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2. SULL’ESSENZA IN SANT’AGOSTINO

2.15 Dio è propriamente

In En. in Ps.134,4 Agostino scrive: bonum bona faciens sicuti est proprie, sic et bonum est

proprie. Cioè: il bene che rende buoni (quindi Dio), com’‘è buono propriamente’, così an- che ‘è propriamente’.148 Invece le cose create, non si può dire che ‘non sono’ (neque ea

quae fecit non sunt) perché appunto ‘sono’ create; ma in confronto a Dio che le ha create, neppure si può dire che sono (in eius comparatione, non sint). Infatti: verum esse, incom-

mutabile esse est, quod ille solus est. Cioè: l’essere vero è l’essere immutabile, che (quod; o anche: ‘perciò’) soltanto Dio è. (Torneremo poi sull’esse, l’“essere”.)

C’è qui una certa antinomia: la creatura ‘è’ fatta e però non si può dire ‘che è’, non può dir- si (direi) ente o essente. Da un lato essa ‘è fatta’, ‘è creata’, dunque non si può dire che as- solutamente ‘non è’; dall’altro in confronto a Dio non si può neppure dire ‘che è’, non la si può chiamare quod est, non può esser detta ‘qualcosa che è’.

Dunque Agostino ha aggiunto ora (En. in Ps.134,4) che Dio ‘è propriamente’ (est proprie). In 134,6 leggiamo che è difficile capire che Dio è propriamente (ipsum proprie esse diffici-

le est capere). Compare inoltre ora (riguardo a Dio) un’espressione singolare: Est enim est. Come tradurlo? L’È, è; o: È, è. O ancora: Dio è l’È (In Città Nuova: “Egli infatti è l’esis- tente”). Dio dunque è l’È; e l’È, è.

Ma cosa significa proprie?

In De Trin. 1,1,2 è chiarito cosa s’intende con proprie. Agostino osserva che la Scrittura usa sovente parole (verbis) tratte dalle cose corporee (ex rebus corporalis) e anche dalla creatura spirituale (de spiritali creatura) per significare (quibus significaret) ciò che non è né corporale né spirituale, e cioè per parlare di Dio (cum de Deo loqueretur). Ad esempio quando dice: Nascondimi all’ombra delle tue ali (Ps 16,8); o: Io sono un Dio geloso (Ex 20,5) Invece (vero) altre volte usa espressioni che si dicono di Dio propriamente (proprie), e che non hanno riscontro (non inveniuntur, non si trovano) nella creatura. Dunque ripeto: si dicono propriamente di Dio (proprie de Deo dicuntur) quelle cose che non si trovano in nessuna creatura (quae in nulla creatura inveniuntur): cioè quelle cose che si dicono solo (o esclusivamente) di Dio. Ma la Scrittura pone raramente (raro) qualcosa come proprio di Dio. Com’è il caso di ciò che viene detto a Mosè: Io sono Colui che sono, e Colui che è mi

manda a voi ( Ex 3,14). Dunque: ‘Io sono’ o ‘Colui che è’ è detto di Dio propriamente (o esclusivamente). Dunque: ‘che è’, o semplicemente ‘è’, si dice propriamente (quindi esclu- sivamente) di Dio.

Tuttavia Agostino subito dopo riconosce che anche altre cose (come il corpo e l’anima) so- no dette ‘essere in qualche modo’ (dicitur esse aliquo modo). Ma nondimeno qui la Scrittu- ra vuole che riguardo a Dio l’essere venga inteso in un qualche ‘modo proprio’ (proprio

quodam modo).

Dunque riformulo: è ‘proprio’ di Dio ciò che non si trova in nessuna creatura (quae in nul-

la creatura inveniuntur), e che quindi si dice esclusivamente di Dio. Ora: ‘essere’, ‘che è’, la Scrittura lo dice propriamente (proprie) di Dio. Nondimeno anche di altre cose diciamo che ‘in qualche modo’ sono (esse aliquo modo dicatur). Ma Io sono e Colui che è deve dir- si di Dio in ‘modo proprio’ (modo proprio, “in un senso esclusivo”).

Osservo che c’è anche qui una certa antinomia: ‘che è’, si dice propriamente (esclusiva- mente) di Dio, ‘e però’ si dice anche delle creature. Propriamente (esclusivamente) di Dio, ‘e nondimeno’ anche delle creature. ‘Esclusivamente’, e nondimeno ‘anche’. Com’è possi- bile? L’antinomia è infine risolta mediante la locuzione: ‘in qualche modo’ (aliquo modo) circa l’essere della creatura. E dunque distinguendo due modi d’essere: un primo ‘modo’, che è ‘ proprio’, ‘esclusivo’, di Dio; e un ‘qualche modo’, che è della creatura.

Resta però il problema: come concepire quel ‘modo proprio’? Come distinguerlo dal ‘qual- che modo’?

