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Il doge Andrea Gritti riceve solennemente Francesco II Sforza duca di Milano in visita a Venezia il 20 ottobre

Olio su tavola, 124 x 200 cm | Inv. 508

Iscrizioni sul cartiglio in basso al centro: MCCCCCXV. Provenienza: Donazione Katharine Coleman de Kay Bronson, 1889

Architettura 1980, p. 94 cat. 59) con la medesima attribu-

zione e la stessa titolazione. Quest’ultima studiosa sembra ribadirla di fatto, pur riportando l’esito dell’esame radio- grafico del cartiglio attualmente non disponibile. Secon- do Battaglia (1988, scheda OA) la composizione dipende da alcune celebri rappresentazioni ufficiali veneziane, su tutte la Processione in Piazza San Marco che Gentile Bellini eseguì nel 1496 per la Scuola di San Giovanni Evangelista, oggi custodita presso le Gallerie dell’Accademia di Vene- zia (Moschini Marconi 1955, pp. 61-63 cat. 62). Secondo la studiosa, tuttavia, l’autore più che avvicinarsi al cele- bre maestro pare accostarsi ai modi di Giovanni Mansueti (1485-1527), un suo aiuto e seguace, il quale continuò a sviluppare la pittura narrativa inaugurata da Gentile in accenti più modesti. Di recente Daria Perocco (2012, fig. 16) riproduce il dipinto ancora una volta con l’intitolazio- ne tradizionale, indicando l’appartenenza alla «scuola di Gentile Bellini».

La valutazione dell’opera è problematica e necessita di ap- profondimenti, in particolare di analisi per documentare il disegno soggiacente e lo stato del cartiglio autentico. Secondo quanto ventilato da Guido Loredan, si deve porre seriamente in dubbio l’identificazione del soggetto come il ricevimento della regina Caterina Cornaro a Venezia da parte del doge Agostino Barbarigo nel 1489.

Non si può mantenere il dipinto nella sezione cornariana del catalogo del Museo asolano solo in ossequio alla tra- dizione identificativa, di fatto finora mai affrontata criti- camente o posta in dubbio in sede scientifica. Si potrebbe dire a motivo del “mito” che circonda tuttora le memorie cornariane in terra di Asolo e che è stato il motivo dell’ac- quisizione sul mercato dell’opera, priva di indicazioni sul- la provenienza antica, e della donazione alla sede attuale. Essa anticiperebbe alla data 1515 la nascita dell’iconogra- (Venezia 1454-1510) al suo rientro a Venezia, dopo che il

26 febbraio 1489 aveva abdicato al regno dell’isola di Cipro in favore della Serenissima che la ricompensò, tra l’altro, con il dominio sul territorio di Asolo.

L’arrivo a San Nicolò del Lido è del 5 giugno, mentre il ricevimento a Venezia avviene il giorno seguente 6 giu- gno da parte del doge Agostino Barbarigo. Il cerimoniale riguardò la simbolica consegna della corona in San Marco e la concomitante nomina a signora di Asolo, città della quale prende possesso solenne e festoso solo l’11 ottobre successivo (Colasanti 1979, 22, p. 339).

In particolare, la scena dovrebbe riguardare lo sbarco sul molo antistante il Palazzo Ducale o la Piazzetta e l’incon- tro con il doge Barbarigo la cui processione proviene non da Palazzo Ducale attraverso la Porta della Carta ma dalla Basilica di San Marco.

