• Non ci sono risultati.

L’essenza: Qui est, qua est Complessità del linguaggio agostiniano

2. SULL’ESSENZA IN SANT’AGOSTINO

2.27 L’essenza: Qui est, qua est Complessità del linguaggio agostiniano

Dio dunque ‘è’ massimamente: ed è infatti la ‘sua’ essenza. Ed ‘è sapiente’ in sommo gra- do ed è la ‘sua’ sapienza. Ed ‘è grande’ in sommo grado e perciò è la ‘sua’ grandezza ecc. Ora qui abbiamo: essenza, sapienza, grandezza, ecc.; e poi anche: ‘è’, ‘è sapiente’, ‘è gran- de’ ecc., cioè: ‘essente’, sapiente, grande ecc.

Ora ‘essenza’ dovrebbe corrispondere a ‘sapienza’ e ‘grandezza’, e queste dovrebbero cor- rispondere a ‘deità’. Invece a ‘sapiente’ e ‘grande’ dovrebbe corrispondere ‘essente’, e a questi dovrebbe corrispondere ‘Dio’. Non è però sempre così nei testi di Agostino: talvolta la ‘conversione’ sembra essere tra essenza, sapienza e Dio (e non, come ci aspetteremmo, deità). Questo perché il principio ‘Dio è ciò che ha’ rende complesso il linguaggio di Ago- stino.

Agostino utilizza entrambe le forme grammaticali: l’aggettivo (adpositum) e il nomen qua-

litatis. Dice che la Trinità è un ‘unico Dio’, ‘grande’, ‘buono’, ‘giusto’; e poi che la Trinità è un’unica ‘essenza’. Ora ‘Dio’ è un nome sostantivo, ‘buono’, ‘grande’, ‘giusto’, sono ag- gettivi; ‘essenza’ invece è un nomen qualitatis. Tuttavia essentia può indicare: 1) sia ‘ciò che è’, cioè il quod est (l’essens, o con termine scolastico: l’ens) (ma nel significato princi- pale di ciò che è in sé e non in altro); 2) sia ‘ciò per cui’ qualcosa è, e cioè la ‘sua’ natura; quest’accezione corrisponde meglio alla forma grammaticale di essentia che è appunto un

nomen qualitatis (come magnitudo, bonitas, iustitia etc.). (Del resto anche il nome natura si presta alla medesima equivocità: può indicare sia Dio sia la ‘sua’ natura. E lo stesso ca- pita con substantia.)

Ora domandiamo: quando Agostino scrive che Dio è un’unica essenza, quale accezione ha in mente? Che Dio (la Trinità) è un unico quod est, cioè un unico essens, un unico che ‘è’? Oppure che Dio (la Trinità) è un’unica essenza com’è un’unica deità, grandezza, bontà ec- c.? In altri termini: essentia è usato come convertibile con Deus, magnus, bonus ecc., op- pure come convertibile con deitas, magnitudo, bonitas etc.?

Agostino in realtà passa da un’accezione all’altra in un modo che rende molto complesso il suo linguaggio. Quando compare essentia (riguardo a Dio) può indicare sia Dio come quod

183 Ci sono forse sullo sfondo di questi problemi le antiche discussioni intorno alla dottrina delle Idee. Cfr. a

riguardo: D.J. Melling, Platone, ed. it. il Mulino, Bologna, 1994. L’autore (a proposito del Parmenide di Pla- tone, e in riferimento all’Idea di Bellezza) scrive: “Per sfuggire all’argomento del terzo uomo è necessario analizzare l’affermazione «la forma della Bellezza è bella» in modo che non ci impegni a includere la forma della bellezza in una classe di soggetti belli insieme ad altri esempi di bellezza – per esempio, Alcibiade e Carmide (…). È necessaria un’analisi diversa. La forma della Bellezza non è solo la causa della bellezza di Alcibiade e Carmide, è anche la Bellezza-in-sé. La forma della Bellezza non è solo causa di bellezza, è la Bellezza (…). La forma della Bellezza è bella = la forma della Bellezza è la Bellezza. Alcibiade è bello = Al- cibiade partecipa della Bellezza”, cfr. pp.148-149.

(o Qui) est sia l’essentia (come natura) ‘di’ Dio. Non è sempre facile o possibile distingue- re le due accezioni. Molte volte Agostino sembra suggerirle entrambe, e d’altronde (questo è importante) sono vere entrambe (riguardo a Dio): Dio è Qui est (noi diremmo: essens, o

ens) e Dio è anche il suo quo est (è ‘ciò per cui è’). Dio ‘è’ la ‘sua’ essenza.

