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4. L’ANTINOMIA COME CIFRA DEL PENSIERO DI SANT’AGOSTINO.

4.2 Un problema per la teologia

Infine osservo che tutto questo pone un problema al pensiero teologico. Infatti se diciamo che Dio ‘è’, questo ‘è’ cosa significa?

tafisica di Aristotele, Vita e Pensiero, Milano 1993, p. 407-446, cfr. p. 410: “Tuttavia, se è vero che tutto ciò che è, è essere, e che l’essere si predica di tutto; anzi, proprio perché questo è vero (…), secondo Aristotele, è vero anche che l’essere in generale, l’essere puro, non ha alcun senso. Nel terzo capitolo del De Interpreta-

tione, si dice esplicitamente: «l’essere e il non essere non indicano un oggetto, neppure se si intende l’essere puro in sé e per sé. Di per sé, infatti, l’essere non è nulla: in effetti, esso significa una data connessione, che non è possibile pensare senza i termini che vengono connessi (…). Aristotele ha precisato con chiarezza, ed anche con notevole insistenza, che l’essere si predica di tutto, ma non con il medesimo senso o secondo il

medesimo significato».

227 Cfr. G. Reale, Storia della filosofia Greca e Romana, Vol. 4. Aristotele e il primo peripato, Bompiani, Mi-

lano 2006, p. 62: “Le precisazioni fatte devono mettere in guardia il lettore nell’interpretare la celebre formu- la “essere in quanto essere”. Questa formula (…) non può significare un astratto e univoco ens generalissi-

mum, come molti credono (…). Allora “l’essere in quanto essere” significherà la sostanza e tutto ciò che in molteplici modi si riferisce alla sostanza”.

Quando diciamo di Dio che ‘è’, che è ‘ente’ (quod est), che cosa significa? Se l’espressione ‘Dio è’ ha un significato, che significato ha?

Analizziamo i predicati di Dio: ‘buono’, ‘grande’, ecc., ‘Dio’, ‘essenza’ (o ‘sostanza’). Ora chiediamoci: questi ‘nomi’ riguardo a Dio significano qualcosa? Cosa significano? ‘Buo- no’, ‘sapiente’, ‘onnipotente’, ‘bello’, ecc.: questi nomi circa le creature significherebbeo ‘qualità’. ‘Grande’ significherebbe (sempre circa le creature) ‘quantità’ (benchè circa Dio Agostino intenda una ‘grandezza’ non spaziale bensì spirituale).228 ‘Dio’ (ad esempio detto degli ‘dei’ pagani) ed ‘essenza’ (o ‘sostanza’, che per Agostino traducono ‘ousia’) rientre- rebbero nel genere della ‘ousia’ (cfr. Porfirio, Isag., 9,10-20) . Chiediamoci: e circa Dio? Di Dio niente si predica ‘secondo l’accidente’ (secundum accidens) bensì tutto ‘secondo la sostanza o essenza’ (secundum substantiam vel essentiam). Infatti per Dio ‘essere buono’, e ‘sapiente’, ecc., ed ‘essere grande’, sono lo stesso che ‘essere Dio’ ed ‘essere’ (‘sempli- cemente essere’). Tutti i nomi di Dio, come ‘buono’, ‘sapiente’, ‘grande’ ecc, sono ricon- ducibili a uno solo: ‘È’. Cioè in Dio la ‘bontà’, la ‘sapienza’ e la ‘grandezza’ ecc. sono ciò che è l’‘essenza’ e dunque si dicono non secondo l’accidente ma secondo l’essenza. Ora concludiamo dunque che i ‘nomi’ di Dio presi ‘senza connessione’ significano l’ousia (Ca-

teg., 4)? E che quindi l’ousia è il genere entro cui Dio è compreso? O ancora che l’ousia è come un ‘principio’ di Dio (Isag. 6,5-10)?

Riformulo: quando diciamo di Dio che ‘è buono’, ‘sapiente’, ‘grande’ ecc., lo diciamo co- me dicendo semplicemente che Dio ‘è’. Ora cosa significa questo ‘è’? Cosa significa ‘è’ riguardo a Dio? Agostino scrive che Dio è senza dubbio substantia o essentia (ousia), per- ché ‘è’ (cfr. De Trin. 5,2,3). Dunque che Dio ‘è’, e cioè che è ‘essentia’, si dice ‘secondo la categoria dell’ousia’? Cioè (ancora): ‘è’, circa Dio, significa la categoria dell’ousia? Così Dio verrebbe a trovarsi ‘nella’ categoria della ousia. Cioè l’ousia sarebbe come il ‘genere’ di Dio. Ma Agostino (abbiamo visto) esclude che Dio possa essere ‘compreso’ in un qual- che genere di predicamento (cfr. Conf. 4,16): la ‘supereminenza’ della divinità ‘eccede’ (e-

xcedit) le possibilità del linguaggio abituale (cfr. De Trin. 7,4,7), Dio è ‘ineffabile’ ed ‘in- comprensibile’, ‘indicibile’ e ‘impensabile’. Dunque?