Nell’opera del Museo di Asolo, il Palazzo Ducale appare nello stato precedente i restauri degli anni Trenta del Cin- quecento e alla ricostruzione successiva agli incendi del 1574 e 1576 come indica Raffaella Piva (in Architettura 1980, p. 94 cat. 59), che specifica «La raffigurazione, ec- cetto che nelle finestre senza trifore, risulta abbastanza fe- dele se confrontata con la veduta prospettica del Reuwich (stampata nel 1486)». Inoltre, la studiosa non manca di sottolineare come sia «curiosa la dislocazione delle due co- lonne della piazza di fronte al lato meridionale del palazzo. La libertà dei reciproci rapporti, in dimensioni e distanze, tra gli elementi rappresentati, suggerisce l’identificazione delle due isole sullo sfondo con l’ultimo tratto della Giu- decca a oriente, e con l’isoletta di San Giorgio Maggiore». La tavola inv. 508 è riferita da Puppi (Puppi - Carpeggiani 1978, p. 109) ad autore ignoto, con implicita accettazione della data di esecuzione del 1515; fu pubblicata successi- vamente da Comacchio (1979, pp. 92, 93 fig. 20) e Piva (in

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ne dal mare - sono collocate impropriamente davanti al Palazzo Ducale. È qui che è rappresentato l’arrivo di un personaggio illustre in veste di velluto cremisi e con in capo il tricorno dello stesso colore, il quale è circondato dal suo seguito di cui nessuna regina fa parte. Coloro che aprono il corteo dogale dirigono lo sguardo lontano e in alto, il primo indica alzando la destra. Nella sottolineata distorsione prospettica che riguarda il dipinto è come se indicassero che lo sbarco è avvenuto. Davanti al molo è alla rada la galea a dodici remi, tre altre imbarcazioni solenni sono attraccate al molo presso il quale vi è una gondola che ha consentito lo sbarco.

Se si vuole prestar fede alla data spuria del 1515 l’evento vedrebbe protagonista Leonardo Loredan (Venezia 1436- 1521) eletto settantacinquesimo doge nel 1501. Ma non vi è corrispondenza con la sua iconografia, per di più il doge a quella data era ormai vecchio. Quello rappresen- tato è invece in età matura, caratterizzato difatti dall’af- filata barba ancora nera. Se si cerca la corrispondenza in anni prossimi alla data indicata rimane da considerare il successore di Loredan, il doge Antonio Grimani (Venezia 1434-1523), eletto nel 1521 per un breve regno. Anche nel suo caso la tradizione iconografica lo mostra in modo dif- ferente, ovviamente vecchio e inoltre imberbe. Rimane da considerare il doge Andrea Gritti (Bardolino 1455 - Ve- nezia 1538) che eletto all’età di sessantotto anni presenta tuttavia un’iconografia che, si può dire, lo ringiovanisce e che è pertanto associabile a quella del doge del dipinto asolano. Si tratta del rilievo che lo mostra orante davanti a san Nicola da Bari affiancato da san Marco e da sant’An- drea un tempo nella cappella di San Nicolò della Basilica di San Marco poi trasferito in quella di San Clemente, che si motiva realizzato in un momento vicino alla sua elezione (Wolters 1987, pp. 98-99 nota 7, fig. 74). Anche le meda- fia dell’arrivo della Regina a Venezia attestata solo in fase

tardomanieristica (si rinvia in proposito alla scheda di questo catalogo relativa al ritratto inv. 541, cat. 104). Tra le molte ragioni per rifiutare l’identificazione tradi- zionale si pone per prima quella dell’assenza proprio della regina Caterina Cornaro fra i molti personaggi disposti secondo il cerimoniale delle processioni dogali e delle visi- te di stato, o anche «delle andate pubbliche» del doge de- scritte in modo circostanziato, ad esempio, da Sansovino (15812, pp. 193b-194a) e ora indagate da Ambrosini (1996,

