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Per concludere Teologia negativa e teologia affermativa

1. NOTE SU SOSTANZA E RELAZIONE NEL DE TRINITATE DI SANT’AGOSTINO

1.16 Per concludere Teologia negativa e teologia affermativa

Ora tralascio la vicenda di Agostino e gli Ariani. Mi interessa invece qualche riflessione sul significato e il valore della negazione in teologia secondo Agostino. L’intero passaggio appena visto verte appunto sull’uso della particella negativa (‘non) e sul valore della ne- gazione. Riporto i punti essenziali, da 5,7,8:

- con la particella negativa (particula negativa) ‘non’ (o ‘in-’) soltanto (tantum) si nega (negatur) ciò che senza questa particella veniva affermato (aiebatur). Aggiungendo il ‘non’ (o ‘in-’) dunque non si ottiene nient’altro che di negare ciò che senza il ‘non’ (o sen- za l’‘in-’) veniva affermato;

- poi ancora leggiamo: non c’è alcun genere di predicamento (nullum praedicamenti genus

est) secondo il quale (secundum quod) vogliamo affermare qualcosa (aliquid aire volu-

mus), senza che (nisi ut) siamo costretti (convincamur) a negare (negare) secondo lo stesso predicamento (secundum idipsum praedicamentum) se avremmo preposto (si praeponere

voluerimus) la particella negativa (particula negativa). Soffermiamoci, è importante; può forse riformularsi così: data un’affermazione qualsiasi, se aggiungiamo la particula ‘non’, otteniamo una negazione; ad esempio: ‘è uomo’ (affermazione), ‘non è uomo’ (negazione); o: ‘è bianco’ (affermazione), ‘non è bianco’ (negazione), ecc. Ora Agostino ha dato un’in- dicazione importante: se l’affermazione è secondo un certo genere di predicamento (ad e- sempio secondo la sostanza come: ‘è uomo’), o secondo la qualità (come: ‘è bianco’), o se- condo la quantità (come: ‘è di due cubiti’) ecc., la negazione ottenuta aggiungendo a questa

64 Cfr. su questo aspetto F.-J. Thonnard, “Ontologie Augustinienne”, p. 52, in L’année theologique augusti- nienne, XIV, 1954, pp. 41-53.

affermazione la particula ‘non’ (o il prefisso ‘in-’, come in ‘in-genito’ ecc.), dovrà essere necessariamente secondo il medesimo genere di predicamento;

- ed ancora leggiamo: ‘con l’aggiunta della particella negativa non si recede (non recedi-

tur) dal predicamento (a predicamento)’;

- e: ‘sia con l’affermazione che con la negazione (utraque significatio) ci si muove e si ver- te (vertitur) nel medesimo predicamento’.

Dunque? È possibile trarne qualcosa?

Domando, anzitutto: la negazione ‘eccede’ il predicamento? Agostino (atteniamoci a que- sto) scrive: la negazione non muta il predicamento (non alium genus pradeicamenti enun-

tiat) e con la negazione non recediamo (non receditur) dal predicamento. La negazione non è dunque meno problematica dell’affermazione, ma comporta le stesse difficoltà: ‘verte’ nel (vertitur in; anche: ‘volge al’, ‘si rivolge verso il’) medesimo predicamento. Sempre predichiamo secondo lo stesso genere di predicamento (secundum idipsum praedicamen-

tum) sia che affermiamo (aire) sia che neghiamo (negare). Questo deve valere (direi) anche circa Dio.

Riformulo: se l’impensabilità di Dio (incomprehensibilis) è connessa (come nei due passi di De Trin. 7,4,7 e Conf. 4,16) alla Sua ‘eccedenza’ (excedit) rispetto al quadro categoriale (usitati eloqui facultatem), dunque al fatto che niente si predica di Dio secondo il genere e la specie e che inoltre niente si predica secondo l’accidente, la negazione (che avviene co- munque ‘secondo il medesimo genere di predicamento dell’affermazione’) può da sola ga- rantire quest’impensabilità? Dicendo ‘Dio non è buono’, non recediamo con ciò dal predi- camento della qualità; e negando che Dio è sostanza, e cioè dicendo ‘Dio non è sostanza’, non recediamo solo per questo dal predicamento della sostanza, ma stiamo e ci muoviamo ancora in esso. L’enunciato ‘Dio non è sostanza’ è ugualmente (a me sembra) un enunciato (pur negativo) secondo (secundum) il genere di predicamento (praedicamenti genus, cfr.

