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Come conciliare le due accezioni di essentia? Ancora un’antinomia

2. SULL’ESSENZA IN SANT’AGOSTINO

2.6 Come conciliare le due accezioni di essentia? Ancora un’antinomia

Abbiamo dunque messo in luce diverse accezioni di substantia o (meglio) essentia (ousia): 1) l’essentia è anzitutto quod est, ‘ciò che è’, dunque l’essente, l’ente detto simpliciter, che non è ‘in’ altro come in un soggetto (e cioè non è un accidente), e dunque semplicemente ‘è’; 2) ma essentia si ricava da esse come sapientia da sapere, e sembra quindi indicare qualcosa che Agostino esprime con una serie di locuzioni ricorrenti, a volte contratte e per- sino sfuggenti, come: ‘ciò per cui (qua)’ qualcosa è, ‘ciò che (id quod)’ qualcosa è, ‘ciò di cui (cuius)’ qualcosa è, ‘ciò da (ex) cui’ qualcosa è, e ancora ‘ciò secondo (secundum) cui’ qualcosa è, e anche ‘ciò per cui (quo)’ qualcosa è maggiore o minore o uguale a qual- cos’altro; in questa seconda accezione essentia sembra in particolare legato ad altri termini come forma e anche species. Talvolta ancora, benchè più raramente, in una terza accezione

essentia è sembrata (a me, almeno) indicare 3) l’essere (esse) come atto (come anche sa-

pientia, scientia, vita ecc., possono indicare il sapere, il conoscere, il vivere ecc.).

Ora, questa significazione molteplice di ‘ousia’ (per Agostino substantia o meglio essen-

tia) non è nuova, né è un’invenzione di Agostino, ma è invece già presente nel pensiero an- tico, e la si trova in Platone e in Aristotele. Ad esempio C.H. Kahn ha osservato a riguardo che dopo Platone il nome ‘ousia’ fu usato per indicare: 1) la nominalizzazione del verbo indicante il ‘che cos’è’ socratico (ti esti) e quindi le Forme platoniche e le essenze aristote- liche (to ti en einai), 2) l’essere (being) o l’esistenza (existence) o vera realtà di ciò che e- siste (true reality) (in un’accezione meno tecnica), 3) come equivalente di ‘ta onta’: le cose che sono o che ci sono (the things there are; the thing that is). Kahn rileva che questa terza accezione è presente in Aristotele (in Categorie) che però non abbandona l’accezione pla- tonica di ‘ousia’ come ‘essenza’ (essence: per Kahn indica di preferenza il ‘che cos’è’). Quest’uso molteplice rende possibile qualche confusione, anche nelle traduzioni, e alcuni problemi di interpretazione (com’è il caso di Metaph. Z, osserva Kahn), e ci sono passi in cui il lettore ha difficoltà a capire di quale accezione si tratti oppure se le si stia usando in- sieme contemporaneamente.125

Anche in Agostino c’è la stessa difficoltà: non sempre è chiaro a quale delle accezioni si faccia riferimento e spesso la traduzione dal latino è difficile o può essere fatta in modi di- versi. Mi sovviene ad esempio un passo di De moribus ecclesiae catholicae et de moribus

manichaeorum 2,2,2, dove natura o substantia o essentia è: id quod intelligitur in suo ge-

nere aliquid esse. Cos’è dunque? ‘Ciò che’ qualcosa è inteso essere? Oppure ciò che è in- teso essere ‘qualcosa’? Dunque: ‘qualcosa che è’, o invece ‘ciò che qualcosa è’?

Dunque: essentia in latino; ousia in greco. Con un unico vocabolo s’indicano due cose: a) ciò che è, qualcosa che è; b) ciò che qualcosa è, o anche ciò per cui qualcosa è. Talvolta in aggiunta essentia/ousia sembra indicare l’atto d’essere. Come mai? Che nesso c’è tra que- sti termini?

Riformulo. Essentia/ousia indica a) sia ciò che propriamente ‘è’, b) sia ‘ciò per cui’ qual- cosa è. Che nesso c’è tra le due accezioni?

Patristic Studies held at Christ Church, Oxford 1955, Part II, Berlin 1957, pp. 175-186. Cfr. anche S. Mac- Donald, “The divine nature”, in The Cambridge Companion to Augustine, Cambridge 2001, pp. 71-90.