pp. 441-520). Pur in assenza di qualsiasi descrizione com- pleta dell’opera, si ritiene che in passato in sede critica si sia identificata nell’aristocratica in prima fila, fra coloro che si raccolgono in gruppo sulla destra della composizio- ne per assistere al passaggio del corteo. Non vi sono al- ternative al riconoscimento e tuttavia si deve ammettere che la nobildonna (come le altre del gruppo) è priva delle insegne regali d’obbligo secondo le memorie e la più tar- da tradizione iconografica riguardante l’arrivo di Caterina Cornaro. È priva della corona e con la sinistra non tiene certo lo scettro (peraltro fuori luogo), bensì un bastone da passeggio. Nell’improbabilità evidente dei rapporti spa- ziali e prospettici che caratterizzano il dipinto - nel qua- le vige l’assenza di qualsiasi sintassi come è stato colto a proposito del contesto architettonico e urbano - non si può ammettere in ogni caso che il corteo si diriga verso il gruppo delle astanti di rango aristocratico. Si ritiene che il corteo proceda invece verso il molo antistante Palazzo Ducale o la Piazzetta. L’alternativa nell’indicare la meta si impone a causa della distorsione prospettica, in conse- guenza della quale le colonne di San Marco e San Tòdaro (San Teodoro di Amasea) poste all’ingresso dell’area mar- ciana verso il molo e il bacino di San Marco - che costitu- iscono l’accesso monumentale alla piazza per chi provie-

da motivare la cronaca figurativa del dipinto di Asolo che è autonoma rispetto a quella di Sanuto ricca di tanti altri particolari in presa diretta.

L’interesse dell’iconografo fu soprattutto quello di far memoria dell’evento specifico rappresentando il consueto cerimoniale dogale nelle circostanze delle “andate”. Il ri- corso a stereotipi rappresentativi, come osservato, è com- provato dalla veduta urbana di tipologia indubbiamente arcaizzante. Il corteo è aperto dai “comandadori” con gli stendardi marciani dono del papa, per primi quelli di co- lore bianco in quanto in tempo di pace; seguono quelli in viola, azzurro e rosso che indicano guerra, tregua e lega. Distanziato è lo stendardo rosso del patrono di Venezia. Mancano quindi i suonatori di tromba, vi sono bensì alcu- ni funzionari. Al centro è il doge al quale un patrizio regge l’ombrello di tessuto d’oro mentre un altro fa da cauda- tario. Il principe indossa la dogalina scarlatta, la sottana a larghe maniche, il manto di broccato d’oro con bavero d’ermellini. Ha in capo il corno dogale cremisi con fasce d’oro all’ingiro con tre gruppi di gemme. Davanti al prin- cipe sta il ballottino, il ragazzino addetto all’estrazione dei voti che per l’età sta a simboleggiare l’innocente purezza. Lo seguono gli altri dignitari e le cariche pubbliche, tra questi il cancelier grande e il procuratore di San Marco. Non vi è nessun intento ritrattistico nella rappresentazio- ne di Francesco II Sforza, qualificato per gli abiti cremisi e il tricorno. Curiosa la rappresentazione poco avanti al suo corteo di un ragazzo mutilato che si appoggia alle stampelle, ben distante dall’altro gruppo di astanti, dal popolo vene- ziano che assiste raccogliendosi davanti a Palazzo Ducale. Potrebbe trattarsi di una “macchietta” riguardante il con- testo cittadino, difatti anche un cane sta attraversando la Piazzetta poco più il là. Ma potrebbe anche essere un’allu- sione alle reali condizioni del duca che sembra invece muo- glie e monete della prima fase del dogado lo presentano in

sembianze compatibili con quella del dipinto asolano, ben diverse da quelle del celebre ritratto di Tiziano (Washing- ton, National Gallery of Art; Crisafulli - Mezzaroba 2009, pp. 38-39 cat. 55, 40 cat. 63, 41-42 cat. 64, 52, 54-55 catt. 87- 88).

Tale ipotesi identificativa che tiene conto dell’arbitrarietà di altri aspetti documentari che caratterizzano il dipinto, sopra ricordati, può risolversi solo se fa seguito l’identifi- cazione precisa dell’evento sul piano storico.

