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2. SULL’ESSENZA IN SANT’AGOSTINO

2.19 Dio è semplice

Dunque: Dio è immutabile (incommutabilis), e non c’è in Lui alcun accidente (nihil acci-

dens), e solo Dio è veramente (est vere solus), e il Suo nome è Qui sum o Qui est.

Mi domando: qual è l’ordine degli enunciati? Cosa viene prima? L’immutabilità? O essere veramente? O non ricevere accidenti? O avere come nome Qui sum? La terminologia di A- gostino è molto varia, e varia è anche (mi pare) la sequenza e l’ordine degli enunciati. In 7,5.2 Agostino argomenta così:

ciò che muta non conserva l’essere, dunque non è massimamente e quindi non è veramen- te; è massimamente e veramente solo ciò che è immutabile. Dio solo è dunque veramente (ed è l’unica vera essentia) perché (quia) è immutabile e (-que) il nome di Dio è Qui sum o

Qui est. Riformulo:

a) è veramente solo ciò che non muta né può mutare; b) Dio è immutabile e il Suo nome è Qui est (Ex., 3,14); c) dunque Dio è veramente.

Il punto d’appoggio dell’argomentazione (riguardo a Dio) è dunque qui (mi sembra): Dio è immutabile e (que) il Suo nome è Qui est (Es 3,14).

Vorrei sottolineare l’importanza di Es. 3,14: il nome di Dio è Qui sum o Qui est. A me pare che Agostino ponga spesso questo passo a fondamento e garanzia del fatto che Dio è vera- mente e sommamente. Perché se Dio ‘è’, e basta, se ‘è’, senz’altro, è massimamente. In De

Civ. Dei 8,11 Agostino ipotizza che Platone conoscesse la Scrittura. Infatti Es. 3,14 (Ego

sum qui sum) insegna che soltanto ciò che è immutabilmente è veramente. Perciò le cose che mutano ‘quasi’ non sono (tamquam non sint) in confronto a Dio. (Qui Es. 3,14 sembra persino essere la fonte della dottrina platonica dell’immutabilità di Dio.) Platone ha inse- gnato questo con massima diligenza (vehementer et diligentissime).

159 L. Villevielle ha sostenuto che in Agostino “le mot substantia est entendu à partir d’un subsistere. Autre-

ment dit, la substance est comprise comme sujet at comme substrat (…) la substance, semblent être constitu- tivement liées à la corporéité (…) Cette interprétation de la substance à partir de la notion de substrat corpo- rel se rencontre chez les stoïciens” (cfr. L. Villevieille, “La critique augustinienne des categories d’Aristote”, in Revista Filosófica de Coimbra, 43 (2013), pp. 143-164, cfr. p. 155). Cfr. anche M. Simonetti, “Alcuni a- spetti del linguaggio teologico da Tertulliano ad Agostino”, cit., pp.187-204: si spiega che substantia tradu- ceva per Seneca e Quintiliano il greco ipostasis. Per gli Stoici era una realtà sussistente corporea (e per gli Stoici il pneuma o spirito divino che permea il cosmo dandogli vita e razionalità è sottilmente materiale). Poi assunse quello più astratto di ‘natura’, ‘essenza’, ‘essere’, e venne a coincidere col greco ousia. J.-F. Courtine (in “Essenza, Sostanza, Sussistenza, Esistenza”, cit.) ha rilevato “il legame substantia – corpus” in Apuleio, in Cicerone, in Seneca, in Quintiliano, in un contesto latino in cui “«essere» può intendersi univocamente co- me substantiam habere, (…) e cioè avere un corpo (…). Di conseguenza avere sostanza significa sempre supporre o presupporre un corpo” (p.45-51); su un fronte diverso è, per Courtine, Mario Vittorino: “tutto lo sforzo di Vittorino consiste nel dissociare corporeità e sostanzialità” (p.52); con Agostino infine riesce a im- porsi il nome essentia (p.54), in un contesto in cui “questo termine viene interpretato a sua volta risolutamen- te a partire dal verbo einai, e cioè reinterpretato nell’orizzonte del neoplatonismo porfiriano” (pp.54-55). Sul- l’uso teologico di ousia in Agostino, nell’ambito della creazione ex nihilo e in un confronto con il platonismo cfr. V. Salas, Jr., “Revisiting St. Augustine’s philosophy of God in light of Plato’s protology”, in The Modern

Schoolman, 82/4, 2005, pp. 211-230. Sul tema della materia si veda G. Lettieri, “It doesn’t matter”. Le meta- morfosi della materia nel cristianesimo antico e nei dualismi teologici”, in Materia. XIII colloquio internazio-

nale: Roma, 7-8-9 gennaio 2010. Atti, a cura di D. Giovannozzi – M. Veneziani, Ed. L. S. Olschiki, Firenze 2011.

