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Olio su tela, 60,7 x 81 cm | Inv. 454

Provenienza: Legato Giacomo Bertoldi, 1910

L’opera si giudica in uno stato di conservazione discreto. Le tonalità scure appaiono abrase a causa dell’utilizzo di solventi nel corso di vecchi restauri che hanno fatto tra- sparire la preparazione di fondo realizzata con bolo rosso. Cadute di colore interessano i margini che dalla battuta interna del telaio si deduce siano stati rifilati.

Sulla lettera chiusa e con apposti due sigilli di ceralacca rossa riposta nello scrigno è presente una sigla che si legge con difficoltà.

Il dipinto è stato acquisito tramite il Legato Bertoldi (1910) con significativa attribuzione a Luca Giordano. Si conserva in una cornice settecentesca.

Raffigura un vecchio contabile forse un usuraio, penna in mano, intento a far tornare i conti, dall’espressione si di- rebbe con disappunto e insoddisfazione. Si presenta in ve- sti da casa con la berretta da notte, la cosiddetta papalina od orsina, seduto al tavolo su cui sono sparse monete d’oro e d’argento e un cartoccio di pepite (?). Vicino al tavolo il forziere è aperto. Alle sue spalle però la morte, velata, sta per sorprenderlo.

Il soggetto si riferisce al secondo dei sette vizi capitali il cui settenario è noto anche con l’acronimo mnemonico di s.a.l.i.g.i.a., comprendente la Superbia, l’Avarizia, la Lus- suria, l’Ira, la Gola, l’Invidia e l’Accidia.

Si può citare quale riferimento la serie di Jacques de Backer (Anversa, seconda metà del secolo XVI) del Museo Nazio- nale di Capodimonte, in cui la rappresentazione del vizio ha sullo sfondo quella di episodi vetero e neotestamentari. Solitamente l’Avarizia è rappresentata attraverso la scena di intento moraleggiante dell’usuraio che presidia i suoi tesori, o pesa sul bilancino l’anello matrimoniale impegna- to da una povera vedova per poter sostentare i figli. Alle spalle dell’usuraio impietoso o dell’avaro solitamente la morte sta per scoccare la sua freccia, in questo caso sta per ghermirlo. Il rapporto alterato con il denaro è rappresen- tato altre volte dal cambiavalute, dagli uomini del banco dei pegni e dagli esattori delle tasse.

Non mancano per questa situazione i riferimenti biblici, a Giezi, servo del profeta Eliseo, che trattiene per sé il denaro ottenuto con l’inganno da Naaman (2 Re 5,20-27). Oppure ad Anania il quale riserva per sé una parte dei proventi dalla vendita dei beni destinati al sostegno della sua comunità e che muore dopo il rimprovero dell’apostolo Pietro (At 5,1-6). Non manca l’interpretazione della parabola evange- lica della stoltezza dell’uomo ricco (Lc 12,13-21) con cui Gesù sottolinea i pericoli dell’avidità che porta a trascu- rare la propria anima. Rembrandt (Leiden 1606 - Amster- dam 1669) ne La parabola del ricco stolto o Il cambiavalute del

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particolar modo ai dipinti con episodi di “vita popolare” e scene di interni ai quali deve la sua fortuna e notorietà anche perché (Spinosa in Civiltà del ’700 1979, I, pp. 208 - 212; 1980, II, p. 427; Idem 1988, pp. 57 - 61, 168 - 169 catt. 292-294, 367 figg. 352-355, 368-370 figg. 356 -359). A titolo d’esempio, un risultato “di scuola” affine a quello del dipinto asolano per scioltezza e a un tempo meticolosi- tà di conduzione pittorica ed effetto luministico si ravvisa nel pendant con la Presentazione dei candidati alle nozze (olio su e tela, ciascuna 75 x 101 cm) proveniente da collezione spagnola ora sul mercato antiquario olandese come ope- ra attribuita a Gaspare Traversi (Theo Daatselaar, Zal- thommel NL [catalogue 2014], pp. 76-77). Nella fototeca di Federico Zeri (scheda numero 63232) uno dei dipinti è catalogato come Giuseppe Bonito, attribuzione con cui comparve sul mercato antiquario londinese nel 1976 (So- theby’s Parke-Bernet, January 22-23, Lot 79).