Dicendo che Dio è essentia o substantia vengono significate molte cose: che Dio ‘è’, ed ‘è sommamente’; che ‘ha’ un’essenza e che però ‘è’ questa essenza; e quindi che ‘è per sé’ e ‘non per altro’.

Prendiamo ad esempio alcuni passi. In En. in Ps. 146,11 leggiamo: istam substantiam, i-

stam divinam incorruptibilemque naturam quis capit? Qui substantiam e naturam possono indicare sia Dio sia la ‘sua’ sostanza e natura. Questo non può più meravigliare quando s’è appreso che Dio ‘è ciò che ha’ (ed ‘è’ la ‘sua’ sostanza e natura). De Trin. 2,18,35 Agosti- no spiega che natura o substantia o essentia sono nomi con cui indichiamo ‘ciò stesso che Dio è’ (idipsum quod Deus est) ‘qualunque cosa è’ (quidquid est); e qui, ugualmente, può intendersi con questi nomi (natura, substantia, essentia) sia Dio ‘che è’ (Dio come Qui est) sia ‘ciò che Dio è’ e quindi la ‘sua’ essenza; e inoltre s’indica che Dio ‘è’ questa ‘sua’ es- senza. In De Trin. 2,16,27 viene ricordato che Mosè che chiese a Dio: ‘mostrami la tua so- stanza (ostende mihi substantiam tuam)’, e si spiega che non si intese altro che questo: ‘mostrami te stesso manifestamente affinchè io ti veda’ (ostende mihi temetipsum manife-

ste ut videam te). Quindi di nuovo qui la sostanza ‘di’ Dio (tuam) è Dio stesso (temetip-

sum). In Conf. 7,2,3 Agostino si rivolge a Dio così: quidquid es, id est substantiam tuam,

qua es. Qui Dio ‘è’ (es) la ‘sua’ (tuam) sostanza ‘per cui’ (qua) è. E ancora, in De Trin. 2,16,27 leggiamo che la ‘sostanza di Dio’ (substantia Dei) è ‘ciò stesso che Dio è’ (hoc ip-

sum quod Deus est); e qui non s’indica solo che la substantia di Dio è ‘ciò che Dio è’ (il ‘che cos’è’ di Dio), ma invece anche (e soprattutto) che Dio ‘è’ la ‘sua’ sostanza e cioè ‘è’ ciò che ‘ha’ e quindi ‘è’ ciò ‘per cui è’, ovverosia ‘è per sé’. In De Trin. 3,10,21 Agostino scrive che Dio non è visibile per (“per”, “quanto a”) ‘ciò che è’ e che ‘lui stesso è’ (per id

quod est atque idipsum est): qui (si può dire) prima si indica la sostanza (o forma) di Dio come ‘ciò che Dio è’ (il ‘suo’ ‘che cos’è’) e poi s’aggiunge che questa sostanza è proprio ciò che Lui stesso (idipsum) ‘è’. Come dire: Dio ‘è’ ‘ciò che è’; o anche: ‘ciò che Dio è’, Dio ‘è’.

Si osservi la ricchezza di questi passi di Agostino alla luce del principio: ‘Dio è ciò che ha’. In tutta l’opera di Agostino c’è una sponda tra l’essentia come ‘ciò che è’ (quod est) e l’essentia come ‘ciò per cui è’ (qua est).

Riformuliamo. È (mi sembra) ‘proprio’ di Dio che ‘è ciò che ha’. Non Gli è ‘comune’ con nessuna creatura questa circostanza: che ‘è tutto ciò che ha’. Ciò che dunque identifica Dio (come Dio) è il fatto che qualunque cosa ‘ha’, ‘è’. Dio è tutto ciò che predichiamo di Lui. Non solo che è Dio, ma anche che è buono, giusto, sapiente, onnipotente ecc., come anche che semplicemente è, tutto questo si deve dire di Dio in ordine a questa regola: che Dio ‘è ciò che ha’, o anche: ‘è ciò per cui è’. Ancora in altri termini (ma è lo stesso) potremmo di- re: Dio, tutto ciò che è, lo è ‘per sé’ e non ‘per altro’. È lo stesso: Dio ‘è ciò che ha’, e: ‘è per sé’ e ‘non per altro’.