Quindi Es. 3,14 è centrale. Qui, in questi passi, che Dio ‘è’, ed ‘è massimamente’, ‘vera- mente’ ed ‘immutabilmente’, sembra rimontare ad una prova scritturale: ad Es., 3,14. Dun- que: Dio è immutabilmente e quindi veramente e sommamente perché il Suo nome è Qui

sum.160

Tuttavia Agostino usa anche un’altra sequenza argomentativa. In De Trin. 7,5,10 troviamo che Dio (è essentia ma) non è substantia (e dunque non è mutevole) perché non riceve ac- cidenti (non è subiectum), e non riceve accidenti perchè è semplice (simplex).

Cosa significa simplex? Cos’è essere ‘semplice’?

Agostino spiega che simplex detto di Dio significa due cose:

1) anzitutto Dio non ‘sussiste’ (subsistat, ‘sta sotto’) e non ‘è sotto’ (subsit) (alle sue perfe- zioni come ad esempio) alla sua bontà (bonitati suae), come se questa bontà non fosse so- stanza o essenza ma fosse in Dio ‘come in un soggetto’ (in illo sit tamquam in subiecto), e come se quindi Lui stesso non fosse la sua bontà (neque ipse Deus sit bonitas sua). Ora Agostino qui con quest’esempio ha indicato una regola fondamentale che ricorre in tutta la sua opera e che può essere formulato così: ‘Dio è ciò che ha’ (quod habet hoc est); e tale regola è qui la chiave di volta dell’intera argomentazione.

Riformulo. Dio è semplice perché ogni sua perfezione ad se non è in Dio come in un sog- getto; come se Dio fosse la sostanza o essenza in cui esistono; come se Dio fosse la sostan- za o essenza, ed esse non fossero anch’esse sostanza o essenza ma invece fossero in Lui come in un soggetto. Dunque anzitutto in Dio non c’è alcun accidente. (Qui, l’espressione:

ad se, indica che si stanno considerando le perfezioni che Dio possiede ‘in riferimento a sé’ e non ‘ad altro’ (ad aliud). Ad esempio ‘grande’ e ‘buono’, Dio è detto esserlo ad se; inve- ce ‘principio’, ‘creatore’, ‘signore’, Dio è detto esserlo in relazione alla creatura. E ancora, ‘Padre, ‘Figlio’, ‘Spirito Santo’, vengono detti ciascuno in relazione all’altro. Ora non mi soffermo. Ci torneremo.)

Perciò (variando un po’) niente si dice di Dio ‘secondo l’accidente’, ma invece tutto è detto ‘secondo l’essenza’ (secundum essentiam, cfr. De Trin. 6,2,3).

In De Trin. 15,5,8 Agostino osserva che noi diciamo di Dio molte cose: Dio è eterno, im- mortale, immutabile, sapiente, bello, giusto, buono, beato, e poi anche diciamo che è spiri- to (spiritus). Ora, sembra che ‘spirito’ appartenga al genere della sostanza, e tutti gli altri invece al genere della qualità. Ma Agostino ricorda questa regola fondamentale: nella natu- ra semplice (in illa ineffabili simplicique natura) che è Dio, tutto ciò che sembra dirsi se- condo la qualità (secundum qualitates dici videtur) deve intendersi secondo la sostanza o essenza (secundum substantiam vel essentiam est intellegendum). Dunque niente si predica di Dio secondo l’accidente; e (più ampiamente) quelle perfezioni che riguardo alle creature si direbbero secondo la qualità, devono dirsi di Dio secondo la sostanza o essenza. E devo- no indicare proprio ciò che Dio è. Noi diremmo: si deve dire di Dio che ‘è buono’, come

160Cfr. O. Sagramola, Agostino. Genio della Patristica, Vecchiarelli, Roma 2010, p. 27. G. Catapano ha in- dividuato nel metodo di Agostino “una sequenza di tre grandi momenti: prima di tutto, l’accertamento de contenuto della fede, attraverso un’interpretazione ermeneuticamente corretta delle sacre Scritture (libri I-V); poi, la difesa mediante la ragione di tale contenuto, attraverso la confutazione di versioni eretiche o comun- que erronee di esso (libri V-VII); infine, la ricerca di una comprensione intellettuale di ciò che si crede, attra- verso lo studio della realtà creata nella quale si riflette, come in uno specchio, Dio stesso; ricerca che si con- clude con la consapevolezza di doversi ancora appoggiare alla fede (libri VIII-XV)”. Cfr. G. Catapano, Sag-

gio introduttivo ad Agostino, in Agostino, La Trinità, saggio introduttivo e note al testo latino di G. Catapa- no, traduzione e apparati di B. Cillerai, Bompiani, Milano 2012, p. XXVIII. Sulla teoria e la pratica dell’ermeneutica biblica in Agostino, si veda G. Catapano, Agostino, Carocci, Roma 2010, pp. 87-120.

diciamo che ‘è spirito’, e come diciamo che ‘è Dio’. Mentre ad esempio dell’uomo non di- ciamo che ‘è buono’ come diciamo che ‘è uomo’: ‘buono’ è detto secondo la qualità, ‘uo- mo’ invece secondo la sostanza. Ma riguardo a Dio ciascuno dei predicati ad se viene detto secondo la sostanza. Dunque diciamo che ‘è buono, giusto, sapiente, onnipotente’, come diciamo che ‘è spirito, e che ‘è Dio’, e come diciamo ‘che è’.