In breve, ancora: ‘è’, ‘essere’, si dice di Dio e anche della creatura. Ma di Dio ‘in modo proprio’ (proprio modo) e della creatura invece ‘in qualche modo’ (aliquo modo). Qui dunque si distinguono due modi di dire ‘è’, ‘essere’: un ‘modo proprio’, di Dio; e un ‘qual- che modo’, della creatura. Come dire: Dio ‘è in modo proprio’ (suo esclusivo); la creatura invece ‘è in qualche modo’. Ma cosa distingue il ‘modo proprio’ dal ‘qualche modo’? Agostino fornisce (sempre in De Trin. 1,1,2) un altro esempio, che aiuta a capire. Scrive che anche quando diciamo che ‘Dio è immortale’, ‘immortale’ va inteso in senso proprio. Infatti la vera (vera) immortalità (immortalitas) è l’immutabilità (immutabilitas), che è propria di Dio e che nessuna creatura può avere (quam nulla potest habere creatura). Per- ciò Dio solo ha (solius est Creatoris) l’immortalità (1 Tim 6,16). (Anche in 2,7,13 ‘morta- le’ equivale a ‘mutevole’)

Dunque osservo: si dice ‘in modo proprio’ (proprie) di Dio ciò che si dice ‘solo’ di Dio (solius est Creatoris). E si dice ‘propriamente’ (proprie) e ‘solo’ di Dio ciò che si dice ‘ve- ramente’ (vere) di Dio. Dunque è posta l’equivalenza: proprie = solius = vere.

Dunque, dire: qualcosa (ad esempio: ‘è’, o: ‘è immortale’) si dice propriamente (esclusi- vamente ) di Dio, e nondimeno si dice anche della creatura, significa: qualcosa si dice di

Dio in ‘modo proprio’, e della creatura invece in ‘qualche modo’. E questo ‘modo proprio’ consiste in ciò: che qualcosa si dice di Dio ‘veramente’; mentre il ‘qualche modo’ consiste in questo: che si dice anche della creatura ma ‘non veramente’.

L’antinomia è quindi risolta con la distinzione di due significati di ‘essere’: ‘veramente’ e ‘non veramente’. Ma come concepire che qualcosa è ‘veramente’? Cos’è ‘essere veramen- te’?

In Conf. 13,31 leggiamo che tutto ciò che in qualche modo è (quidquid aliquo modo est), è da Colui (ab illo est) che non è in qualche modo (qui non aliquo modo est), bensì ‘è è’ (sed

est est; anche: ‘è,è’; o anche: ‘è l’è’; viene tradotto in BUR: “in modo assoluto”).149

Osservo dunque che Dio solo è ‘Colui che è’, di Dio solo diciamo ‘è’ (est); ogni altra cosa invece ‘è in qualche modo’ (quoquo modo est) ed ‘è da’ Dio (ab illo est).

Torniamo a En. in Ps.134,6. Torniamo a quel: È, è’. Il senso del proprie si rischiara un po- co di più. Qui Agostino scrive che ogni cosa buona la diciamo ‘buona’ insieme al suo no- me (bona cum suis nominibus): ‘cielo buono’, ‘angelo buono’, ‘uomo buono’, ecc. Riguar- do a Dio invece è meglio dire soltanto ‘buono’ (nihil quam bonum). Se diciamo solo ‘buo- no’, ci riferiamo certamente a Dio. Dio è dunque simplex Bonum: Bene semplice, o Buono semplice (De Trin. 8,3,5). Ora Agostino aggiunge che Dio, com’è buono propriamente, co- sì anche propriamente ‘è’. Cosa significa? Significa che il suo nome è: Qui est, ‘Colui che è’, o ‘Che è’, e nient’altro. O anche semplicemente: ‘È’. O ancora: ‘l’È è’, ‘l’ È che è’, ecc. (Est enim est). Dunque Dio ‘è’ proprie perché ‘È’ è appunto il ‘suo’ nome.

In De Trin. 7,5,10 Agostino scrive anche che Dio è veramente e propriamente essenza, al punto che (ita ut, così che) forse (fortasse) solo Dio (solum Deum) dev’essere detto essen- za. Agostino spiega anche perché solo Dio deve essere chiamato essentia: perché (enim) solo Dio è veramente (est vere solus), ed è veramente perché (quia) è immutabile, e (-que) diede a Mosè questo suo nome: Io sono Colui che sono; e: Colui che è (Es 3,14). Ancora in

En. in Ps. 101,II,14 leggiamo che solo “ciò che rimane così come’è” (quod est sicuti est), questo soltanto è veramente (hoc solum vere est).

Ripeto dunque: propriamente Dio solo è essentia; infatti (enim) Dio solo veramente ‘è’; ed è veramente perché (quia) è immutabile e (-que) il Suo nome è Qui sum o Qui est.