Così: Dio è buono, e cioè ha la bontà; ma Dio è la bontà, dunque è buono per sé e non per altro. E: Dio è giusto, è giusto per la giustizia; ma Dio è la giustizia per cui è giusto, dun- que è giusto per sé e non per altro. E questo vale per ogni altro predicato, compreso che Dio semplicemente ‘è’; così: Dio ‘è’, e cioè ‘ha’ l’essenza, o anche è ‘per l’essenza’; ma Dio ‘è ciò che ha’, e dunque Dio ‘è ciò per cui è’, ‘è l’essenza per cui è’, e quindi è per sé e non per altro. E ugualmente: Dio ‘è Dio’, ‘ha’ la deità (deitas); ma Dio è la suà deità, e dunque è Dio per sé e non per altro.

Questa è (mi sembra) la differenza fra Dio e le sostanze create. Ad esempio: la creatura è buona, ha la bontà, ma non è la bontà; la ‘possiede’ ma non assolutamente, bensì ‘in parte’: ne ‘partecipa’. Dio invece è buono, ha la bontà, ma è la bontà; la possiede assolutamente. E quindi: Dio è buono per sé e non per altro.

In De Civ. Dei 11,16 Agostino scrive che fra le cose che in qualche modo sono (quae quo-

quo modo sunt) nessuna è ciò che Dio è (non sunt quod Deus est). Cosa significa: le cose non sono ‘ciò che Dio è’? Dovrebbe significare che nessuna cosa ha la (o è della) stessa natura di Dio (quod Deus est). Cosa significa? Come intenderlo? Ecco, io direi così (forse radicalizzando un po’): nessuna creatura ‘è ciò che ha’. O anche: nessuna creatura è in mo- do sommo e massimo. Più ampiamente: il ‘nome’ indica la natura (ciò che qualcosa è); ma il nome di Dio è Qui sum o Qui est o più semplicemente Est (Es. 3,14): ‘È’; dunque la dei- tà di Dio consiste in questo (‘essere Dio’ consiste in questo): ‘essere sommamente’ ed ‘es- sere ciò che si ha’.

Dunque dire che Dio ‘è Dio’ può anche significare (se non vado qui troppo oltre il testo di Agostino) che Dio ‘è ciò che ha’. ‘Dio’ vuol dire: ‘è ciò che ha’.

‘Dio’ si presenta al pensiero come antinomia.

Calcando la mano (per agitare qui un po’ il tema) potremmo dire: il bene per cui sono buo- ni e Dio e la creatura è lo stesso, è uno solo; ma Dio ‘è’ questo bene, la creatura invece lo ‘ha’ in parte, solo ne partecipa. Dio infatti è il bene di ogni cosa buona (Bonum bonorum), è ciò per cui è buono tutto ciò che è buono. Cfr. De Trin. 8,3,4: la terra è buona, il campo è buono, la casa è buona, l’aria è buona, l’amico è buono, la ricchezza è buona, il cielo è buono, il discorso è buono, il carme è buono, ecc.; buono questo, buono quello (bonum hoc

et bonum illud). Agostino invita qui a togliere ‘questo’ e ‘quello’ (tolle hoc et illud) e reste- rà il bene stesso (et vide ipsum bonum) che è Dio (Deum). Dunque quando sentiamo ‘que- sto è buono’, ‘quello è buono’, insieme al ‘questo’ e al ‘quello’, intendiamo (intellegis) an- che il ‘bene stesso’ (et ipsum), e se si potesse scorgerlo (perspicere) si scorgerebbe Dio. Ugualmente la grandezza (magnitudo) non è solo la grandezza ‘di’ Dio (che è Dio stesso), ma è anche la grandezza di ogni cosa grande: è ciò per cui è grande tutto ciò che è grande. Cfr. De Trin. 5,10,11: la vera grandezza è quella per la quale (qua) è grande tutto ciò che è detto grande (quid aliud magnum dicitur); e la grandezza stessa è grande ‘da principio’ (primitus) ed è superiore (excellentius) alle cose grandi per partecipazione ad essa; e Dio è Lui stesso è la stessa grandezza (ea igitur magnitudine magnus est qua ipse est eadem ma-

gnitudo). Così è anche per la bellezza: Dio è la sua bellezza (tua pulchritudo tu ipse sit, cfr.

Conf. 4,16,29) e Dio è ‘la bellezza di tutte le cose belle’ (pulchritudo pulchrorum omnium, cfr. 3,6,10).