Allora forse neghiamo che circa Dio si predichi ‘secondo l’essenza’? Neghiamo che ‘è’,

essentia (e quindi si badi, anche: ‘Dio’, ‘buono’, ‘grande’, ‘sapiente’ ecc.) significhino la categoria dell’ousia? Ma quale altro significato avrebbero? Di Dio niente si predica secon- do l’accidente: nessun nome di Dio può significare la qualità o la quantità o qualche altra categoria accidentale. Dunque, se nessuno di questi nomi significa l’accidente e d’altra par- te nemmeno significa l’essenza (o sostanza, ousia), quale altro significato può avere? Se non si dice secundum accidens ma nemmeno secundum substantiam, come deve dirsi? Introduciamo allora un ‘nuovo’ significato dell’ente? Una qualche categoria ‘ulteriore’ ri- spetto a quelle poste da Aristotele? Così però differiamo il problema, senza risolverlo. In- fatti, ugualmente dovremmo chiedere: come si dice ‘è’ circa Dio? Secondo il genere oppu- re come accidente? Ogni predicato deve infatti riferirsi al suo soggetto o come genere (o specie) oppure come accidente? O ‘si dice’ del soggetto oppure ‘è nel soggetto’. O indica il ‘dirsi di’ oppure indica ‘l’essere in’. (Come pensare un significato dell’ente ulteriore sia a ‘ciò che è simpliciter’ e ‘non in altro’, sia a ‘ciò che è in altro’ e ‘inerisce ad altro? Ulterio- re sia all’est sia all’inest?) Dunque ricadiamo nel problema precedente: l’‘è’, che si dice qui di Dio ‘secondo’ quest’ulteriore categoria o predicamento (che abbiamo ora ipotizzato d’introdurre) si dice ‘come genere’ oppure come ‘accidente’? Qual è qui il ‘predicabile’?

228 La ‘grandezza’ è tra le quantità in De Trin. 5,1,2. In De Trin. 6,8 Agostino avverte però che nelle realtà

spirituali la “grandezza” non ha a che fare con la mole o massa (non mole magna sunt), e si dice “più grande” (maius) per intendere “migliore” (melior). Aristotele in Categ. 5b,27-30 pone però “grande” e “piccolo” tra le relazioni, perché “dicendo grande o piccolo, si guarda ad altro, cosicché è manifesto che si tratta di relazio- ni”. Cfr. Aristotele, Categorie, cit., p. 56.

Non si è (mi sembra) risolto il problema semplicemente rimontando a una categoria ulte- riore rispetto a quelle già poste da Aristotele.

O forse sosteniamo che ‘è’, circa Dio, non si dice secondo nessuna categoria? Diciamo cioè che Dio ‘è’, ma ‘al di là’ di ‘tutti’ i significati dell’ente, non solo di quelli posti da A- ristotele, ma di qualsivoglia altro? Dunque al di là di ‘ogni’ significato? Ma le categorie sono i ‘significati’ ultimi di ogni nome dotato di significato. Dunque, dire di Dio che ‘è’, dire: ‘Dio è’ (e, quindi, anche: ‘è buono’, ‘è grande’, ecc.), non significa ‘niente’? Non ha dunque alcun significato il ‘dire’ circa Dio?

O forse ancora per parlare di Dio dobbiamo ‘negare’ riguardo a Lui ogni predicato? Ma (e lo si è visto in De Trin. 5,7,8) la negazione non conduce semplicemente al di là del predi- camento. Infatti: sia che affermiamo sia che neghiamo, sempre affermiamo e neghiamo se- condo un qualche genere di predicamento (in De Trin. 5,7,8: et omnino nullum praedica-

menti genus est secundum quod aliquid aire columus, nisi ut secundum idipsum praedica- mentum negare convincamur si praeponere negativam particulam voluerimus ). (Ne abbia- mo trattato diffusamente nel cap. 1).229 Una teologia meramente negativa non garantisce l’eccedenza di Dio rispetto al quadro categoriale.

Dunque: se diciamo che ‘è’, riguardo a Dio, ‘significa’ qualcosa, e dunque che ha un ‘si- gnificato’, sembra che Dio debba essere ‘compreso’ in un predicamento, in una categoria, e che abbia quindi un qualche ‘principio’. D’altra parte, se si nega che Dio è ‘compreso’ in una categoria, c’è il rischio che ciò che predichiamo di Dio (quando diciamo che Dio ‘è’, e che è ‘buono’, e ‘grande’, ecc.) non abbia alcun ‘significato’.