Bibliografia: Bernardi 1951, ds. 1627 (Berlino, Staaliche Museen Preussischer Kulturbesitz,

Gemäldegalerie) lo raffigura come un vecchio che a lume di candela trascorre la notte a contare il suo oro.

L’attribuzione del dipinto del Museo di Asolo a Luca Giordano (Napoli 1634-1705), pur prospettando un cer- to orientamento di gusto comprensibile, non è di fatto convincente. La stesura pittorica liscia e levigata, la luce radente e metallica appaiono infatti lontani dal suo stile anche a considerare quello della fase più avanzata. Tutta- via, la propensione per un naturalismo preciso e definito induce a rimanere in ambito napoletano, ma a una data che può essere avanzata verso la metà del Settecento. Il linguaggio di riferimento si ritiene possa essere quello di Francesco Solimena (Canale di Serino 1657 - Barra 1747), la tematica quella di genere in cui si specializzano notoria- mente i suoi allievi quali Giuseppe Bonito (Castellammare di Stabia 1707 - Napoli 1789) e poco dopo Gaspare Traver- si (Napoli 1722 circa - Roma 1770).

Bonito a partire dalla fine degli anni trenta si dedica in

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A sostegno della soluzione attributiva è utile, in particola- re, il confronto con la tela della Madonna del Rosario e santa

Rosa da Lima (235 x 157,5 cm) già ubicata nell’Anticamera

dei Presidenti del Nuovo Ospedale di Modena (ora Mo- dena, chiesa delle Domenicane), considerata da Antonio Zerbini (sec. XVIII, ms.) «la più bella (…) e più eccellente che sortita sia dalle mani di Antonio Consetti». In parti- colare, si aggiunga la comparazione con il piccolo dipinto su carta applicato su tela (38 x 22 cm) del Museo Civico di Modena (proveniente dall’Ente Comunale di Assisten- za), giudicato esserne il bozzetto preparatorio o replica, rispettando in tutto la composizione e la soluzione figu- rativa (Guandalini, in L’arte degli Estensi 1986, pp. 285-286 catt. 204-205). Il supporto cartaceo consente la maggiore leggerezza di tocco nella stesura di una materia cromati- ca comunque corposa. Un aspetto del tutto peculiare del dipinto asolano è quello di una resa “per macchie”, ad esempio nelle vesti della Vergine, altrimenti quello di una conduzione come filamentosa del secondo piano, come si nota nel brano del san Giuseppe e l’asino.

Bibliografia: Bernardi 1951, ds. Il dipinto entra a far parte delle collezioni museali con il

Legato Bertoldi del 1910, dove era attribuito ad Annibale Carracci, in modo da sancirne in termini di antistorica ec- cellenza la derivazione emiliana.

Per questo inedito si propone l’assegnazione al modenese Antonio Consetti in una fase matura, dopo il 1730, in base al profilo che si fonda sulla testimonianza di Tiraboschi (1786, pp. 180-183).

Le basi comparative riguardano l’affinità di esito esecu- tivo in opere di piccole dimensioni nelle quali si esaltano maggiormente gli aspetti di squisito carattere barocchet- to nella scioltezza della ritmica compositiva e fragranza del fraseggio pittorico chiarista sulla base di una solidità formale improntata alla cultura bolognese post-reniana. Quest’ultima è derivante dalla formazione del pittore presso Giovan Gioseffo Dal Sole (Bologna 1654-1719) poi presso Donato Creti (Cremona 1671 - Bologna 1749), l’esito più evoluto è sostenuto invece dall’interesse per Vittorio Maria Bigari (Bologna 1692-1776) in modo da presentarsi affine a quello del conterraneo Francesco Vel- lani (Modena 1689-1768; Guandalini, in L’arte degli Estensi 1986, pp. 283-284; Novelli 1983, 28, pp. 47-48).

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