125 Cfr. C.H. Kahn, The verb ‘Be’ and its synonims: philosophical and grammatical studies (6): the verb ‘be’ in ancient Greek, Dodrecht Boston, 1973, pp.454-462. Cfr. anche G. Reale, Storia della filosofia greca e

Ma il nostro problema ora è questo: in Agostino questa significazione molteplice di essen-

tia viene riferita a Dio. Infatti da un lato diciamo che Dio è substantia o meglio essentia perché certamente Dio ‘è’, dall’altro lato sembra che Dio ‘abbia’ una sostanza o essenza, o natura, cioè sembra che ci sia una essentia ‘di’ Dio, qualcosa come una deitas , ‘per la qua- le Dio è’, e che è ‘ciò che Dio è’, o ‘di cui è’, o ‘da cui è’.

Ancora, sembra che Agostino usi essentia (o substantia, cioè comunque ousia) per indi- care: 1) Dio in quanto ‘è’, in quanto il Suo nome è Qui est (o Qui sum, se è Lui a pronun- ciarlo); 2) qualcosa come un’essentia ‘di’ Dio, una ‘sua’ substantia, o natura, o forma, qualcosa come una deitas ‘di’ Dio, intesa come ‘ciò che Dio è’, o ancora come ‘ciò per cui Dio è’, o anche come ‘ciò per cui Dio è Dio’, e ‘come ciò per cui’ o ‘secondo cui’ Dio ‘è tutto ciò che è in riferimento a sé’ (ad se).

Questa circostanza pone però qualche problema: se c’è davvero una natura ‘di’ Dio, una ‘sua’ sostanza o essenza, un’essenza che Dio ‘ha’, e ‘per cui è’ ed ‘è Dio’, Dio non è evi- dentemente semplice, è invece composto in qualche modo; cioè c’è Dio e c’è anche qual- cos’altro, qualcosa che è ‘altro’, appunto la ‘sua’ essenza o natura. Ma la ‘semplicità’ di Dio è un’esigenza del pensiero, lo era almeno per gli antichi, e lo era anche per Agostino che la riafferma più e più volte. In En. in Ps. 146,11, ad esempio, Agostino scrive che la sostanza di Dio (ipsius substantia) non ha parti, e che Dio è uno è semplice (unius simpli-

cis); in De Civ. Dei 11,10 leggiamo che le Persone divine sono dette semplici (dicuntur

simplicia); e sempre in De Civ. Dei, 11,26, troviamo un passo paradigmatico, spesso citato, ma enigmatico: Agostino scrive che c’è un solo bene (o un solo buono, bonum) che è Dio, e che la Trinità è quest’unico Dio, ed è semplice (simplex); poi aggiunge che questa ‘natura del bene’ (naturam boni) è detta semplice. Ora, qui ad essere semplice è: Dio (Deus), la Trinità (Trinitas), oppure è la ‘natura del bene’ (natura boni)? E come tradurre natura bo-

ni? Come: “natura del bene”?126 O come: ‘natura di bene’, cioè natura essenzialmente buo- na? Passi come questo rivelano la straordinaria complessità dei testi di Agostino, e la sua bellezza sfuggente, direi, imprendibile. Comunque, Dio è semplice: simplex. Anche in De

Trin. 15,5,7 Agostino ribadisce che Dio è una natura semplice (illa simplex natura); sem- plice e ineffabile (ineffabili simplicique natura 15,5,8); e in Conf. 13,3.4 leggiamo che Dio ‘è semplicemente’ (simpliciter es), e in 4,16 che Dio è mirabilmente semplice e immutabile (simplicem atque incommutabilem).

Inoltre, l’essenza, o natura è comparsa talvolta come causa ut sit (De Trin., 7,1.11) cioè in una locuzione in cui sembra essere la ‘causa per cui qualcosa è’; perciò, se Dio ‘ha’ davve- ro una natura, se c’è una natura ‘di’ Dio, c’è anche una causa per cui Dio è, quindi Dio ha una causa, ma allora Dio non è davvero Dio.

Dunque: da un lato Dio è mirabilmente semplice, ed è Dio e quindi non ha una causa per cui è; dall’altro sembra esserci un’essenza ‘di’ Dio, una ‘sua’ natura, cioè Dio sembra ‘ave- re’ un’essenza o sostanza o natura o deità.

