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Maria Vergine con Gesù Bambino

Olio su tela, 44,8 x 33,5 cm | Inv. 736

Provenienza: Legato Bertoldi, 1910 Restauri: A. Bigolin, 1994

I due dipinti in ovale sono ideati in pendant per una destina- zione devozionale con tutta probabilità nella sfera privata. La superficie pittorica presenta alcune abrasioni, localiz- zate prevalentemente sul fondo e piccolissime cadute di colore che rivelano il bolo rosso della preparazione. Le tele sono state foderate.

Nell’elenco del Legato Bertoldi (1910) l’assegnazione è a Domenico Maggiotto (Domenico Fedeli, 1712-1794). Tut- tavia, anziché un’ascendenza piazzettesca come tale solu- zione sembra prospettare, si ritiene che prevalga nel loro stile la componente alla Sebastiano Ricci (Belluno 1659 - Venezia 1734) e propriamente nella formulazione elabora- ta da Gaspare Diziani (Belluno 1689 - Venezia 1767).

Il pittore che nei due dipinti asolani pare rapportarsi a lui si rivela personalità capace, perché mediante una pennella- ta rapida, sciolta e una regia luministica attenta, definisce la forma, esaltando la purezza dei colori sullo sfondo unito scuro, talora impreziosendoli con effetti di traslucido. Tali caratteri, unitamente all’elaborazione tipologica con- ducono all’assegnazione diretta al bavarese Johann Micha- el Lichtenreiter, figlio d’arte e membro di una famiglia di pittori, naturalizzatosi a Gorizia dove è documentato per la prima volta nel 1737 quando contrae matrimonio con la nobile Dorotea Dragogna. La sua fervida attività che comprende anche quella di frescante ha come destinatari la nobiltà cittadina più in vista (Rodolfo Coronini e Sigi- smondo Attemps-Petzenstein), le committenze ecclesia- stiche (in particolare le comunità delle Orsoline, Clarisse e dei Gesuiti) che si estendono alle località della valle del Vipacco, della Dolenjska e a Lubiana, con episodi avan- zati che si spingono fino a Sticˇna in Carniola e a Krka in Carniola Inferiore (Pillon 1996, pp. 36-46). Il percorso stilistico è stato ricostruito con una ricca raccolta di ope- re in occasione della mostra goriziana del 1996 da Andrea Antonello e Walter Klainscek (in I Lichtenreiter 1996, pp. 65-130 catt. 22-86), precisato anche con la segnalazione di un altro cospicuo numero di nuovi esempi in occasione

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via, che anche per la pala della Cattedrale di Santa Ma- ria Assunta e San Tiziano vescovo di Vittorio Veneto un altro pittore bellunese della stessa estrazione formativa, Antonio Gabrieli (Belluno 1694-1789) poco più giovane di Diziani, aveva a sua volta attinto al citato Thesenblatt (Fos- saluzza, in Cassamarca 1995, pp. 82-83; Idem in Fondazione

Cassamarca 2004, pp. 112-113), attualizzandolo rispetto a

un esito “alla Diziani” con uno stile dagli esiti un poco più leziosi propriamente rococò che ha fatto chiamare in causa Antonio e Francesco Guardi figuristi (Lucco 1983, pp. 33- 34; Vizzuti 1986, pp. 200-203).

L’aspetto di comunanza di una fonte grafica dell’immagina- rio gesuitico largamente nota non va confuso con la com- ponente che si giudica “alla Diziani” manifestata da Johann Michael Lichtenreiter che sembra emergere più forte nel tempo, suggerendo il sospetto che sia dovuta a un aggior- namento più che alla formazione dell’artista a Venezia pres- so il Vincentini (Klainschek 1996, pp. 10, 12 nota 44). Tale componente dizianesca appare comunque in una cer- ta fase più decisa di quella che ha fatto chiamare in causa Federico Bencovich, Nicola Grassi o Francesco e Giambat- tista Pittoni e pare ben accompagnarsi, semmai, alla le- zione di Valentin Janez Metzinger (Saint-Avold in Lorena 1699 - Lubiana 1757), attivo a Lubiana dal 1727.

Pertanto, la comunanza dell’utilizzo del Thesenblatt con i dizianeschi bellunesi Gabrieli e Bettio è da ritenersi, in ogni caso, solo un indizio in più sugli agganci culturali di Lichtenreiter con Venezia, ma anche con altri episodi dell’arco alpino a essa collegati.

Bibliografia: inediti. della mostra di Lubiana e Casteldobra del 2002 (Šerbelj

2002, pp. 38-41).

