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Affresco, 103,8 x 28,5 cm | Inv. 549

L’affresco, strappato, è stato riportato su tela applicata a un telaio perimetrale ligneo. Versa in un discreto stato conservativo. Le numerose lacune e abrasioni non interes- sano infatti parti vitali. La cornice ottocentesca è intaglia- ta ed ebanizzata.

L’opera potrebbe essere identificata con il «San Rocco su tela» menzionato tra i «Quadri appesi alle pareti della Sala Comunale» dell’inventario Scomazzetto del 1889. Si igno- ra la provenienza.

Il santo è colto a figura intera orientato di trequarti ver- so sinistra con la testa ruotata per indirizzare lo sguardo all’osservatore. È collocato entro nicchia e in origine pote- va far parte di una sequenza di santi o di un polittico. Pre- senta i consueti attributi del pellegrino. Tiene il bordone, indossa il mantello rosso (detto sanrocchino); il cappello a larghe tese nero (petàso) che ha alle spalle è assicurato da una cordicella che gli attraversa il busto. Indossa la stretta tunica corta cinta ai fianchi, calze ben aderenti e alti cal- zari dai lembi abbondantemente ripiegati. Mostra la piaga scoprendo la gamba destra (Vauchez 1968, XI, coll. 264- 273; Niero 1991; Ascagni 1997).

Nel tentativo di definire l’area d’appartenenza dell’ignoto autore di quest’opera, Battaglia (1988, scheda OA) nota come l’accentuazione del mezzo grafico paia debitrice ver-

so certi prototipi diffusi dalla bottega di Bartolomeo Viva- rini, per cui la studiosa è spinta a collocare il dipinto in un ambito provinciale, forse tolmezzino o bellunese.

In effetti lo stile si può associare a quello di tanti altri pic- coli maestri di esperienza periferica per lo più anonimi che offrono, anche con una certa verve espressiva come in que- sto caso, una traduzione del mantegnismo alla Bartolomeo Vivarini che non esclude anche la variante squarcionesca come divulgata da Dario da Treviso. La padronanza della tecnica del buon fresco assicura loro, in generale, risultati efficaci e un’immediata comunicativa devozionale.

Tra gli anonimi si indica, a titolo d’esempio, per signi- ficative affinità di esito il frescante di cui si sono rinve- nuti alcuni brani nella chiesa di San Martino di Bibano di Godega Sant’Urbano, associabili a quelli del cosiddet- to Maestro di Pinidello che realizza un ciclo cristologico nel presbiterio della chiesa parrocchiale di Santo Stefano di quella località, tenendo conto soprattutto dei modi «mantegneschi» di Andrea Bellunello (Fossaluzza 2003, I.3, pp. 257-303).

Anche nell’affresco asolano si denotano buone capacità esecutive. Con rapidità e sicurezza il pittore si svincola dal segno portante, accosta tratti di poche gamme croma- tiche in modo compendiario ma in grado di conferire forza

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mentre al Trevisan succede nella carica Girolamo Michiel. Si è riconosciuto in questi affreschi quel Bartolomeo Zan- co che, in base a deduzioni documentarie, realizza la Ma-

donna con il Bambino in trono fra i santi Rocco e Sebastiano e

l’Imago pietatis nella cimasa nell’oratorio dei Santi Rocco e Sebastiano in Valle di Cornuda, in contrada della Pianez- za, in cui appone la data del 1482, 31 ottobre (Fossaluzza 2003, I.3, pp. 346-347 figg. 20.7-20.8, 370-372, 416-419 figg. 20.76-20.79). Si vedano inoltre Moschetti (1932, p. 161 fig. 132), Binotto (1984, p. 340), Farronato (19931, pp.

36-40), S. Rizzato (in Fossaluzza 2003, I.4, p. 264), R. Riz- zato (in Fossaluzza 2003, I.4, p. 265).

Il committente è Vittore Fotàro, originario di Cornuda ma abitante ad Asolo. Probabilmente per ragioni votive, a seguito della scampata peste del 1474, promosse la costru- zione della chiesa dedicata ai santi invocati per la salvezza da tale morbo. In anni vicini a quelli dell’affresco esegui- to nel 1482 sono documentati i suoi legami con il pittore Bartolomeo Zanco, originario di Treviso, ma abitante ad Asolo, per cui se ne è dedotto che possa esserne l’autore (Farronato 19931, pp. 36-40).

