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Ancora sull’argomento del De Trin 5,2,3: un secondo problema

2. SULL’ESSENZA IN SANT’AGOSTINO

2.4 Ancora sull’argomento del De Trin 5,2,3: un secondo problema

Dunque in De Trinitate 5,2,3 Agostino afferma che Dio è senza dubbio ‘sostanza’ o, se co- sì è meglio chiamarla, ‘essenza’ (sine dubitatione substantia, vel, si melius hoc appellatur,

essentia), che i Greci chiamano ousia (quam Graeci vocant ousia). E infatti (enim) come

sapientia è detta da sapere (ab eo quod est sapere dicta est sapientia) e come scientia è detta da scire (ab eo quod est scire dicta est scientia), così anche essentia è detta da esse (ab eo quod est esse dicta est essentia)112. Poi Agostino domanda: chi è maggiormente (quis magis est) di Colui che disse al suo servo Mosè: Io sono colui che sono; e: Dirai ai

figli di Israele: Colui che è mi manda a voi (Es 3,14)? Occorre rilevare il valore dell’enim: Agostino afferma che Dio è essenza, infatti (enim) essenza è detta da essere come sapienza da sapere.

111 La dottrina della sostanza in Aristotele pone com’è noto dei problemi. In particolare è problematica la di-

vergenza che si riscontra tra la trattazione in Categorie (cfr. 5,2a11-14) in cui Aristotele presenta come so- stanza ‘prima’ (cioè in senso proprio e principale) l’individuo concreto (ad esempio un certo uomo e un certo cavallo) e la trattazione in Metafisica XII in cui invece è data come sostanza ‘prima’ la forma separata dal sensibile, immobile ed eterna. Un secondo problema è posto da un’ulteriore discrepanza tra Categorie (cfr. 5,2a,15-19) in cui si sostiene che sono ‘sostanze seconde’ le specie e i generi che si predicano degli individui, e Metafisica VII (13,1038b8ss.) in cui si legge invece che i generi non possono in alcun modo essere consi- derati sostanza; inoltre sempre in Metafisica VII (11,1037a,5-7; 17,1041b7-9) ‘sostanza prima’ sembra es- sere la ‘forma’ che determina le sostanze composte e sensibili. Non approfondisco questi aspetti, pur impor- tantissimi; per un primo orientamento cfr. M. Bernardini, “Saggio introduttivo alle Categorie”, in Aristotele,

Organon, coordinamento generale di M. Migliori, Bompiani, Milano 2016, pp.3-158.

Quindi ricostruirei così il complesso ragionamento agostiniano: 1) l’essenza è detta da es- sere, 2) nessuno è maggiormente di Dio, il cui stesso nome è: Colui che sono, o: Colui che

è, 3) dunque Dio è senza dubbio essenza.

Osservo però che il ragionamento di Agostino è problematico. Cioè non sembra cogente; o almeno non esibisce di esserlo in modo immediato: se ‘essenza’ si ricava da ‘essere’ come ‘sapienza’ da sapere e ‘conoscenza’ da ‘conoscere’, come mai la sapienza non è ‘colui che è sapiente’ e la conoscenza non è ‘colui che conosce’, mentre l’essenza dovrebbe essere ‘colui (o ciò) che è’?

In altri termini: se Dio è ousia perché ‘è’ (cioè perché il suo nome è Qui est o Qui sum), si presuppone che l’ousia o essentia sia il quod est, ovverosia che essentia significhi: ‘qual- cosa che è’, ‘ciò (o ancora colui) che è’ (l’’essente’ o ‘ente’ dunque). Se però essentia si ricava da esse (come sapientia da sapere e scientia da scire), l’essentia non dovrebbe esse- re ‘colui che è’ o ‘ciò (o qualcosa) che è’ (quod est) come la sapientia non è ‘colui che sa’ e la scientia non è ‘colui che conosce’.

Domandiamoci: cos’è la sapientia? Cos’è la scientia? Per Aristotele la scienza è una quali- tà, dunque è ‘ciò secondo cui qualcosa è detto quale’, ovverosia è ‘ciò secondo cui’ qual- cuno è detto conoscente (cfr. Categ. 8). Per Agostino la sapienza non è un accidente e però, da un complicato passo di De Trin. 7 si evince che essa è comunque: ‘ciò per cui qualcuno è sapiente’, ‘ciò con cui’ qualcuno è sapiente, e infine ancora la ‘causa affinchè’ (causa ut) qualcuno sia sapiente; e quindi si è sapienti ‘per la sapienza’ (per sapientiam), ‘con la sa- pienza’ (sapientia), e ancora ‘a causa della sapienza’ (causa ut sapiens sit).

Scienza e sapienza non indicano quindi il sapiente e il conoscente, ma invece ciò ‘secondo cui’ qualcuno è detto sapiente e conoscente; e direi, anche: ciò ‘per cui’ qualcuno sa e co- nosce. O ancora direi: la ‘causa affinchè’ qualcuno sia sapiente e conoscente.

Ora chiedo ancora: sapientia e scientia che forma grammaticale hanno? Nei manuali di lingua latina (cito qui Sermo et humanitas) trovo che si tratta di nomi ‘che indicano qualità astratte’, di nomina qualitatis.113 Invece sapiens e sciens sono participi presenti ed indicano chi compie l’azione ‘in un determinato momento’; per indicare chi compie abitualmente l’azione i latini usavano invece i nomina agentis come scriptor, orator, genitor e genitrix. Come stiamo invece col termine essentia?

