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In appendice C’è una ‘quaternità’ in Dio?

3. UNO, TRINO

3.5 In appendice C’è una ‘quaternità’ in Dio?

Abbiamo visto che in alcuni passi sembra predicarsi qualcosa della sostanza ‘di’ Dio, come di un quarto termine, oltre i Tre. In De Trin. 2,16,35 (cito un passo fra molti) leggiamo ad esempio che ‘la natura di Dio è invisibile’; e poi ancora che natura o substantia o essentia sono nomi con cui chiamiamo ‘ciò che Dio è’ (idipsum quod Deus est), ‘qualunque cosa E- gli è’ (quidquid illud est), e che questa essentia o substantia o natura non è visibile corpo- ralmente. Chiedo dunque: qui della sostanza ‘di’ Dio si predica qualcosa, come se essa fos- se qualcosa oltre i Tre?

Si potrebbero sollevare quindi due questioni:

1) l’essenza ‘di’ Dio è davvero un subiectum della predicazione?

2) C’è un’essenza ‘dei’ Tre (o ‘della’ Trinità) ‘oltre’ i Tre? Dio è una ‘quaternità’?

Le due questioni sono ovviamente connesse: anzi, sono una sola questione. Si può formu- lare anche così: quando Agostino scrive che ‘i Tre, un’unica essenza’, che cosa intende? 1) Che i Tre ‘hanno’ un’essenza ‘comune’? 2) Oppure che i Tre ‘sono’ un’unica essenza? E

207 Cito qui la trad. it. di C. Vitali in Agostino, Confessioni, Bur, Milano 2008.

208 Cfr. trad. it. di M. Bettetini in Agostino, Il maestro e la parola. Il maestro, la dialettica, la retorica, la grammatica, Rusconi, Milano1993.

questa seconda affermazione (posta la duplice accezione di ‘essenza’: quod est e qua est) come va intesa? Nel senso che i Tre sono un’unica deità e cioè un’unica essentia intesa co- me la ‘loro’ natura, come ‘ciò per cui’ sono’ (essentia come qua est; in quanto ciascuno dei Tre è la ‘sua’ natura o deità o essenza)? Oppure nel senso che i Tre sono un’unica essentia intesa come quod est (e quindi sono un unico Qui est, cfr. Es 3,14, un unico ‘essente’, o es-

sens)?

Abbiamo visto: 1) Dio (la Trinità) ‘è ciò che ha’. E: 2) Dio (la Trinità) ‘è per sé’. Ora, de- vono essere entrambe vere. Devono essere sinonime. Cioè: ‘Dio è ciò che ha’ deve signifi- care lo stesso di ‘Dio è per sé’. Non c’è (mi sembra) dunque alcuna ‘quaternità’: non c’è un’essenza dei Tre distinta dai Tre.

Occorre formulare distintamente 1) Dio ‘è ciò che ha’, e 2) Dio ‘è per sé’. E però 1) e 2) devono significare lo stesso. Solo così si garantisce: a) che i Tre siano un solo Dio (unus

Deus), b) che non ci sia una quaternità, un quarto termine oltre i Tre.

Mi sembra che il punto sia questo: Dio ‘è’ ciò che ‘ha’. Qui ci sono due termini: Dio, e ciò che Dio ha. Ma i due termini sono uno solo: Dio infatti ‘è’ ciò che ‘ha’. Dio è quello che Dio ha. È importante tenere entrambi i termini: 1) Dio, 2) ciò che Dio ha. E nondimeno ri- conoscere che i due sono uno.

Normalmente diremmo (è più facile, più immediato dirlo): Dio ‘ha’ qualcosa, dunque ciò che è ‘avuto’ non è colui (Dio) che lo ‘ha’. O invece: c’è solo Dio, e dunque qui c’è un so- lo termine: Dio (e cioè Dio non ‘ha’ alcunché). Invece occorre distinguere gli enunciati, e dire: Dio ‘ha’ qualcosa, e nondimeno Dio ‘è’ proprio ciò che ‘ha’: ‘Dio’ e ‘ciò che Dio ha’ sono lo stesso.