Risulta evidente la coincidenza stilistica ed esecutiva dell’inedito affresco del Museo Civico asolano con questi pochi esempi, soprattutto con quelli di stesura più libera di San Gottardo. Pertanto si può avvalorare l’indicazione documentaria con un’ulteriore attribuzione diretta in fa- vore di Bartolomeo Zanco.

Bibliografia: Bernardi 1951, ds.; Comacchio 1979, p. 81. plastica, di determinare efficacemente le linee d’espressio-

ne e i piani luminosi.

Analoga tecnica e un risultato espressivo affine si trova in alcuni affreschi riconoscibili a Dario da Treviso e aiuti nella chiesa di San Gottardo di Asolo, tuttavia dai modi più analitici: San Biagio vescovo e San Giacomo Maggiore, San

Pietro martire, Strumenti della Passione (Fossaluzza 2003, I.3,

pp. 58-59, 90-93 figg. 15.90-15.93).

Le più forti somiglianze, tanto da consentire la proposta del riconoscimento alla stessa mano, si riscontrano in al- tri affreschi di questa chiesa asolana (Fossaluzza 2003, I.3, pp. 348-349 figg. 20.9, 20.10, 420-423 figg. 20.80- 20.83). Innanzitutto nel Martirio di sant’Erasmo della pa- rete destra della navata centrale, realizzato a fianco del

San Gottardo in cattedra tra san Bonaventura e santa Chiara

di Dario da Treviso che è tra le sue opere di maggiore qualità (Kaftal 1978, coll. 297-298 fig. 533; Fossaluzza 1990, II, pp. 543, 558 nota 22; Idem 2003, I.3, pp. 348 fig. 20.9, 369 fig. 20.30, 372, 422-423 figg. 20.82-20.83). Inoltre negli Stemmi, con data 1477, dell’imposta degli archi della parete destra della navata centrale (D. Puppi 1982-1983, p. 224; Fossaluzza 1990, II, p. 542, 558 nota 21; Idem 2003, I.3, pp. 372, 349 fig. 20.10, 420-421 figg. 20.80-20.81).

Uno degli stemmi (d’oro allo scaglione d’azzurro) cor- risponde a quello della famiglia veneziana dei Trevisan, quindi può fare riferimento al podestà Zaccaria Trevisan in carica ad Asolo nel 1476. L’altro (d’oro alla banda d’az- zurro) corrisponde alla famiglia veneziana dei Morosini,

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Centauro

Affresco strappato, 20,5 x 31cm | Inv. 939 Restauri: B. Girotto, 2013

La tela di supporto su cui è stato ricollocato l’affresco strappato risultava molto allentata. La superficie pittorica presentava diffuse cadute di colore e uno strato di deposi- to superficiale. È recente l’intervento conservativo che ha riguardato il consolidamento e la pulitura, l’integrazione delle lacune.

Può essere identificato con quel «Dipinto sulla tela rappre- sentante un Centauro» menzionato tra i «Quadri appesi alle pareti della Sala Comunale» dell’inventario Scomaz- zetto, redatto nel 1889.

Su fondo rosso, entro una riquadratura prospettica, il pic- colo centauro è definito con un tratto nero portante e una stesura di calce con rialzi in ocra bruna mediante legge- re velature. Colto in movimento, reca una coppa con due manici e la fiaccola. A sinistra affiora una testa alata. In basso si intravede un elemento nastriforme in ocra gialla incrociato da dei nastri rossi, mentre un altro elemento circolare si intuisce a destra.

L’opera poteva far parte di un fregio, come quelli marca- piano, o costituire una formella tra trave e trave di un sof- fitto, o essere posizionata tra le mensole dello sporto di un tetto. La tipologia è quella invalsa nella decorazione ad affresco delle facciate esterne nell’ultimissimo Quat- trocento o nei primi anni del secolo successivo di modello

antiquario. È attestata largamente nella Marca Trevigiana e lascia il posto a quella più distinta di carattere lombar- desco che con diversa perspicuità prospettica e ottica finge l’intaglio marmoreo su fondo azzurro sul modello di quelle attribuite a Giovanni Matteo Teutonico e bottega, per le quali si deve fare riferimento alla distrutta casa Barisan detta casa “Rossa” a Treviso che trova riscontro, a titolo d’esempio nei fregi sulle pareti esterne della Porta del Bar- co di Caterina Cornaro ad Altivole (Fossaluzza 2003, I.3, pp. 432-479).