De Trin. 5,7,8) della sostanza. Perciò questa modalità del discorso teologico (‘negativo’) come può garantire l’impensabilità di Dio?

Cosa rispondiamo? Mi limito ora ad osservare questo: l’eccedenza di Dio sembra procurata da Agostino in un modo più complesso della semplice negazione e cioè elaborando una predicazione circa Dio in cui niente è detto secondo l’accidente, bensì tutto secundum sub-

stantiam ma non secondo il genere e la specie (generale vel speciale nomine; secundum

genus et speciem), e inoltre qualcosa si dice secundum relativum ma non secondo l’acci- dente. (In De Trin. 5,8,9 (spiegando in quale modo debba riferirsi a Dio ciascuno dei pre- dicamenti aristotelici) Agostino distingue i predicati ad se (come ‘essenza’, ‘Dio’, ‘gran- de’, ‘buono’, ecc.) che si dicono tutti substantialiter, dai predicati ad aliud che si dicono

relative. Poi aggiunge che gli altri predicamenti (come il sito (situs) e l’avere (habitus), il luogo (loca) e il tempo (tempora) si dicono di Dio non propriamente (non proprie) ma in modo traslato (sed translate) e per similitudine (ac per similitudines) (ad esempio che ‘sie- de sopra i cherubini’ che ‘è rivestito d’abisso’, che ‘suoi anni non passano’, che ‘sta in Cie- lo’, ecc.); il fare (quod ad faciendum attinet) invece si dice forse verissimamente solo di Dio (fortassis de Deo solo verissime dicatur): Dio solo infatti ‘fa’ (facit) senza essere fatto (et ipse non fit), né patisce alcunchè quanto alla sua sostanza (nec patitur quantum ad eius

substantiam pertinet).65)

Ancora: Dio è certamente essentia o substantia (ousia), perché ‘è sommamente e veramen- te’ (De Trin., 5,2,3), e però non è compreso in nessun genere; e: di Dio si predica secun-

dum substantiam ma non secundum genus et speciem, e secundum relativum ma non se-

cundum accidens.

Perciò Trapè giustamente osserva: “Bisogna proprio dire che Agostino è andato molto a-

65 Mi sembra che qui compaiano tra i predicati ad se: la sostanza (come essentia, Deus), la quantità (magnus;

vanti sulle piste della teologia apofatica. Ma gli si farebbe torto, e e si farebbe torto a noi stessi, se pensassimo che si è fermato solo a questo aspetto”.66

C’è allora riguardo a Dio un modo di predicare che è ‘affermativo’ perché di Dio si dicono molte cose ad se (come che è, e che è Dio, e che è buono, grande, onnipotente, ecc.) e ad

creaturam (come che è Principio, Creatore, Signore) e ad invicem (come che è Padre e Fi- glio e Spirito Santo), in cui però non avviene di ‘comprendere’ Dio secondo il genere e la specie e neppure di dire qualcosa di Lui secondo l’accidente, essendo altresì chiaro che per il nome persona in riferimento ai Tre non si trova una differenza (De Trin. 7,4,7) e che nel- la formula ‘un’essenza e tre persone’ non si dice ‘tre persone’ secundum individuum (cioè i Tre non sono ‘tre individui’ in una ‘specie comune’).

Dunque così c’è qui un Dio da ‘bene-dire’ (cui reddenda est benedictio, cfr. De Trin. 5,1,1) che nondimeno è ‘ineffabile’ (ineffabilis) e quindi ‘non può essere detto’ (nec dici possit;

De Gen. ad litt. 5,16,34) perché non Gli è adeguato nessun ‘dire’ (cui nulla competit dictio,

De Trin. 5,1,1 ). E ancora: un Dio ‘a cui (de, di cui, circa cui, riguardo a cui) pensare sem- pre’ (de quo semper cogitare, 5,1,1) e che nondimeno ‘non può essere pensato’ (de quo di-

gne cogitare non possumus, 5,1,1) degnamente né ‘capito’ (da capere; Serm. 52,6,16: si

cepisti, non est Deus) né ‘compreso’ (cfr. Serm. 52,6,16: si comprehendere potuisti, aliud

pro Deo comprehendisti).