Molti errori riguardo ad Agostino derivano (mi pare) dal non pensare fino in fondo questa antinomia. Come l’errore di di attribuire ad Agostino una quaternità, di vedere adombrato nel suo pensiero un quarto termine (oltre la Trinità). O l’errore opposto di negare che ci sia una natura (o un’essenza) divina: qualcosa per cui Dio è ciò che è (cioè Dio, buono, grande ecc.).

Invece sono vere entrambe: 1) Dio è (ed è ciò che è) per la sua essenza; quindi c’è un’es- senza ‘di’ Dio. 2) E nondimeno Dio ‘è’ l’essenza per cui è : dunque Dio è ‘per sé’ e non per qualcos’altro. Dunque c’è Dio solo: Padre e Figlio e Spirito Santo, cioè la Trinità. È un’antinomia fondamentale. Quella che permette di dire che Dio è ‘uno’ ma al contempo è ‘Trino’.

E tale antinomia deriva dal fatto che Dio è massimamente.

La partita si gioca qui: ‘Dio è ciò che ha’. Sono vere entrambe: 1) Dio è, è per l’essenza, ‘ha’ l’essenza; 2) Dio ‘è’ l’essenza che ‘ha’, è l’essenza per cui è. E cioè: Dio è ‘per sé’ e non per altro. In quanto è vero 1), c’è un’essenza del Padre, del Figlio, dello Spirito: ed è un’unica identica essenza; e poiché ciascuno dei Tre è quest’essenza, i Tre sono un solo Dio. In quanto è vero 2), quest’essenza non è altro dai Tre, non è un quarto termine. Cia- scuno dei Tre dunque è per sé e non per altro.

Dire: Dio ‘ha’ un’‘essenza’ (dunque una ‘deità’, una ‘bontà’, una ‘grandezza’, ecc.), signi- fica semplicemente dire: Dio ‘è’ (ed ‘è Dio’, ‘è buono’, ‘è grande’, ecc.). Significa che ci sono delle perfezioni (‘buono’, ‘grande’, ‘Dio’, ‘è’) predicabili di Dio. Se Dio ‘non’ ha un’essenza, di Dio non possiamo dire alcunchè (né che ‘è buono’, né che ‘è grande’, né che ‘è Dio’, né infine ‘che è’ e che è Qui est).

Se fosse vero solo che Dio ‘ha’ un’essenza (che è ‘per’ un’essenza), Dio sarebbe una qua- ternità. Se fosse vero solo che Dio (cioè il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo) è ‘per sé’ (senza che ci fosse una essenza ‘di’ Dio), non vedo (o almeno mi sembra di non vedere)

come i Tre possano essere un unico Dio.209 (In De Trin. 4,21,30 leggiamo che ‘certamente’ nella loro sostanza, per la quale (o nella quale) sono, i ‘Tre’ sono ‘uno’: In sua quippe sub-

stantia qua sunt tria unum sunt).

Riformulo: ciascuno dei Tre è sommamente ed è ciò che ha, e perciò i Tre sono un’unica essenza e un solo Dio; ‘è ciò che ha’ significa ‘è per sé’, e quindi se ciascuno dei Tre e ‘per sé’ (e dunque non ‘per altro’), non c’è ‘altro’ che la Trinità (e cioè i Tre).

L’antinomia (che qui è: Dio ha un’essenza; nondimeno c’è solo la Trinità) non è perciò ar- bitraria ma sembra anzi necessaria. L’antinomia consta di due enunciati di cui ciascuno è necessario benché sia difficile pensarli insieme. Quindi il loro accostamento è necessario ma al contempo impensabile.

