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2. SULL’ESSENZA IN SANT’AGOSTINO

2.1 Su un argomento agostiniano

Incominciamo dunque dal De Trinitate. E veniamo subito al punto decisivo. In De Trinita- te 5,2,3, Agostino afferma anzitutto che Dio è ‘senza dubbio’ sostanza, o meglio essenza, che i greci chiamano ousia (Est tamen sine dubitatione substantia, vel, si melius hoc appel-

latur, essentia, quam Graeci vocant ousia). Poi argomenta così: l’essenza infatti (enim) ‘è detta da ciò che è essere’ (ab eo quod est esse dicta est essentia) come la sapienza ‘è detta da ciò che è essere sapiente’ (ab eo quod est sapere dicta est sapientia) e la conoscenza ‘è detta da ciò che è conoscere’ (ab eo quod est scire dicta est scientia). E infine domanda: ma chi è ‘più’ di Dio (quis magis est)? Dio infatti ha detto: “Io sono Colui che sono”, e: “dirai agli Israeliti: Colui che è mi manda a voi” (Es 3,14): Ego sum qui sum; Qui est misit

me ad vos.

Riassumo i tre enunciati:

1) Dio è senza dubbio sostanza o essenza che i Greci chiamano ousia; 2) infatti (enim) l’essenza è chiamata così da essere;

3) e nessuno è più di Dio.

Mi pare che il ragionamento sia questo: a) l’essenza è chiamata così dal verbo essere (co- me la sapienza da essere sapiente e la conoscenza da conoscere), b) nessuno ‘è’ più di Dio (Dio ‘è’ massimamente), c) e dunque Dio è senza dubbio sostanza o (meglio) essenza che i Greci chiamano ousia.

L’argomento è presente in molti altri luoghi nell’opera di Agostino; e pone (mi sembra) al- meno due problemi:

71 Il nome essentia è rilevante nell’opera di Agostino, specialmente nel De Trinitate, come L. Ayres ha osser-

vato: “essentia is most extensively used in De Trinitate: out of 182 uses in Augustine’s corpus, 118 are to be found in this work”, cfr. L. Ayres, “Being”, in Augustine through the Ages, Allan D. Fitzgerald (ed.), 1999, pp.96-98 (tr. it.: “essentia è usato più diffusamente nel De Trinitate: delle 182 citazioni presenti nelle opere di Agostino, in questa se ne trovano 118”, cfr. L. Ayres, “Essere (Esse, essentia)”, in Allan D. Fitzgerald (ed.), Agostino, dizionario encicolpedico, ed. it. a cura di L. Alici – A. Pieretti, Città Nuova, Roma 2007, pp. 664-667, p.666).

1) primo problema: sembra che qui l’essentia (ousia) coincida in qualche modo col quod

est, cioè con ‘ciò (o qualcosa) che è’. Infatti se Dio è essenza perché il suo nome è Qui est, cioè perché ‘è’ massimamente e veramente, si vede che qui l’essenza (ousia) è ‘ciò che è’, o quod est.

O ancora: se Dio è essenza perché ‘è’, ‘essenza’ deve indicare quod est.

Questa convergenza o sovrapposizione semantica tra substantia o essentia e quod est non è però scontata, pone invece un problema. Infatti noi sappiamo che quod est traduceva (nel mondo latino antico e tardo antico) il termine greco to on, che i medioevali avrebbero poi tradotto con ens, e che noi possiamo tradurre con ‘ente’ o ‘essente’. Ora, benchè l’essenza o sostanza (ousia) ‘sia’, e sia quindi un ‘ente’, essa però non sembra coincidere da sola in- teramente con l’ente: ci sono infatti altri ‘enti’, altre cose che non sono ousia, ma di cui di- ciamo che in qualche modo ‘sono’. Agostino in De Trin. 5,2,3 parla degli ‘accidenti’ (ac-

cidentia), che appunto ‘accadono’ (accidere) alle sostanze, sono ‘ricevuti’ dalle sostanze (essentiae, sive substantiae, capiunt accidentia; tra i significati di capere: ‘prendere’, ‘ac- cogliere’). In 5,4,5, l’accidens è ciò che ‘accade a qualcosa’ (eius rei cui accidit); esempi di accidente sono certe qualità come il colore nero delle piume del corvo (plumae corvi co-

lor niger) o dei capelli dell’uomo (capillis hominum nigritudo). In 5,5,6 c’è un elenco di ciò che si dice ‘secondo accidente’ (secundum accidens, e non ‘secondo sostanza’, nec (…)

secundum substantiam): le ‘grandezze’ (et magnitudines) e le ‘qualità’ (et qualitates), le ‘relazioni’ (et quod dicitur ad aliquid, ‘ciò che è detto in relazione a qualcosa’) (come ad esempio l’amicizia, le parentele, le servitù, le somiglianze, le uguaglianze ecc.), “la posi- zione” (et situs) e “il modo d’essere” (et habitus), il luogo (et loca) e il tempo (et tempus), le azioni (et opera) e le passioni (atque passiones). (C’è qui come un riferimento alle cate- gorie di Aristotele, cfr. Categorie 4,1b,25- 2a,5. Ci torneremo.) Ancora, in De Trin. 7,5,10, le qualità accidentali sono quelle che si dicono ‘essere in un qualche soggetto’ (ea quae in

aliquo subiecto esse dicuntur) come il colore e la forma ‘in’ un corpo (sicut color aut for-

