradizione critica occidentale riguardante la rappresentazione dei tratti negativi di Maometto.
Michel Houellebecq è cronologicamente l’ultimo autore presentato nel presente lavoro. Il suo romanzo Sottomissione, uscito nel 2015, ha generato un’ondata di critiche forse inferiore solo a I Versi Satanici. Anche in questo contesto letterario la rappresentazione dell’alterità musulmana segue i crismi di un canone fatto di luoghi comuni e stereotipi.
Dopo l’ascesa al potere del presidente Ben Abbes le riforme sociali in Francia sono indirizzate verso una morigeratezza di costumi e una netta divisione fra uomini e donne, con queste ultime costrette ad abbandonare il mondo del lavoro e le conquiste dell’emancipazione, per sottostare al nuovo codice sociale patriarcale. Altri luoghi comuni cui lo scrittore francese fa largo uso sono senza dubbio una visione morbosa della poligamia e la restrizione ai minimi termini delle libertà personali e di espressione.
Naturalmente la poligamia, il patriarcato, la negazione della parità tra sessi e altri elementi non sono luoghi comuni, ma effettive caratteristiche delle società musulmane. D’altro canto è uno stereotipo, in quanto contiene un giudizio di valore, associare queste peculiarità al Medioevo cristiano o comunque considerarle un passo indietro rispetto alle presunte conquiste civiche e personali della moderna società occidentale.
Se applicassimo il filtro interpretativo di Said a Sottomissione, leggeremmo sicuramente il romanzo convinti che l’autore voglia metterci in guardia di fronte ai valori, e alle intenzioni, della comunità musulmana insediata in Europa, e in essa sostanzialmente integrata (si ricordi che l’elezione di Ben Abbes segue i crismi della democrazia elettiva). Tuttavia non ci siamo limitati ad analizzare
solo l’identità orientale espressa in Sottomissione, ma abbiamo ampliato lo sguardo verso l’altra categoria dominante e avversa all’Islam: la società consumistica e materialistica della Francia, e dell’Europa contemporanea, che è in realtà il vero bersaglio critico di Houellebecq.
Bisogna infatti dire che nel caso di Sottomissione gli stereotipi riguardano anche l’Occidente: François, l’everyman occidentale, incarna tutte le disillusioni, il nichilismo e finanche le isterie attribuite generalmente alla società medio borghese europea odierna. Per cui, non solo l’Oriente, ma soprattutto l’immagine dell’Occidente è ricca degli stereotipi negativi che essa stessa si attribuisce, tra i quali spicca su tutti la fragilità identitaria che porta la Francia a sprofondare nel desiderio di essere sottomessa ad un Islam moderato ma autorevole.
A ben guardare queste opere dunque non si potrebbe dar torto a Said quando afferma che l’immagine dell’Oriente nella letteratura occidentale è irreale. È vero che molti stereotipi hanno sicuramente fondamento di verità, ma è altrettanto vero che spesso le caratteristiche utilizzate per descrivere la società e le abitudini orientali sono se non negative in generale, quantomeno opposte ai valori considerati come fondamentali nella società occidentale.
Questa è una verità che bisogna riconoscere a Said: la letteratura europea prima, e americana poi, ha sempre fornito un’immagine non conforme al vero dell’Oriente. Su questo non si può non essere d’accordo, si può discutere da quali presupposti si muova questa immagine, quali conseguenze abbia e sopratutto quale ne sia lo scopo.
Tuttavia è pur vero che questa scoperta ha poco di eccezionale: è abbastanza evidente la manipolazione, volontaria o meno, della “materia orientale” da parte della letteratura occidentale. Questa caratteristica era nota ben prima che Said la esponesse.
In altre parole, quasi mai la letteratura fornisce un’immagine aderente alla realtà di ciò che sta descrivendo e questo avviene per l’elementare motivo che la scrittura è sempre sottoposta al filtro soggettivo di chi la produce: il fatto che l’Oriente non venga rappresentato così com’è in realtà non è una questione propagandistica, semmai estetica.
Nei testi che abbiamo analizzato è emersa un’immagine a tratti artificiosa e stereotipata tanto dell’Oriente quanto dell’Occidente, pertanto entrambe le entità in gioco in questo lavoro sono sottoposte inevitabilmente alla soggettività dell’autore. Ignorare gli stereotipi cui la letteratura occidentale sottopone se stessa e la propria società è, a parer mio, una suggestione interpretativa di Said.
Ciò che si è contestato all’autore di Orientalismo in questo lavoro, infatti, è la ragione per la quale la letteratura occidentale elaborerebbe questa immagine artificiale dell’Oriente: Said lo motiva tirando in ballo cause propagandistiche, dinamiche di potere e di dominio.