L’unità dell’essenza di Dio significa:

1) che ‘ciò per cui Dio è’, è semplice; e cioè ‘ciò per cui Dio è’ e ‘ciò per cui è grande, buono, ecc.’, sono la stessa identica cosa; e quindi in Dio l’essenza, la deità, la grandezza, la bontà, ecc., sono la stessa identica cosa; questo perché per Dio essere, essere Dio, essere grande, essere buono, ecc., è proprio lo stesso;

2) che tale essenza (di Dio) non è qualcosa d’altro dalle tre Persone, e cioè: il Padre è la propria essenza, il Figlio è la propria essenza, lo Spirito Santo è la propria essenza, e poi- ché tale essenza è una sola, i Tre insieme sono una stessa identica essenza. E questo non significa nient’altro che: ciascuno dei Tre singolarmente e la stessa Trinità è ‘per sé’ e non ‘per altro’. Per sé e ‘non’ per altro: non c’è dunque alcun quarto termine oltre i Tre, oltre la stessa Trinità. Non c’è nient’altro che la stessa Trinità.

La questione centrale è: di ‘chi’ si predica quando si predica riguardo a Dio? È la domanda fondamentale che deve fare da guida. È proprio la chiave d’accesso. Rispondiamo così: si predica del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo singolarmente e inoltre dei Tre insieme cioè della Trinità. Non ci sono altri ‘soggetti’ (termine ‘improprio’, meglio dire ‘persone’) di cui predicare quando si predica riguardo a Dio: solo le tre Persone singolarmente e/o in- sieme (cioè la Trinità).

Dipende dal tipo di predicato: 1) ad se: si predica di ciascuno dei Tre singolarmente ‘e’ mai al plurale; 2) ad invicem: si predica di ciascuno dei Tre singolarmente ‘ma’ non dei Tre insieme.

È il centro della teologia di Agostino.

Ci si chiede se non ci sia in Agostino una quaternità. Se cioè la deità o natura divina o es- senza non sia come una quarta ‘persona’, un quarto termine che si aggiunge ai Tre, una quarta ‘ipostasi’. Un qualcosa che ‘è’ al di là dei Tre. Infatti ‘di’ essa Agostino sembra (talvolta) predicare ciò che si predica dei Tre: che ‘è’, che è ‘incorporea’, ‘invisibile’, ecc.. E se è un ‘soggetto’ di perfezioni divine dovrebbe essere come una quarta ‘ipostasi’ (alla ‘greca’) o (per noi, meglio) una quarta ‘persona’. (E potrebbe anche allora avere un caratte- re ‘correlativo’, perché è ciò che ciascuno dei Tre ‘ha’: la natura ‘dei’ Tre. E i Tre potreb- bero essere ‘dalla’ natura.)

Cosa rispondere? Si è detto che ciascuna delle tre Persone non solo ‘ha’ la deità o l’essen- za, ma ‘è’ l’essenza. Quest’identità di ciascuno dei Tre con l’essenza va intesa come una

209 È il tema della ‘homousia’. Cfr. W. Beierwaltes, Platonismo nel Cristianesimo, Vita e Pensiero, Milano

2000, p. 28: “La ricezione e la trasformazione dell’ουσία in un concetto di Dio inteso come trinità in sé una, o come unità trinitaria, culminano nella discussione sulla ‘homousia’ (οµοουσιιος) e sulla espressione termi- nologica poi codificata nel credo niceno (325): nella versione latina di quest’ultimo il conio linguistico ‘con-

substantialis’, che corrisponde al greco οµοουσιιος, diventa l’elemento concettuale fondamentale, in quanto signum dell’unità della triadicità in sé distinta”.