Per quanto riguarda il brano asolano, che pure finge il ri- lievo marmoreo, i riscontri tipologici si possono trovare negli esempi delle botteghe specializzate impegnate nelle fasce marcapiano in una casa in via Barberia (nn. 22-24) e in una casa in via Carlo Alberto (nn. 43-47) a Treviso (Co- letti 1935, pp. 56 cat. 51, 64-65 cat. 77; Polignano 1986, pp. 44, 48-50, tav. VI, figg. 8, 19-22). Luigi Coletti associa la decorazione della casa in via Barberia a quella della casa in Rivale Sant’Andrea n. 20 e quella della casa di Via Carlo Alberto alla decorazione di Casa Forabosco in via Fiumi- celli, fra i nn. 34-36 (Coletti 1935, pp. 79-80 cat. 111, 110 cat. 191; Spiazzi 1989, pp. 98-102).

Bibliografia: Bernardi 1951, ds; Comacchio 1979, p. 81.

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questo affresco, trova larga diffusione anche per il suo con- solidato significato eucaristico, specie a partire dall’am- bito veneto e grazie all’interpretazione data da Giovanni Bellini (Belting 1981; Ringboom 1983, pp. 339-340; Bel- ting 1985; Idem 1986; Idem 1996, pp. 22-26).

In questo caso il Cristo passo si erge a occhi chiusi dal se- polcro fino all’altezza del perizoma, ha il capo chino verso sinistra coronato di spine e circondato dall’aureola. Tiene le braccia aperte. È posta in evidenza la ferita del costa- to che sgorga sangue. In alto si scorge appena il tracciato dell’asse orizzontale della croce. Il bianco sarcofago è di- sposto longitudinalmente in prospettiva. Il fondo rosso- rosato doveva essere originariamente in azzurro, così che la conduzione della luce sulla figura di Cristo dal pallido incarnato e i graduali passaggi chiaroscurali potevano ri- cevere un più preciso valore.

Il senso delle proporzioni, la sensibilità del modellato e la morbidezza cromatica nella resa dell’anatomia consentono di sostenere una datazione ai primi anni del XVI secolo, come a suo tempo si è suggerito a Roberta Rizzato (in Fos- saluzza 2003, I.4, pp. 234-235).

Bibliografia: R. Rizzato, in Fossaluzza 2003, I.4, pp. 234- 235.

La lunetta lapidea dalla cornice perimetrale di semplice modanatura includente un bastone, è arricchita lateral- mente dal diffuso motivo della palmetta con rosetta che doveva avere il corrispettivo sommitale andato perduto. Contiene dipinta ad affresco una Imago Pietatis. Doveva trovare sistemazione a una certa altezza, come si deduce dal fatto che la base doveva fungere da architrave e dall’os- servazione da un punto di vista dal basso che è richiesta dall’immagine. Le mensole su cui poggia nell’attuale collo- cazione presso il Museo asolano sono di tutt’altra origine. La provenienza è dalla distrutta chiesa di San Biagio in Asolo (cfr. cat. 01., inv. 407; cat. 103, inv. 892). Non si di- spone tuttavia di notizie certe sulla precisa ubicazione. Il soggetto e le dimensioni sono pertinenti, ad esempio, a un ciborio, ma non si esclude che si trattasse di un elemento esterno come lascia intendere la generale consunzione del- la pellicola pittorica dovuta forse al dilavaggio.

Solitamente il Cristo passo si erge dal sepolcro su fondo oro, colto a braccia aperte o conserte, talvolta con la croce alle spalle, in taluni casi affiancato da angeli in mesta ado- razione o straordinariamente da santi, mai dai due dolenti in conformità alla narrazione evangelica e all’elaborazione del tema della pietà (Ringbom 1965).

L’immagine di devozione, nella formulazione attestata da

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