Questo lavoro invece si è proposto di trovare un’altra strada, esposta nei capitoli precedenti e riassunta conclusivamente in questo, che vada oltre un presunto scopo politico e giustificazioni colonialistiche, ma che si esaurisca nell’ambito letterario.
7.2 COSA È EMERSO DALL’ANALISI DELLE OPERE SCELTE
Nel paragrafo precedente si sono volute esporre le ragioni di Said nella sua interpretazione orientalista della letteratura occidentale, condividendo l’intuizione alla base delle sue argomentazioni: ovvero che l’Occidente, nelle proprie opere, mostra sempre un’immagine artificiosa ed edulcorata, in ogni caso irreale, dell’alterità orientale.
Nel presente paragrafo ripercorreremo invece le considerazioni emerse durante i capitoli di questo lavoro, riproponendo la chiave interpretativa che si è scelta, nel segno della critica a Orientalismo di Said.
Nelle novelle esaminate, tratte dal Decameron di Boccaccio, gli stereotipi riguardanti l’Oriente non hanno una funzione principalmente denigratoria, ma servono come un punto di partenza che molto spesso viene ribaltato. Oltretutto abbiamo fatto molti esempi nei quali è emerso che in realtà sono proprio i rappresentanti delle istanze occidentali, secondo Said la forza egemonica e dominatrice, ad esser messi in cattiva luce da Boccaccio.
Quanto affermato si riscontra già a partire dalla seconda novella analizzata (sulla prima torneremo più avanti), ovvero quella di Alatiel. Qui appare chiaro che la fanciulla, emblema sensuale e femminile delle istanze orientali, è costantemente vittima degli impulsi e degli istinti dei vari e molteplici amanti “occidentali” che la vogliono ciascuno per sé.
È quindi vero che i personaggi occidentali in questo caso esercitano un potere che si traduce in un dominio sessuale e fisico, tuttavia è altrettanto vero che Boccaccio non prende mai le loro parti e che, proprio a causa del loro comportamento, tali individui perdono la vita in modo simile tra loro e secondo un ordine sistematico. Inoltre la divisione fra un Occidente oppressore ed un Oriente, nelle vesti di Alatiel, oppresso non è poi così netta. Abbiamo infatti visto come la stessa fanciulla impari a trarre il massimo profitto da ogni nuovo amante che si succede e addirittura a non dispiacersi delle gioie d’amore che di volta in volta le si prospettano.
A risultare vincitrice, alla fine, è proprio lei: nonostante i ripetuti soprusi e i negativi eventi occorsi, lei riesce con furbizia a ribaltare la propria ingenuità ed inesperienza iniziale, mostrandosi disinvolta e decisa nella parte finale del racconto. Pertanto in questa novella non vi è affatto un’immagine negativa dell’Oriente, semmai è l’Occidente ad apparire senza scrupoli.
In modo analogo si svolge la novella seguente, quella di Gerbino. Infatti, anche in questo caso l’Oriente femminile è vittima di un Occidente carnefice, impersonato dal principe Gerbino, il quale, pur di vendicare la propria amata, fa strage di saraceni, pagando con la vita questo folle gesto.
In entrambe le novelle emerge chiaramente la crudeltà dell’Occidente, dominante con la forza, ma sconfitto sul piano del racconto. Gli amanti di Alatiel muoiono, così come Gerbino, mentre il re Guglielmo, che fa giustiziare il nipote, è costretto a sottostare alla parola data al re di Tunisi, verso il quale nutre rispetto, stima ma soprattutto lealtà. Egli non si pone di certo in una posizione gerarchicamente dominante, sebbene nel racconto Tunisi risulti essere sotto l’amministrazione siciliana.
La prima e l’ultima novella, rispettivamente quelle di Melchisedec e Torello ,propongono un altro aspetto, forse ancor più evidente del precedente,
del rapporto fra Occidente e Oriente. Infatti in ambedue le novelle si rende evidente una reciproca lealtà e rispetto fra queste due entità.
Abbiamo visto che nella novella di Melchisedec i due personaggi, l’usuraio ebreo e il Sultano, partono da reciproche diffidenze, scaturite proprio dai rispettivi stereotipi tanto accusati da Said, per giungere infine ad un’amicizia inizialmente impensabile tra i due. Tale legame nasce sul comune terreno del confronto religioso (il racconto di Melchisedec) e sulla riconosciuta saggezza e diplomazia da parte del Sultano nei confronti dell’anziano ebreo. È palese infatti che in questo racconto le tre religioni siano trattate con eguale rispetto e dignità perché figlie dello stesso Dio.