‘stessità’: come ‘un esser lo stesso’. Per questo chi dice che l’essenza divina ‘è’ (ed ‘è in- corporea’ ecc.) non dice nient’altro che questo: che il Padre ‘è’ (ed ‘è incorporeo’ ecc.) e che il Figlio ‘è’ (ed ‘è incorporeo’ ecc.) e che lo Spirito Santo ‘è’ (ed ‘è incorporeo’ ecc.) oppure che la Trinità (e cioè i Tre insieme) ‘è’ (ed ‘è incorporea’ ecc.). Ed è così anche per le altre perfezioni. Dunque (mi pare) è difficile parlare di una quarta ‘persona’. (Inoltre si è già visto che il nesso fra qualcosa e la sua natura o essenza (cioè il fatto di averla o posse- derla) non è da intendersi propriamente come una relazione.)

D’altra parte (mi sembra) la deità o essenza divina serve a garantire l’unità dei Tre. I Tre sono un unico Dio perché ciascuno dei Tre ‘è ciò che ha’; e cioè perché ‘essere somma- mente’ comporta di ‘essere ciò per cui si è’. Altrimenti non si vedrebbe perché tre Persone siano una sola sostanza o essenza e un solo Dio.

Provo a riformulare: il Padre è sommamente buono (cioè ha il bene sommamente) ed è quindi il bene stesso che ha (e per cui è buono); e anche il Figlio è sommamente buono (e cioè ha il bene sommamente) ed è quindi il bene che ha (e per cui è buono); e così anche lo Spirito Santo è sommamente buono (cioè ha il bene _ che altro significa ‘essere buoni’?_ sommamente) ed è quindi il bene che ha (e per cui è buono). Perciò i Tre sono un unico Bene e un solo Buono. Dunque ancora chiediamo: c’è forse un Bene come ‘altro’ dai Tre? Un Bene come una quarta ‘persona’ oltre i Tre? Si risponde: no, non c’è, perché ciascuno dei Tre ‘è’ quel Bene, e i Tre insieme ‘sono’ quel Bene. Cioè ancora: perché (per ciascuna Persona) ‘essere il bene che ha’ significa ‘essere buono per sé’ e non ‘per altro’. Appunto: ‘per sé’, e non ‘per altro’. Non c’è qui dunque nient’altro oltre i Tre (cioè oltre la Trinità). Si può obiettare: se A è identico a B, e se anche C è identico a B, allora anche A e C devo- no essere ugualmente identici.210 Perciò se il Padre è identico alla sua essenza, e se anche il Figlio è identico alla sua essenza, allora anche il Padre e il Figlio devono essere fra loro i- dentici. Cioè: il Padre è lo stesso che il Figlio e il Figlio è lo stesso che il Padre. Ma allora (più radicalmente): perché non diciamo che il Padre ‘è’ il Figlio ed il Figlio ‘è’ il Padre, senza più distinzione di persone? È una obiezione molto seria. Provo a rispondere come (ritengo) farebbe Agostino (non ho però trovato tale questione espressamente formulata nei testi di Agostino). Direi (cito qui En. in Ps. 68,I,5) così: è senz’altro vero che tutto ciò che il Padre è (quidquid Pater est) in quanto Dio (quod Deus est,), anche il Figlio lo è. Così (per capire, prosegue Agostino) se il Padre fosse oro, anche il Figlio sarebbe oro. E poiché il Padre è Dio, anche il Figlio è Dio. Perciò diciamo che il Figlio ‘è’ ciò che il Padre ‘è’ (hoc est Filium quod Pater est). Ed ancora: ciò che il Padre è detto in riferimento a sé (quod dicitur ad se Pater) e ciò che anche il Figlio è detto in riferimento a sè (et Filius ad

se), questo è il Padre e (et) il Figlio (hoc est Pater et Filius), cioè Dio (id est Deus). Il Pa- dre e il Figlio sono un’unica essenza e un unico Dio. Ma Agostino poco dopo prosegue: ‘tuttavia’ (at) il Figlio non è il Padre. Infatti ‘Padre’ è detto in riferimento a ‘Figlio’ (refer-

tur ad Filium) e non a sé (non ad se), e perciò ‘non’ diciamo che il Figlio è (il) Padre (non

sic dicimus Filium Patrem esse) come diciamo che il Figlio è Dio.