C’è da fare quindi un’osservazione. Essentia sta a esse come sapientia sta a sapere e spes- so compare (in una delle accezioni viste) come ‘convertibile’ con magnitudo, pulchritudo,

bonitas, sapientia ecc. Quindi chiedo: oltre a indicare la natura ‘di’ Dio, cioè la ‘sua’ es-

sentia (che è Dio stesso), deve indicare anche ‘ciò per cui è’ tutto ciò che ‘è’? Cioè Dio è l’essenza per cui è tutto ciò che è? Come è la grandezza per la quale è grande tutto ciò che è grande? E come è il bene (bonum, o la bontà: bonitas; Agostino li usa entrambi) per cui è buono ogni buono (il Bene dei buoni)? E come dovremmo declinare qui la locuzione ‘ciò per cui’? Dio è causa ut (omnia) sit? Ma che tipo di ‘causalità’ è? Questa domanda apre ad una dimensione ulteriore, quella del rapporto tra Dio (Creatore e Signore) e la creatura, che non è a tema in questo lavoro. Si dovrebbero approfondire le nozioni di ‘creazione’ (ex ni-

hilo) e ‘partecipazione’ in Agostino, passando per alcuni testi (in particolare penso al De

Genesi ad litteram e al De natura Boni) e considerando i luoghi in cui Agostino si soffer- ma sull’espressione di San Paolo (1 Cor 8,6; Rom 11,36): ex quo omnia, per quem omnia,

norum in Agostino, presente in San Tommaso d’Aquino, Quaestio de Veritate, 21,a.4: qui si distingue Dio Primo Bene come causa ‘efficiente’ ed ‘esemplare’ dal bene creato che è una ‘forma inerente’ alla creatura; Tommaso (parlando di Agostino) scrive: et ideo verba

sua sic sunt intellegenda, ut ipsa divina bonitas dicatur esse bonum omnis boni, in quan- tum causa efficiens prima et exemplaris omnis boni, sine hoc quod excludatur bonitas cre- ata, qua creatura denominantur bonae sicut forma inhaerente. Chiedo comunque: che tipo di ‘causalità’ è questa, ‘efficiente’ ed ‘esemplare’? In De Trin. 7,1,1 Agostino spiega che la

causa ut sit è tale o perché genera (aut gignendo eum) o perchè crea (aut faciendo). Dun- que? Ma non è il nostro tema. Lo tralascio dunque. Ci basta comunque aver posto il quesi- to.

Cito ancora un passo (difficilissimo) da De Trin. 7,1,2. Agostino ha appena spiegato che per Dio (si parla del Padre e del Figlio) essere (esse) è ciò che è essere sapiente (sapere). E quindi: Dio è per ciò (eo) per cui (quo) è sapiente. Poi segue un passo enigmatico: ‘ciò che per la sapienza è essere sapiente (quod est sapientiae sapere) e per la potenza potere (et po-

tentiae posse) e per l’eternità essere eterna (aeternitati aeternam esse) e per la giustizia es- sere giusta (iustitiae iustam esse) e per la grandezza essere grande (magnitudini magnam

esse), questo è per l’essenza lo stesso essere (hoc est essentiae ipsum esse)’. Il passo è no- tevole. Dunque: la sapienza è sapiente e la grandezza è grande. E l’essenza è. Ed essere sa- piente sta alla sapienza, ed essere grande alla grandezza, come essere sta all’essenza. Ago- stino aggiunge ancora: poiché in Dio essere sapiente (sapere) non è altro che essere (esse), in Lui (in illa semplicitate) la sapienza è identica all’essenza (eadem sapientia quae essen-

tia).

Ora qui si possono trovare queste corrispondenze: essere (esse) sta ad essenza come sapere a sapienza ed essere grande a grandezza. L’essenza sembra quindi (qui, principalmente) ciò per cui (eo quo) qualcosa è come la sapienza è ciò per cui (eo quo) qualcuno è sapiente. (Benchè sia sempre possibile intendere qui l’essenza come quod est (‘qualcosa che è’).) Altrove però le corrispondenze cambiano. Cfr. ad esempio De Trin. 7,4,9 (già visto). Qui troviamo che per Dio ‘essere Dio’ (Deum esse) è ciò che è ‘essere’ (esse), e perciò non di- ciamo le tre Persone tre dèì (tres deos) come non le diciamo tre essenze (tres essentiam) o tre sostanze (tres substantias). Così (cfr. 8,1) non le diciamo tre buoni (tres boni) o tre on- nipotenti (tres onnipotentes), ma un unico Dio (unus Deus) buono (bonus) onnipotente (on-