L’antitesi tra il pensare Dio e la Sua impensabilità, e ugualmente tra il dire qualcosa di (di-

cere de) Dio e la Sua ineffabilità, è acuita dal fatto che qui l’enunciare (che è un dire e un pensare, cfr. Arist., De Interpr. 4,16b,26; 4,17a,3-4: oratio est vox significativa (…); enun-

tiatio (…) oratio (…) enuntiativa (…) in qua verum vel falsum inest67) ha un carattere af- fermativo (anche la negazione, o apofasi, è infatti un’enunciazione, cfr. Arist. De Interpr. 5,17a,9-10: est autem una prima oratio enuntiativa adfirmatio, deinde negatio), cioè qui si enuncia affermativamente: si enuncia qualcosa (che ‘è’, ed ‘è Dio’, ed ‘è grande’ ecc., e che ‘è creatore’, ed ‘è Signore’, ed ancora che ‘è Padre’ e ‘Figlio’ e ‘Spirito Sant’”) di (de, ‘riguardo a’, ‘attribuito a’) qualcosa (cioè di Dio-Trinità) e non semplicemente si enuncia qualcosa ‘da’ (ab, ‘sottratto a’) qualcosa (come avviene invece nella negazione, cfr. Arist.,

De Interpr. 6,17a,25-27: adfirmatio est enuntiatio alicuius de aliquo, negatio vero enuntia-

tio alicuius ab aliquo). Cioè qui si afferma qualcosa di ‘positivo’ (‘essenza’, ‘Dio’, ‘buo- no’, ‘creatore’, ‘Signore’, e ‘Padre’, ‘Figlio’, ‘Spirito Santo’) circa Dio benchè Dio resti

ineffabilis e incomprehensibilis.

Agostino espone talvolta questo contrasto in modo iconico. In due immagini particolar- mente belle: mira profunditas (cfr. Conf. 12,14,17), inaccessibilis lux (cfr. De Trin. 2,1).68 Provando a scomporre: mira (mirus, a, um, “meraviglioso”, da miror: “meravigliarsi”, ma anche “guardare”, “ammirare”) profunditas (da profundus: “profondo”, ma anche “sotter- raneo”, “abissale”); e: inaccessibilis (da in- (“non”) accedere, a sua volta da ad- (che indi- ca moto verso un luogo, quindi: “verso”) cedere (“andare”), e dunque inaccessibilis: “inac- cessibile”) lux (“luce”)). Le due icone espongono bene (a me sembra) il contrasto in Ago- stino tra pensiero e incomprensibilità di Dio, che viene tradotto nel contrasto tra mirabilitas (“mirabilità”, cioè il carattere di ciò che è “mirabile”) e profunditas (“profondità”, “abissa- lità”) o tra lux (“luce”) e inaccessibilitas (“inaccessibilità”).69

Dunque ripetiamo: affermiamo di Dio (Uno-Trino) molte cose (‘è buono’, ‘è grande’, ecc.;

66 Cfr. A.Trapè. S.Agostino: l’ineffaibilità di Dio, cit., p. 6.

67 Traduzione latina di Boezio: Liber periermeneias Aristotelis, in Aristoteles latinus, I, Bruges-Paris 1961. 68 L’espressione “luce inaccessibile” è in San Paolo, 1 Tim 6,16. Su Agostino e San Paolo cfr. AA. VV., A- gostino lettore e interprete di Paolo. Lectio Augustini XX Settimana Agostiniana Pavese, Institutum Patristi-

cum Augustinianum, Roma 2008.

‘è Dio’, ‘è essenza’; ‘è Creatore’, ‘è Signore’, ecc.; ‘è Padre’, ‘è Figlio’, ‘è Spirito Santo’) e nondimeno Dio resta incomprensibile (è infatti ‘buono senza qualità’, ‘grande senza quantità’ ecc.; è ‘Dio’ ed ‘essenza’ ma ‘non come genere né come specie’; inoltre le Perso- ne sono ad invicem ‘secondo una relazione non accidentale’ e pur essendo ‘Tre’ distinte sono ad creaturam ‘un unico' Creatore e Signore ecc., come sono ad se un unico Dio e una sola essentia)70.

In due icone: Mira profunditas, inaccesibilis lux.