Ancora, cito En. Ps. 101,II,10-14. Qual è il nome di Dio? In Es. 3,14: Ego sum qui sum (“Io sono Colui che sono”), e: Qui est misit me ad vobis (“Colui che è mi ha mandato a voi”). Se lo pronuncia Dio, il suo nome è: Colui che sono; o Io sono. Se lo pronunciamo noi, è: Colui che è. Se lo pronuncia Dio: Sum. Se pronunciamo noi: Est.

Agostino esclama: e che grande questo Est! Infatti propriamente soltanto Dio È!

Dunque, riassumiamo. Dio è immutabilmente, è idem ipse o Idipsum. Perciò (ideo) è som- mamente. Cioè (hoc est) è una somma essenza. Quindi è veramente. Quindi ‘è’, propria- mente, cioè: a Dio compete propriamente di essere; essere è proprio di Dio; Dio propria- mente ‘è’. O, ancora: ‘che è’, o ‘è’, è proprio di Dio. Ora, ‘proprio’ si contrappone a ‘co- mune’; ciò che è proprio, non è comune. Quindi, dobbiamo dire, caricando un po’ il tema: d’essere, non è comune a Dio e alle creature, ma invece è proprio di Dio. ‘È’, o l’‘è’, non è comune a Dio e alle creature, ma è proprio di Dio. Ancora, a ‘proprio’ è contrario ‘impro- prio’ (in De Trin. 7,5.10 c’è anche abusive). Se qualcosa non è comune a più cose, ma è proprio di una di esse, qualora lo dicessimo anche delle altre, lo diremmo in modo impro-

149 Tuttavia osservo che mentre il testo latino BUR ha: sed est est, il testo Città Nuova ha: sed quod est est,

che può tradursi così: “Dio è Colui che è” (così per Città Nuova), o anche: ‘Dio è il quod est’. In questa acce- zione resta quindi invariato il senso dato a partire dalla edizione BUR.

prio. Dunque: ‘è’, o ‘che è’, lo diciamo della creatura solo impropriamente; infatti di essa non dobbiamo dire ‘che è’, ma soltanto che ‘è in qualche modo’, o che ‘è fatta’, o che ‘è da Dio’; o ancora che ‘è e non è’, o ‘né è né non è’; e non semplicemente che ‘è’.

Quindi: le cose non sono (sommamente, veramente, propriamente). Eppure sono (fatte, da Dio). Sono (in qualche modo), ma non sono (sommamente, veramente, propriamente). So- no (fatte), ma (propriamente) non sono. Sono, nondimeno non sono. C’è un’antinomia? C’è contraddizione?

L’antinomia è risolta mediante la distinzione di due diversi significati di ‘è’, ‘ente’, o di ‘essere’: 1) ‘essere veramente, semplicemente, propriamente’; 2) ‘essere in qualche modo’, ‘essere – non essere’, ‘essere fatto’, ‘essere da’. Quindi non c’è contraddizione se diciamo: a) le cose ‘non sono’, b) eppure ‘sono’. Infatti, dicendo che le cose ‘non sono’, intendiamo che ‘non sono veramente, semplicemente, propriamente’; invece dicendo che le cose ‘so- no’ intendiamo che ‘sono in qualche modo’, ‘sono e non sono’, ‘sono fatte’, ‘sono da Dio’, ecc.

Quindi a) e b) non sono contraddittorie. L’antinomia è risolta.

Tuttavia Agostino (in En. in Ps. 134,6) avverte che per la mente umana è difficile capire che cosa significa che Dio ‘è propriamente’ (ipsum proprie esse difficile erat capere; tr. in Città Nuova: “capire l’essere stesso”). A tal punto difficile che parlando a Mosè Dio ha ag- giunto: Io sono il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe (Es 3,14). Cioè ha aggiunto al Suo nome ‘eterno’ (Io sono Colui che sono, esprimente che Dio è propriamente) un nome ‘temporale’: Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe.150

Osservo che le antinomie vengono spesso risolte in questo modo: distinguendo diversi si- gnificati del termine in questione (qui: ‘è’) e mostrando che nei due enunciati che compon- gono l’antinomia il significato di quel termine non è identico. Questo impedisce che ci sia una contraddizione. Resta però che il significato è comunque in qualche modo impensabi- le: difficile capere.

In En. in Ps. 146,11 Agostino domanda: istam substantiam, istam divinam incorruptibi-

lemque naturam quis capit? Questa sostanza, questa natura divina e incorruttibile, chi la capisce? In De Civ. Dei 1,1,3 si legge che è difficile intuire e conoscere pienamente la so- stanza divina: intueri et plene nosse difficile est. Il tema dell’incomprensibilità di Dio ricor- re frequentemente. Ed è spesso connesso (mi sembra) all’antinomicità di Dio.