Tenendo conto della seriazione cronologica proposta che vede ancora problematico l’accertamento della formazio- ne e il riconoscimento delle prime opere, i dipinti asolani si possono collocare negli anni sessanta, ai quali appartie- ne l’unica tela firmata e datata: l’Adorazione dei magi del 1766 della chiesa parrocchiale di Sant’Egidio a Vipulzano (Vipolže; Šerbelj 2002, pp. 144-145 cat. 42). In particola- re, essi trovano riferimento in quelle destinate al monaste- ro di Sant’Orsola a Gorizia. Fra queste, composte in serie, non si può tralasciare quella del San Giuseppe con il Bambi-

no Gesù e san Giovannino per i probanti riscontri tipologici,

come pure quella della Sacra Famiglia in paesaggio (Anto- nello, in I Lichtenreiter 1996, p. 106 cat. 61; Klainscek, in I

Lichtenreiter 1996, p. 113 cat. 68).

La maggiore scioltezza nell’esecuzione dei dipinti asolani, rispetto a tali esempi, trova coincidenza nella Madonna con

il Bambino e i santi Luigi Gonzaga e Stanislao Kostka del mona-

stero di Sant’Orsola, opera datata al 1770 o poco prima. La composizione deriva dal cosiddetto Thesenblatt «utilizzato nel Settecento dai gesuiti come una specie di volantino per annunciare la difesa pubblica delle loro tesi di dottorato» (Šerbelj 2002, pp. 152-153 cat. 46). Si è ritenuto che anche Gaspare Diziani ne abbia tenuto conto per la pala di que- sto soggetto del Duomo di Belluno (Malni Pascoletti 2001, pp. 122-123), la quale, in realtà, è da assegnare ad Anto- nio Bettio o de Bittio (Belluno 1722-1797) che al Diziani è pur sempre legato specie negli esiti di quest’opera (Viz- zuti 1995, pp. 100-103). Circa l’utilizzo della fonte grafica, pertanto, è di particolare importanza tener conto che la pala nel 1773 figurava sull’altare dedicato a san Luigi del Collegio dei Gesuiti in Belluno, grazie alla commissione della nobile Chiara Liarca Campelli. Si aggiunga, tutta-

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cata in un contesto affatto periferico, che si ritiene quello delle valli trentine. Punto di riferimento per l’anonimo pittore si indica orientativamente Francesco Sebaldo Un- terperger (Cavalese 1706-1776) il quale, con il più anzia- no fratello Michelangelo (Cavalese 1695 - Vienna 1758), costituisce la prima generazione della bottega famigliare di questi pittori trentini. Mentre Michelangelo dopo una prima formazione in patria partecipò effettivamente alla bottega di Piazzetta a Venezia per trasferirsi poi a Vienna, Francesco Sebaldo preferì circa il 1740 quella di Pittoni per stabilirsi in seguito a Bressanone. Nicolò Rasmo (1977, p. 22) ne sintetizza la posizione in questi termini: «I suoi le- gami costanti con la pittura veneziana lo propongono nel- la funzione storica di mediatore, fra i più importanti, di quei rapporti costanti fra Venezia e la regione atesina che nel corso del Settecento appaiono sempre molto vivi». Lo stile del dipinto asolano, con la verve espressiva e la facilità d’esecuzione peculiare dipendono dall’influenza esercita- ta sotto tale segno da Francesco Sebaldo Unterperger in una vasta area. Elvio Mich (2010, pp. 218-219 cat. 119) ricorda come alla sua scuola si erano ‘incamminati’ Anto- nio Vincenzi, Antonio Scopoli, Cristoforo e Ignazio Un- terperger. Lo studioso annovera altresì in questo gruppo Ignazio Paluselli (Tesero 1744 - Rovereto 1779) delinen- Si ignora la provenienza dell’opera. La tela, in buono stato

di conservazione, è stata foderata e il telaio sostituito in un intervento che risale probabilmente alla metà del seco- lo scorso. Sul lato sinistro si nota un fenomeno di ossida- zione e sollevamento del colore.

L’Evangelista, riconoscibile per l’incipit del vangelo e l’a- quila al suo fianco, sta evidentemente componendo sotto l’ispirazione divina, come attesta lo sguardo rapito rivolto verso l’alto. Con ogni probabilità doveva far parte di una serie con le immagini degli evangelisti.

Battaglia (1988, scheda OA) suggerisce per questa com- posizione una derivazione da un prototipo piazzettesco, riproposto però in una versione «di più teso espressioni- smo che risalta bene nel concitato attorcersi delle vesti e nello stilismo antirealistico della figura che arriva a tocca- re punte di grottesco nel brano delle mani disarticolate». La studiosa preferisce istituire confronti soprattutto con i modi di due artisti gravitanti nell’orbita piazzettesca qua- li Giulia Lama e Federico Bencovich, in virtù di quella loro «maniera scabra ed esagitata».

Pur potendosi confermare certa ispirazione tratta da esempi del Rococò veneziano, con particolare riguardo a Giambattista Pittoni (Venezia? 1687 - Venezia 1767) ri- spetto a quelli della linea piazzettesca, l’opera va collo-

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