210 K. Rahner illustra questa “difficoltà fondamentale” della dottrina trinitaria così: “come cioè possano es-

serci in Dio tre Persone realmente distinte, se ciascuna di esse è realmente identica all’unica e semplice es- senza divina: l’appello alla pura relazionalità delle Persone non vuol risolvere positivamente questa difficoltà (altrimenti sarebbe razionalisticamente risolto anche il mistero della Trinità). Si vuole soltanto mostrare in modo negativo e difensivo che la menzionata difficoltà di fondo, la quale deriva dal principio d’identità di due grandezze in forza della loro identità con una terza grandezza, in questo caso non si può dimostrare come insormontabile”. Cfr. K. Rahner, La Trinità, Introduzione, glossario e indice analitico di C.M. LaCugna, Queriniana, Brescia 1998 (titolo orig.: Der dreifaltige Gott als transzendenter Urgrund der Heilsgeschichte, in Die Heilsgeschichte vor Christus, vol. 2 di Mysterium Salutis. Grundriẞ heilsgeschichtlicher Dogmatik, pp. 317-401, 1967 by Benziger Verlag, Einsiedeln – Köln).

Ripeto: il Padre e il Figlio sono un unico Dio perché ‘Dio’ è detto in riferimento a sé (ad

se); ‘ma’ (at) il Figlio non è Padre perché ‘padre’ e ‘figlio’ sono detti in relazione l’uno all’altro (Pater refertur ad Filium).

Per i predicati ad se i Tre sono un unico Dio; per i predicati ad aliud (meglio: ad invicem) ciascuno dei Tre non è nessuno degli altri due. Dunque Dio è: UnoTrino.211

Osservo anche qui che l’antinomia è necessaria: 1) Dio non può che essere uno, uno solo, unico; 2) ma il Padre non può essere il Figlio né lo Spirito di entrambi può essere l’uno o l’altro.

Riformulerei così: è senz’altro vero che il Figlio è ‘identico’ (è uguale ‘fino all’identità’:

ad identidem) al Padre (e infatti sono insieme un solo unico Dio) e che il Padre è tutto ciò che anche il Figlio è, ma (at) il Figlio (in quanto Figlio) ‘riceve dal’ Padre (in quanto Pa- dre) di essere ciò che anche il Padre è, il Padre invece ‘non lo riceve da nessuno’. O anche: il Figlio ‘ha dal’ Padre di essere uguale al Padre fino all’identità (e cioè di essere ciò che anche il Padre è), il Padre invece ‘non lo ha da nessuno’. O ancora: il Figlio è ‘dal Padre’ (de Patre) tutto ciò che anche il Padre è, il Padre invece è tutto ciò che è (e che anche il Fi- glio è) senza esserlo ‘da nessun altro’. In De Trin. 6,10,11 leggiamo che il Padre non ha un altro Padre ‘da cui’ essere (Pater non habet Patrem de quo sit) mentre il Figlio ‘è dal Pa- dre’ (Filius autem de Patre est) e ha dal Padre di essere e di essere coeterno a lui (ut sit a-

tque ut illi coaeternus sit). Questa è appunto la ‘generazione’: che uno è ‘dall’altro’. In la- tino: de. La ‘paternità’ del Padre è che il Padre ‘dà’ al Figlio di essere ciò che il Padre è (e quindi di essere uguale al Padre fino all’identità: di essere con il Padre Dio e un solo Dio). E la ‘figliolanza’ (l’essere Figlio) è che il Figlio è ‘dal’ (de) Padre ciò che è il Padre (è ‘dal’ Padre Dio e unico Dio col Padre).