Anche in 5,8,9 Agostino afferma che tutto ciò che ‘quell’eccelsa e divina sublimità’ è detta in riferimento a se stessa (ad se), questo si dice sostanzialmente (substantialiter). Ancora in De Trin. 8,1,1 Agostino spiega che tutto ciò che Dio è detto ad se, è detto secondo l’es- senza (secundum essentiam), perché (quia) in Dio (ibi) essere (esse) è ciò che è essere grande (magnum esse), buono, sapiente e qualsiasi altra cosa (quidquid aliud) la Trinità è detta in riferimento a sé (ad se dicitur).

Dunque le perfezioni ad se si predicano di Dio: secundum essentiam, secundum substan-

tiam, substantialiter.

C’è quindi stata una semplificazione nel modo di predicare riguardo a Dio. Ma la semplicità di Dio deve essere intesa in modo ancora più radicale.

Agostino infatti ha aggiunto (in De Trin. 7,5,10) qualcosa di importantissimo: Dio non è il soggetto delle Sue perfezioni perché Dio ‘è’ le Sue perfezioni. Agostino quindi definisce la semplicità di Dio ponendo un’ulteriore regola del discorso teologico. E la regola è questa: ‘Dio è ciò che ha’ (hoc habet quod est). È una regola che viene formulata variamente e che compare in diversi luoghi dell’opera di S. Agostino, caratterizzandola fortemente. Un luo- go classico è De Civ. Dei 11,10. Agostino qui scrive che c’è un solo buono (bonum solum) che è Dio, e la Trinità è quest’unico Dio ed è semplice (simplex), e questa natura dell’unico bene (naturam boni) è detta semplice perché è ciò che ha (hoc habet quod est).

Dunque Dio ‘ha’ le Sue perfezioni in un modo molto particolare: non è il soggetto (subiec-

tum) delle Sue perfezioni, ma invece ‘è’ le ‘Sue’ perfezioni. Dio ‘è’ ciò che ‘ha’.

2) Agostino aggiunge anche qualcos’altro. Spiega che per Dio semplice (simplex) essere è ciò che è qualsiasi altra cosa si dica di Lui in riferimento a Lui (simplex cui hoc sit esse

quod illi est quidquid aliud de illo ad illum dicitur), come ad esempio grande (magnus), onnipotente (omnipotens), buono (bonus), e quant’altro si dica di Dio in questo modo. Riformulo: per Dio ‘essere’ è lo stesso che ‘essere grande’, ‘essere onnipotente’, ‘essere buono’, e quant’altro si dica di Lui ‘in riferimento a Lui’. Qui, l’espressione: ‘detto di Lui in riferimento a Lui’, indica ancora che si tratta di predicati che si dicono di Dio in riferi- mento a sé (ad se) e non in relazione ad altro (ad aliud): come grande, buono, ecc., Dio lo è in riferimento a sé e non in relazione ad altro. Non posso qui soffermarmi sulla distinzio- ne tra predicati ad se e ad aliud. Qui m’importa soltanto che le Sue perfezioni “assolute” (così è spesso tradotto: ad se) non sono in Dio separate (l’espressione ricorrente è: aliud at-

que aliud, ‘altro ed altro’; spesso tradotto con “distinte”) tra loro; cioè: se diciamo che Dio è buono, e che è grande, e che è onnipotente, dobbiamo anche dire che per Dio ‘essere buono’ non è altro (aliud) che ‘essere grande’, e ‘onnipotente’, ecc.; e tutto questo non è per Dio nient’altro che semplicemente ‘essere’.

Siamo arrivati ad un punto cruciale. Abbiamo considerato una serie di prefezioni divine: Dio è eterno, Dio è immutabile, Dio è sommamente e veramente e propriamente, Dio è I-

dipsum, Dio è spirito, Dio è semplice. Sono perfezioni che non dicono tanto ‘cosa’ Dio è, ma ‘come’ Dio è: indicano un certo ‘modo’ d’essere di Dio. Indicano (come vedremo ora) che tutto ciò che Dio è (grande, buono, sapiente, ecc.) Dio lo è in un modo suo proprio, e- spresso dalla regola: ‘Dio è ciò che ha’.