La novella di Torello non tocca, come la precedente, la dimensione religiosa e didascalica, ma è altrettanto esemplare della collaborazione fra culture diverse, addirittura fra schieramenti in guerra fra loro.
Senza ripercorrere la trama, già ampiamente riportata nel capitolo dedicato, ricordiamo la cordialità senza limiti, a tratti eccessiva, di Torello verso degli estranei, che si riveleranno essere poi il Sultano con il proprio seguito. La grande ospitalità del padovano sarà poi ricambiata a tempo debito dallo stesso Sultano, nel momento del bisogno, ovvero quando Torello si troverà prigioniero in terra pagana.
In queste ultime due novelle dunque gli stereotipi orientali sono decisamente ribaltati, con un evidente intento letterario. Il Sultano della novella di Melchisedec si dimostra tanto saggio quanto l’ebreo, il quale dal canto suo abbandona l’etichetta dell’usuraio avido, per concedere più del dovuto. Il sultano della novella di Torello invece non si dimostra affatto crudele e senza scrupoli, bensì riconosce il valore del reciproco aiuto, che oltrepassa le ragioni belliche della crociata, nel nome di una comunanza di valori umani.
Anche nel caso dei canti scelti dalla Gerusalemme Liberata gli stereotipi vengono sfumati in un’ampia tavolozza di episodi e significati dal genio artistico di Tasso. Senza scendere nel dettaglio della trama di ciascun canto, vengono qui riportati i tratti salienti, necessari a quest’ultima analisi.
Nella Liberata gli stereotipi sono funzionali a Tasso per esprimere istanze che vanno ben oltre la critica e la denigrazione all’alterità orientale. Infatti abbiamo visto come in realtà i due schieramenti, quello musulmano e quello cristiano,
siano nient’altro che un emblema di due sistemi di valori per certi versi antitetici: da un lato quelli rinascimentali, impersonati dalla fazione pagana, dall’altro quelli propri della Controriforma, appannaggio invece dell’esercito cristiano e crociato.
Scendendo poi nel dettaglio, è vero che i pagani sono descritti attingendo ad un pozzo di pregiudizi e luoghi comuni, seguendo un tipico canone occidentale di rappresentazione dell’esotico; in altre parole aderendo al sistema criticato da Said. Tuttavia è pur vero che questi stereotipi, pur essendo caratterizzanti per le identità dei personaggi, non sono quasi mai stabili e immutabili, ma che l’intento di Tasso è proprio quello di ribaltarli e screditarli.
Mai come in Tasso vediamo quanto il confine fra Oriente e Occidente sia in realtà sfumato e tutt’altro che netto.
È vero, i due schieramenti sono opposti militarmente però l’autore si focalizza spesso su episodi ed eventi, alcuni dei quali analizzati nei nostri quattro esempi, che mostrano un costante scambio di ruoli e ripensamenti, tali da mettere in dubbio l’impianto critico, basato su entità diverse e diametralmente opposte, adottato da Said.
Esempio di ciò non è solo la conversione di Clorinda e Armida, quest’ultima peraltro lasciata in sospeso, ma anche, di contro, l’abbandono di Rinaldo al paradisiaco giardino di Armida, nel quale l’eroe cristiano si lascia andare all’erotismo e alla lussuria, dimenticando la propria vocazione e degradando la propria condizione di soldato.
Oltre a questi personaggi che abbracciano un nuovo sistema di valori, o lo adottano temporaneamente, vi sono poi veri e propri esempi di ibridi. Su tutti, abbiamo visto i due maghi: Ismeno e il Mago di Ascalona, entrambi sono personaggi ibridi, appunto, e speculari.
Il primo è nato cristiano e si è convertito all’Islam, percorso inverso ha fatto invece il secondo. Ismeno utilizza tutte le proprie arti magiche a fini ingannatori e malefici contro i cristiani, il Mago di Ascalona è invece portatore di magia positiva, aiutando Carlo e Ubaldo a non perdersi nel labirintico giardino di Armida per ritrovare Rinaldo.
Possiamo quindi notare che nella Liberata, caposaldo indiscusso della letteratura occidentale, non vi siano tendenze propagandistiche. Oriente e
Occidente sono categorie miste e interconnesse, tra le quali è possibile, lecito e anche auspicabile (come nel caso delle redenzioni di Armida e Clorinda) un passaggio e un cambiamento di condizione.
Proprio tale cambiamento di condizione è la cifra letteraria che traccia un solco con l’idea che ha Said riguardo i testi cosiddetti classici della letteratura europea: non meri pamphlet ideologicamente ispirati e indirizzati, bensì testi in