In altri termini ancora: se diciamo che ‘è’, ‘essenza’, riguardo a Dio, significa una catego- ria, poiché non predichiamo di Dio secondo l’accidente, sembra che diciamo qualcosa di Lui ‘secondo il genere’, e allora Dio viene ad essere ‘compreso’ in un genere di predica- mento (il genere della sostanza o essenza, ousia). Se tuttavia poniamo Dio al di fuori di o- gni predicamento, c’è il rischio che parlando di Dio non ‘significhiamo’ niente. Il ‘dire’ ri- guardo a Dio rischia così di non avere alcun significato.230

Oppure ancora distinguiamo l’essere (come atto) dall’ente e diciamo che Dio è ‘l’Essere’. Ma ricadiamo di nuovo nelle opzioni precedenti, e quindi nelle difficoltà già viste: infatti, l’Essere, ‘che essere’ è? Di quale ‘significato’ di ‘essere’ parliamo? È l’essere d’una so- stanza, o è l’essere d’un accidente? È un esse oppure un inesse? O rientra in un ‘ulteriore’ significato d’essere? Sostituire ‘essere’ (come atto) ad ‘ente’ non risolve dunque i problemi ma li ripone (mi sembra) in forma diversa.

Come si vede ‘eccedere i limiti del discorso abituale’, eccedere l’ambito del pensiero cate- goriale, e quindi garantire l’‘incomprensibilità’ di Dio, non è semplice.

Come procede Agostino? Qual è il suo tentativo?

Ora, Agostino afferma che Dio è ‘senza dubbio’ (sine dubitatione) sostanza o meglio es- senza, che i greci chiamano ousia (De Trin. 5,2,3).231 Per Agostino dunque Dio è ousia. Dio ‘è’ quindi nel significato dell’ousia? Dunque ‘ousia’ si predica di Dio come genere? (E si predica univocamente di Dio e della creatura? Di Dio e delle altre cose che ugualmente chiamiamo ‘ousie’? O ancora: la ratio del nome ‘ousia’ è davvero identica riguardo a Dio e alle creature? C’è una identica nozione?)

Agostino lo esclude: Dio è ‘incomprensibile’ (incomprehensibilis) secondo le categorie a- ristoteliche (Conf. 4,16).

229 Cfr. in particolare 1,15-1,17.

230 Per un’introduzione a quest’ordine di problemi così complessi rimando a E. berti – G. Lafont – A. Moli-

naro – E. Nicoletti, Origini e sviluppi dell’analogia. Da Parmenide a S. Tommaso, Ed. Vallombrosa, Roma 1987.

Ma come trovare una differenza all’interno del medesimo genere di predicamento? Una ‘differenza’ che non sia meramente ‘specifica’? Come garantire la differenza di Dio (ousia) rispetto alle altre ousie?

Dunque, domandiamo: come si dice ‘ousia’ di Dio? E della creatura? Si vede che la que- stione ha ricevuto una nuova messa a fuoco: verte ora sul termine ‘ousia’. Occorre chiarire come ‘ousia’ si predichi riguardo a Dio e alle creature. Se che dire ‘Dio è’ significa dire ‘Dio è ousia’ (substantia, o meglio essentia), se quindi Dio è ousia, dobbiamo chiederci: come intendere quest’ousia che chiamiamo Dio? Come intendere questo Dio - ousia? È i- dentico ad altre cose che chiamiamo ‘ousie’ (anche altre cose infatti sono chiamate essen- ze, o meglio sostanze: aliae quae dicuntur essentiae, sive substantiae, cfr. De trin. 5,2,3)? Ha qualcosa in comune con esse? Ha la stessa nozione? C’è un’unica accezione dell’ousia comune a Dio e alla creatura?

Riformulo. Abbiamo sollevato due questioni: 1) come si dice ‘è’ riguardo a Dio? ‘È’, circa Dio (abbiamo visto) si dice ‘secondo sostanza o essenza’ (come anche ‘è buono’, ‘è gran- de’, ecc.); Dio ‘è’, significa che Dio è ‘essenza’ (ousia); 2) ma come diciamo ‘di’ Dio che è ‘essenza’ (ousia)? Come delle creature, oppure in qualche altro modo? Per rispondere ritor- niamo al passo di Conf. (4,16) in cui Agostino esclude che Dio sia compreso in un qualche genere di predicamento, e (ancora una volta) facciamo interagire quest’indicazione con De

Trin. (5,2,3) in cui Agostino pone espressamente (ma in modo enigmatico) che Dio è cer- tamente (sine dubitatione) ‘sostanza o meglio essenza’ che i Greci chiamano ‘ousia’.