Dunque il Padre ‘è ciò che ha’, il Figlio ‘è ciò che ha’, lo Spirito Santo ‘è ciò che ha’; e perciò i Tre insieme sono ‘un’unica essenza’ e un ‘unico Dio’. Benché il Padre non sia il Figlio e lo Spirito Santo non sia né il Padre né il Figlio.

È il consueto schema per cui le Persone sono tre ma Dio è uno solo. Sono però questioni difficilissime.

Insisto. Il Figlio è della sostanza del Padre: non significa che i due hanno una sostanza in comune, un’identica sostanza in comune, ma invece significa che il Padre e il Figlio sono un’unica sostanza. Il Padre è il vero unico Dio, e il Figlio è il vero unico Dio, ed insieme sono l’unico vero Dio. Direi, ancora: il Padre e il Figlio non hanno semplicemente un’uni- ca deità, ma sono l’unico Dio. Cioè: l’unico che è Dio.

Riformulo. Ciascuno dei Tre è Dio e (quindi) ha la deità (è Dio per la deità). Ma ciascuno dei Tre è la deità che ha (e per la quale è Dio). Quindi i Tre sono la stessa deità. E perciò sono un unico Dio.

Ma si obbietta: qui si giunge a dire che i Tre sono un unico Dio, passando attraverso la ‘deità’; dunque l’unità della Trinità viene guadagnata usando quattro termini: i Tre più la loro deità. C’è qui dunque una quaternità originaria: i Tre, più la deità. Si può rispondere: quando diciamo che ciascuno dei Tre ‘è ciò che ha’ (‘è ciò per cui è’) dobbiamo intenderlo in modo molto radicale: cioè nel senso che ciascuno dei Tre ‘è’ (ed è ‘Dio’) ‘per sé’ e non ‘per altro’. In altre parole: ciascuno dei Tre è la deità ‘per cui’ è Dio, non significa nient’al-

211 Così ancora Rahner: “Si deve ammettere che quando due grandezze assolute (esse in) sono identiche con

una terza grandezza assoluta, sono anche identiche fra di loro. (…) Diverso è invece il caso, quando si danno due relazioni opposte (…) In questo caso le relazioni si distinguono non per ciò che pongono ‘assolutamente’ ciascuna per sé, ma per la loro opposizione in quanto tale (…) il relativo in quanto tale è costituito dalla sua relazione con un altro e, nel caso delle relazioni opposte e reali, dalla sua necessaria distinzione dall’altra re- lazione, alla quale si riferisce”. Cfr. ibid., p. 73.

tro che questo: ciascuno è Dio ‘per sé’ e non ‘per altro’. Non c’è quindi una deità che sia ‘altro’ dai Tre. Non c’è alcuna quaternità.

Cito ora ancora De Trin. 3,15,26 – 3,16,27. Qui Agostino scrive che Dio non apparve a Mosè per mezzo della propria sostanza (non per substantiam suam). E poi infatti Mosè Gli chiese: “MostraTi a me chiaramente” (Ostende mihi temetipsum manifeste; cfr. Es 33,13); Agostino qui commenta che fu come a dire: ‘mostrami la Tua sostanza’, o: ‘dammi di Te una vera visione spirituale’.

Poi ancora Agostino spiega che in tutte le creature visibili (per mezzo di cui Dio talvolta si mostra) non è vista ‘la sostanza di Dio’ (substantia Dei) e cioè (prosegue ancora Agostino) non è visto ‘questo stesso che Dio è’ (hoc ipsum quod Deus est). Dunque osservo: qui la sostanza di Dio è ‘ciò stesso che Dio è’. In 3,10,2: la sostanza di Dio è ‘ciò che Dio è, e che Dio stesso è’ (id quod est atque idipsum est).