Noi diremmo, cioè sembrerebbe coerente dire: Dio è semplice e senza causa, non c’è ‘dun- que’ alcun’essenza o sostanza ‘di’ Dio. Oppure: Dio ‘ha’ un’essenza o natura, ‘quindi’ Dio non è mirabilmente semplice, e c’è qualcosa (una causa) per cui Dio è. Invece, con Agosti- no, dobbiamo scambiare i termini degli enunciati, e dire: Dio è mirabilmente semplice, e senza causa, ‘e nondimeno’ sembra esserci un’essenza o sostanza o natura di Dio. Come si vede, l’argomentazione è antinomica: ‘e nondimeno’. Com’è possibile?

C’è quindi un problema. Riguarda l’argomento agostiniano di De Trin. 5,2,3. Ritorniamo- ci. Agostino scrive: 1) ‘essenza’ si ricava da ‘essere’ come ‘sapienza’ da ‘essere sapiente’; 2) Dio certamente è; 3) dunque Dio certamente è essenza (ousia, essentia). Ora quest’argo- mento è problematico. Infatti da un lato essentia si ricava da esse come sapientia da sapere

e sembra dunque un nomen qualitatis o anche di un nomen rei nell’accezione di Quintilia- no; sembra dunque indicare: ‘ciò per cui’ qualcosa è. Dall’altro lato però Dio è (est) e dun- que è certamente essentia. Non: Dio ‘è’, e dunque ‘ha un’essentia’; ma: Dio ‘è’, e dunque ‘è essentia’.

In breve le due significazioni di ousia: a) quod est o ‘ciò (o qualcosa) che è’, e b) quo est o ‘ciò per cui è’, o id quod est o ‘ciò che (qualcosa) è’, o causa ut sit, si riferiscono entrambe a Dio stesso.

Riformulo, è importante e siamo su un crinale impervio: ‘essenza’ si ricava da ‘essere’ co- me ‘sapienza’ da sapere e ha dunque la forma di un nomen qualitatis o d’un nomen rei nel- l’accezione di Quintiliano, o comunque ha la stessa forma di ‘sapienza’ e di ‘scienza ‘e quindi deve indicare ‘ciò per cui’ qualcosa ‘è’. Tuttavia Dio è certamente essenza perché (Agostino usa enim, “infatti”) certamente ‘è’ (est): perché il suo nome è Qui est, e allora ‘essenza’ deve indicare ‘qualcosa che è’. Quindi: da un lato ‘essenza’ sembra indicare ‘ciò per cui qualcosa è’ (infatti si ricava da ‘essere’ come ‘sapienza’ da sapere) ma dall’altro lato ‘essenza’ deve indicare quod est o ‘qualcosa che è’ (infatti Dio è essentia perché ‘è’, perché il Suo nome è Qui est).

È come se si dicesse: a) essenza sembra essere ‘ciò per cui qualcosa è’, e però b) Dio è es- senza perché ‘è’, perché è ‘colui che è’. Ora tra a) e b) si genera (mi pare) una straordinaria frizione. Acuita dal fatto che Agostino collega i due enunciati tramite la congiunzione e-

nim: ‘infatti’ (che indica consecuzione). Come dire: a) ‘essenza’ ha la stessa forma di ‘sa- pienza’ e deve quindi significare ‘ciò per cui’ qualcosa ‘è’; b) e perciò Dio è essenza: per- ché ‘è’, perché è ‘colui che è’. O meglio (secondo l’ordine di Agostino) è come dire: a) Dio è certamente essenza perché certamente ‘è’, perché è Colui che è; b) e infatti (enim) ‘essenza’ è come ‘sapienza’, dunque indica ‘ciò per cui qualcosa è’. Ora evidentemente tra a) e b) c’è una forte antitesi.

Sembrerebbe coerente dire: ‘essenza’ è come ‘sapienza’ (quindi indica ‘ciò per cui qualco- sa è’) e perciò Dio (che certamente ‘è’) ‘ha’ un’essenza (o è ‘per’ un’essenza). Oppure, al- l’inverso ma sempre coerentemente, diremmo: Dio è essenza per il fatto che certamente ‘è’, e dunque l’essenza è quod est ovverosia ‘ciò (o qualcosa) che è’. Invece nel passo di Agostino occorre scomporre e invertire i termini dei due enunciati e dire: Dio è essenza perché ‘è’, e infatti (enim) ‘essenza’ è come ‘sapienza’. O anche, cambiando l’ordine ma non il senso: ‘essenza’ è come ‘sapienza’, e infatti (enim) Dio ‘è’ (non: ‘ha’) essenza per- ché ‘è’. Ma questo schema è (o sembra a me) antinomico.

Ora, domandiamoci: perché Agostino costruisce in questo modo il suo argomento?