Dunque, riformuliamo: se essentia si ricava dal verbo esse come sapientia da sapere e

scientia da scire, essentia dovrebbe indicare ‘ciò secondo cui’ qualcosa (o qualcuno) è det- to essente, quindi ‘ciò per cui qualcosa è’; ed infatti essentia ha, come sapientia e scientia, la forma di un nomen qualitatis.114 Insomma essentia dovrebbe indicare ‘ciò secondo cui qualcosa è detto essente’, o, ancora, più ampiamente, sembra dover indicare ‘ciò per cui qualcuno o qualcosa è’, o ancora ‘‘a causa per cui è’.115

Quintiliano in Inst. Orat. 2,14,1-4 spiega che la forma essentia corrisponde a termini come

eloquentia, che è un nomen rei (letteralmente: ‘nome della cosa’) e si distingue dagli adpo-

siti (‘aggettivi’) elocutoria e elocutrix; o anche, essentia è simile a litteratura che si distin-

113 Cfr. N.Flocchini - P.Guidotti Bacci - M.Moscio, Sermo et humanitas. Corso di lingua e cultura latina,

Bompiani, Milano 2012, p.58-59.

114 Per C.H. Kahn invece ousia ha la forma di un nomen actionis. C.H. Kahn, J.W.The verb ‘Be’ and its synonims. Philosophical and grammatical studies, Reidel, Dordrecht 1972, pp.454-462. Agostino tratta dei nomi (de nomine) e dei nomi verbali (nomina verbalia) in Incipit Ars Sancti Augustini pro fratrum mediocri-

tate breviata (tr. it.: “La grammatica”, Città Nuova), Cap. II, De nomine; Cap. IV, De Verbo,16; non trovo nomi della I declinazione uscenti in –ia (come essentia).

115 Occorre però considerare che secondo sant’Ambrogio (cfr. De fide 3,15) il nome ‘ousia’ indica, o deriva

da: ‘ousa aei’, cioè, in latino, quod semper maneat: ‘ciò che permane sempre’; ora Dio ‘è’ ed ‘è sempre’, e perciò la ‘divina sostanza’ è detta ‘ousia che permane sempre’. Scrive Ambrogio: aut quid est ousia, vel unde

dicta, nisi ousa aei, quod semper maneat? Qui enim est et est semper, Deus est, et ideo manens semper ousia

gue da letteratrix e litteratoria; o ancora è simile a termini come amicitia e philosophia. (Benchè essentia sia un termine ‘duro’, come anche altri nomi latini formati dal greco, ad esempio queentia116). Quntiliano osserva ancora che il nomen rei esprime la substantia; di- stingue quindi i termini indicanti la sostanza come eloquentia, litteratura, essentia e queen-

tia, dai nomi indicanti colui o ciò che possiede quella cosa o la esercita come litteratrix e

litteratoria, elocutrix ed elocutoria.

Dunque riassumo: essentia dovrebbe corrispondere a termini come sapientia, scientia, elo-

quentia, amicitia, ecc., ed indicare quindi ‘ciò per cui’ o ‘secondo cui’ qualcosa ‘è’, e non ‘colui o ciò che è’. Più in dettaglio: sapientia e sapiens, come anche essentia ed essens, sa- rebbero ‘paronimi’. Cioè: sapiens è ‘paronimo’ di sapientia ed essens sarebbe paronimo di

essentia. Ma è ‘paronimo’ ciò che prende il nome da ‘altro’; appunto: l’uno (il paronimo) non è l’altro (ciò di cui è paronimo). (Cfr. Par. Them., 22,7-25,4.)

Come mai allora Agostino sembra qui identificare l’essentia e il quod est? Come mai sem- bra dire che Dio è ‘essenza’ perche ‘è’? Come mai essentia sembra coincidere con ‘essen- te’?

In altri termini ancora, l’argomento di De Trin. 5,2,3 è (o sembra) antinomico, o comunque (se sono valide le nostre osservazioni su essentia e sapientia) esprime una qualche aporeti- cità. Infatti, sembrerebbe coerente dire: Dio è essenza perché ‘è’, e quindi l’essenza è ‘ciò (o qualcosa) che è’. Oppure, diremmo, con uguale coerenza: essenza è come sapienza, quindi indica ‘ciò per cui qualcosa è’, e perciò Dio, in quanto ‘è’, non è essenza, ma (al li- mite) ‘ha’ un’essenza o è ‘per’ l’essenza. Invece Agostino scrive: Dio è essenza perché ‘è’, e infatti (enim) ‘essenza’ è come ‘sapienza’. O anche: ‘essenza’ è da ‘essere’ come ‘sa- pienza’ da ‘esser sapiente’ (sapere), e quindi Dio, in quanto ‘è’, è certamente ‘essenza’. Ora fra i due enunciati collegati da enim sembra esserci una qualche frizione. Come mai? Anzitutto serve un’ulteriore paronamica sui testi di Agostino per verificare se non occorra qualche altra accezione dell’essentia oltre a quella del quod est che s’è già mostrata, e per vedere se si parli dell’essentia anche come di ‘ciò per cui qualcosa è’.

In alcuni passi ritornerà ancora l’accezione dell’ousia come quod est. Non è mai facile né forse è possibile isolare un tema o una nozione nell’opera di Agostino. I temi vengono in- vece trattati insieme; e spesso se vengono separati gli uni dagli altri perdono di significato. Così è anche per le diverse accezioni di essentia che tuttavia per ragioni espositive cerco di trattare distintamente.