nipotens). Tralascio ora la vicenda trinitaria (su cui torneremo). M’interessa che qui il no- me ‘essenza’ è in corrispondenza di termini come ‘grande’, ‘buono’, ‘Dio’. E non di ‘gran- dezza’, ‘bontà’, ‘deità’, ecc., come in altri passi. Dunque qui essentia sembra indicare quod

est (‘essente’). (Benchè si aggiunga che, poiché per Dio essere è ciò che è essere sapiente, non diciamo neppure tre sapienze (tres sapientias)). Ancora in 5,8,9 Agostino ragiona così: 1) per Dio non è diverso (non aliud) ‘essere’ ed ‘essere grande’, bensì ‘essere’ è per Lui lo stesso che (hoc idem quod, ‘questo stesso che’, ‘proprio lo stesso che’) ‘essere grande’; 2) non diciamo tre ‘essenze’ bensì una sola ‘essenza’ (essentia); 3) dunque non diciamo nep- pure tre ‘grandezze’ bensì una sola ‘grandezza’ (magnitudo). Poco dopo (in 5,10,11) Ago- stino riformula: non diciamo che i Tre sono tre ‘essenze’ (essentias), e come non diciamo tre ‘essenze’, così non diciamo tre ‘grandezze’ e tre ‘grandi’ (magnos). Osservo subito: né tre essenze (essentias) né tre grandi (magnos). E domando: ‘essere’ (esse) è in qualche mo- do convertibile (in Dio) con ‘essere grande’ (magnus esse); e perciò ‘essenza’ (essentia) è convertibile (sempre in Dio) con ‘grandezza’ (magnitudo); ma ‘grande’ (magnus) con cosa si converte? Cioè qui ‘essere’ sta a ‘essere grande’ come ‘essenza’ sta a ‘grandezza’; ‘gran- de’ invece a cosa sta? Cosa sta a ‘grande’ sul piano dell’‘essere’? Più in breve ancora: con quale termine dovremmo qui designare ‘ciò che è’ (quod est), e cioè l’‘ente’? Quale parola latina sceglieremo? Il termine ens non compare; né compare essens. Compare invece (qui

come convertibile con ‘grande’, e dunque nel posto in cui ci aspetteremmo di trovare ens o

essens) ancora essentia. Dunque (mi sembra) essentia sta qui sia per ‘ciò (o qualcosa) che è’ (quod est, che noi chiameremmo ens, Agostino conosceva essens) sia per ‘ciò per cui è’ (qua est, o quo est). Poco dopo Agostino ancora scrive (ritornando al punto iniziale): non diciamo tre ‘essenze’, e come non diciamo tre essenze, non diciamo neppure tre ‘grandez- ze’. Quindi qui di nuovo è posta la corrispondenza: ‘essenza’ – ‘grandezza’. Di nuovo l’es- senza sembra ‘ciò per cui (Dio) è’ (qua est). C’è una sponda costante fra ‘l’essenza’ come ‘ciò che è’ e ‘l’essenza’ come ‘ciò per cui è’. Fra l’essentia come quod est e l’essentia co- me qua est. Complessità del linguaggio di Agostino.

Dunque essentia ha una doppia significazione: 1) quod est, 2) eo quo (aliquid) est. Agosti- no muove dall’una all’altra con grande libertà, e questo rende spesso complesso il suo lin- guaggio. Ma tale libertà (nel passare da una significazione all’altra) è giustificata perché ‘Dio è ciò che ha’. Cioè a Dio convengono ugualmente entrambe le accezioni.

Riformulo. Abbiamo trovato queste corrispondenze:

a) essere (esse) – essere grande (magnum esse) – essere sapiente (sapiens esse) – (ecc.); b) essenza (essentia) – grandezza (magnitudo) – sapienza (sapientia) – (ecc.);

c) essenza (essentia) – grande (magnus) – sapiente (sapiens) – (ecc.).

Dunque qui si vede che essentia è convertibile sia con magnitudo, sapientia, ecc., sia con

magnus, sapiens, ecc.; e questo perché essentia (lo abbiamo visto e rivisto) ha (circa Dio) due accezioni, e cioè indica: 1) Dio come Qui est (‘Colui che è’), 2) l’essenza ‘di’ Dio (che però è Dio stesso perché Dio ‘è ciò che ha’).