ma in corpore). (Qui ancora l’espressione in subiecto ricorda Aristotele, en hypokeimenou, in Categ. 2,1a,20- 1b,6). In Conf. 4,16,28 Agostino distingue le sostanze (de substantiis) come ad esempio l’uomo (sicuti est homo) da quelle cose che esistono in esse (et quae in

illis essent) come la figura dell’uomo (figura hominis), dunque quale egli sia (qualis sit), e di che statura (statura), cioè di quanti piedi (quot pedum sit), e la parentela (et cognatio), ad esempio di chi sia fratello (cuius frater sit), e dove sia stabilito (ubi sit constitutus), e quando sia nato (quando natus), e se stia in piedi o seduto (aut stet aut sedeat), e ancora se sia calzato o armato (calceatus vel armatus), e se faccia o patisca alcunchè (aliquid faciat

aut patitur aliquid), e qualunque altra cosa in questi nove generi (et quaecumque in his no-

vem generibus) o in quel genere della sostanza (vel in ipso substantiae innumerabilia repe-

riuntur).

Consideriamo dunque questo: l’ente non dovrebbe coincidere con l’essenza; infatti anche dell’accidente, e più ampiamente di ciò che non è ousia, diciamo che in un certo senso ‘è’, che è ‘ente’. Quindi l’essentia ed il quod est (ousia e to on) dovrebbero rimanere distinti. In De Trin. 5,2,3 sembra invece emergere un’accezione dell’ousia (sostanza o meglio es- senza) come quod est: come ‘ciò (o qualcosa) che è’. L’ambito dell’ente (to on, quod est) sembra contrarsi, convergere e ritirarsi nella categoria (o significato) della sostanza o es- senza (ousia). O anche: l’essenza (ousia) sembra qui potersi semplicemente convertire con

quod est (to on). Perché?

Riformulo. Noi diremmo: 1) ‘ente’ è quod est, 2), ‘ente’ (‘è’) è detto di molte cose: sia del- l’ousia sia di ciò che non è ousia 3) e dunque ousia e quod est non coincidono. Oppure di- remmo: 1) ‘ente’ è quod est, 2) quod est coincide con ousia, 3) dunque solo dell’ousia di- ciamo ‘che è’; solo l’ousia ‘è’. Invece (qui, in De Trin. 5,2,3, sembra) diciamo: 1) ‘ente’ è

quod est (traduce to on) 2) in qualche modo ‘è’, è ‘ente’, anche ciò che non è ousia e quin- di ousia e quod est (to on) non dovrebbero coincidere, 3) e nondimeno ousia è quod est (in- fatti Dio ‘è ousia’ perché ‘è’).

Come mai si sono invertiti i termini?

2) Secondo problema: se sostanza o essenza è ‘qualcosa che è’ (quod est), perché essenza si ricava dal verbo essere come sapienza dal verbo sapere e conoscenza dal verbo conosce- re? La sapienza infatti non è ‘colui che è sapiente’ e la conoscenza non è ‘colui che cono- sce’, bensì la sapienza sembra ‘ciò per cui è qualcuno sapiente’, e così anche la conoscenza sembra ‘ciò per cui’ qualcuno è detto conoscente.

Come mai allora l’essenza è quod est ovverosia ‘ciò che è’? Riformulo. Noi diremmo, con una certa coerenza: 1) essentia è da essere (come sapientia è da sapere) e dunque dovrebbe indicare ‘ciò per cui qualcosa è’ (come sapientia indica ‘ciò per cui qualcuno è sapiente’), 2) Dio ‘è’ cioè il Suo nome è Qui est, 3) e quindi (diremmo) Dio ‘ha’ l’essentia (o ‘è per’ l’essentia). Oppure diremmo, con uguale coerenza: 1) Dio ‘è’, il Suo nome è Qui est, 2) Dio è ‘perciò’ essentia, 3) e dunque l’essentia è quod est: ‘ciò (qualcosa) che è’. Invece con Agostino (sembra) ci troviamo a scomporre i due ragionamenti e, incrociandone i ter- mini, a dire: 1) essentia è da esse come sapientia da sapere e quindi dovrebbe indicare ‘ciò per cui qualcosa è’, 2) Dio certamente ‘è’, è Qui est, 3) e dunque Dio è certamente essen-

tia. Come mai? Infatti sembra (a me, almeno) che 3) non consegua in modo evidente da 1) e 2).

Essentia che si ricava da esse come sapientia da sapere potrebbe però anche indicare l’esse (cioè ‘l’essere’, l’atto di ‘essere’). Resterebbe comunque l’aporia nell’argomento di De

Trin. 5,2,3. Così formulata: 1) l’essentia è ‘l’essere’, 2) Dio ‘è’, cioè è Qui est, 3) dunque Dio è essentia. Ora anche qui 3) non consegue da 1) e 2). Più coerente sarebbe invece dire: 1) l’essentia è l’esse, 2) Dio ‘è’, è Qui est, 3) e dunque Dio ‘ha’ l’essentia (ha l’esse). Op- pure ugualmente: 1) Dio è essentia, 2) infatti Dio ‘è’, è Qui est, 3) quindi l’essentia è quod

est: è ‘ciò (qualcosa) che è’, e non l’esse (‘l’essere’). Come mai Agostino sembra invertire gli enunciati?

Tratteremo anzitutto il primo problema e metteremo in luce una prima accezione di ‘essen- za’ come quod est. Poi tenteremo di risolvere il secondo problema e vedremo se emergerà qualche altra accezione del termine essentia.