Dunque, direi: la sostanza ‘di’ Dio è ‘ciò che Dio è’, la ‘sua’ deità; ma altresì (atque) Dio ‘è’ questa ‘sua’ sostanza (idipsum est). (Certo sono passaggi delicati, e variamente traduci- bili ed interpretabili; ma _ almeno a me, ora _ sembrano suggerire ancora la ‘stessità’ di Dio e della sua sostanza. Cioè: Dio (Padre, Figlio, Spirito Santo) e la ‘sua’ sostanza non sono distinti. In virtù del principio: ‘Dio è ciò che ha’.)

Il problema che stiamo qui trattando può essere formulato anche così: i Tre sono ‘di’ un’u- nica essenza (eiusdem essentiae) nel senso che è unica la ‘loro’ essenza (intesa come natu-

ra o deitas, e quindi intendendo l’essentia come qua est, come ‘ciò per cui’ qualcosa è)? Oppure i Tre ‘sono un’unica essenza’ (una essentia) nell’accezione di essentia come ‘ciò che è’, e cioè come Quod est o meglio Qui est?

K. Rahner nel suo La Trinità212 rileva che in una certa formulazione del dogma trinitario sembra trattarsi di un’essenza ‘di’ Dio come qualcosa di distinto dai Tre (e cioè dalla Trini- tà).213 Per una trattazione del problema teologico vero e proprio Rahner rimanda al volume di B. Lonergan, De Deo Trino, I.214 Qui si legge che i Tre (Padre, Figlio e Spirito Santo) sono tre ‘Persone’. Poi si spiega che la ‘persona’ (persona) è un ‘sussistente distinto in una natura intellettuale’ (subsistens distinctum in natura intellectuali); il ‘sussistente’ (subsi-

stens) è ‘ciò che è’ (id quod est) e cioè l’‘ente’ (ens simpliciter); sono ‘realmente distinti’ (realiter distincta) ‘quelli di cui l’uno non è l’altro’ (qorum unum qua reale non est aliud

qua reale).215 Dunque: ‘è una l’essenza, la natura, la sostanza dei Tre’ (nam trium est una

essentia, substantia, natura)216; tre sono le Persone. E la ‘persona’ è un ‘sussistente distin- to’.

Tralascio ora l’osservazione di Rahner e non vado a commentare le nozioni di Lonergan. Traggo solo spunto per una serie di osservazioni che riguardano Agostino.

Domando: in Agostino i Tre sono tre ‘sussistenti distinti’? Ora, se diciamo: ‘ciascuno dei Tre è sussistente’ (e cioè ‘è’ simpliciter, e quindi è ‘essente’, o ens), ed inoltre è distinto dagli altri due, questo è perfettamente esatto. Ma dobbiamo dire che sono tre ‘sussistenti’

212 K. Rahner, La Trinità, Queriniana, Brescia 2004, p.72.

213 Come osserva C.M. LaCugna nell’introduzione al volume di Rahner, il riferimento è al paradigma neosco-

lastico: “Se egli (Rahner) avesse aderito al paradigma neoscolastico, non sarebbe stato capace di superare il senso di un’essenza divina sul punto di divenire una quarta persona”. Il riferimento è quindi ad una teologia latina tendente “a concepire ‘Dio’ o la ‘Divinità’ anteriormente alla Persona concreta concreta del Padre”. Cfr. K. Rahner, cit., Introduzione di C.M. LaCugna, p.14.

214 B. Lonergan, De Deo Trino, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1964, 2 v., cfr. Vol. 2, da p.152. 215 La definizione completa è: Relationes divinae reales, subsistentes, et inter se realiter distinctae proprie dicuntur et sun personae. Cfr. ibid., pp.161-162.

distinti? Cioè: possiamo usare il termine subsistens al plurale? Possiamo dire: ‘Tre sussi- stenti’? In Agostino è così?

Il problema dunque è: in Agostino i Tre sono tre ‘ipostasi’? Cioè: Tre sussistenti distinti? Non lo risolverò di certo. Provo però soltanto a svolgerlo.

Dunque nel De Deo Trino di Lonergan la ‘persona’ è un ‘sussistente distinto’; e il ‘sussi-