Seppure non si è trattato di una vera e propria visita di stato, ebbe indubbiamente importanza sotto il dogado di Andrea Gritti quella del duca di Milano Francesco II Sfor- za (Milano 1495 - Vigevano 1535) annunciata proponen- dosi in alternativa al viaggio a Loreto il 9 settembre 1530, accolta il giorno seguente dal doge e dal Collegio (Sanuto 18991, LIII, coll. 541, 542) e che, dopo variazioni di data,

ebbe luogo a partire dal 20 ottobre (Sanuto 18992, LIV,

coll. 19, 37-40) per protarsi fino al 5 novembre quando il duca parte alla volta di Padova (Sanuto 18992, LIV, col.

101) per far rientro in patria sostando nelle città venete poste lungo il tragitto. Che la visita fosse memorabile lo attesta qualche decennio dopo, ad esempio, Francesco Sansovino (15811, p. 35a) che non la trascura nel «Croni-

co particolare» della storia di Venezia: «1530. Francesco Sforza, secondo duca di Milano, viene a Venezia, raccolto e festeggiato solennemente».

Secondo la cronaca di Sanuto all’arrivo «il Serenissimo lo aspettava in chiexia, li vene contra. El duca si cavò la ba- reta, il nostro doxe etiam, ma per leze non si pol cavar si non a re over cardinali o Electori de imperio; tamen mai più è venuto duca de Milan in questa terra» (Sanuto 18992,

LIV, col. 37). Anche da tale solennità e annotazione sui gesti reverenziali si ricava l’importanza dell’evento, tale

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in sede critica, si può forse citare validamente solo per una affatto remota ispirazione tematica e non certo stilistica. Altrettanto si può dire per il collegamento al caso relati- vamente più vicino di Mansueti.

Per molti aspetti arcaizzante, nelle scelte spaziali come in quelle iconografiche, indubbiamente impacciato e rigido nel disegno, l’autore si dimostra un poco più aggiornato nell’uso del colore. Si avvale di impasti e rapporti tonali, della brevità di tocco nella resa delle fisionomie. Coeren- ti con la datazione proposta sul piano storico ed esecuti- vo (non lo sarebbero alla data del 1515) sono i caratteri dell’abbigliamento delle aristocratiche rappresentate in gruppo in primo piano a destra, sia per la foggia dell’ac- conciatura che prevede un particolare tipo di reticella, sia per il taglio della «camora» o gonnella dalla scollatura quadra.

Bibliografia: Coletti 1921, ds., p. 73; Bernardi 19491, p.

134; Idem 1951, ds.; Idem 1952, ds., pp. 23-24; Puppi - Carpeggiani 1978, p. 109; Comacchio 1979, pp. 92, 93, fig. 20; Piva, in Architettura 1980, p. 94 cat. 59; Severis 1995, p. 166; D. Perocco 2012, fig. 16.

vere agilmente il passo dirigendosi verso il corteo del doge. Non dovevano essere condizioni migliori da quelle descritte un anno prima da Gasparo Contarini e Gabriele Venier, i due oratori veneti che informano la Signoria sulle mosse del duca del 24 novembre quando a Bologna rende omaggio a Carlo V e del giorno seguente quando è ricevuto da papa Clemente VII al quale si presenta barcollante aiutandosi col «suo bastoneto», ma incapace di «piegar … gambe e piedi …» e di prostrarsi per baciare la pantofola del papa (Sanuto 1898, LII, coll. 295, 305; Benzoni 1998, 50, pp. 15-23). È la circostanza in cui lo sfortunato ultimo duca di Milano stringe accordi con Carlo V, con il quale era giunto a un trat- tato anche il doge Gritti che consentì a Venezia di mantener- si neutrale rispetto alle lotte che ancora agitavano l’Italia. Questi rapporti dovettero essere fra gli argomenti all’or- dine del giorno negli incontri a Venezia fra il doge e il duca malato e in difficoltà economiche.

L’anonimo maestro che realizza “a memoria” questo ine- dito documento visivo poco dopo l’incontro veneziano del 1530 può essere annoverato fra gli specialisti in “pittura di storia” destinata ai cassoni, al mobilio e all’arredo. Per- tanto Gentile Bellini con la sua scuola, richiamo avanzato

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