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Riposo durante la Fuga in Egitto

Olio su tela, 81,5 x 108,2 cm | Inv. 464

Provenienza: Legato Giacomo Bertoldi, 1910 Restauri: R. Clochiatti, 1994

Il dipinto si presenta in buono stato di conservazione an- che se si notano piccoli sollevamenti e cadute di colore. Si registrano inoltre alcune abrasioni della pellicola pit- torica. È probabile che un antico restauro abbia sottratto parte di colore del prato in primo piano, il quale tuttavia a un esame con la lampada ai raggi ultravioletti non appare ridipinto se si escludono gli sporadici fili d’erba del tutto superficiali che lo costellano.

Il tema è quello del riposo durante la fuga in Egitto. Ma- ria è raffigurata mentre allatta Gesù Bambino; Giuseppe, anziano secondo la tradizione e con modesti abiti, osserva pensoso. Si notano i piccoli bagagli e il bastone del santo, pochi effetti personali portati per il loro viaggio, tipici og- getti dell’iconografia del pellegrino. Sulla sinistra, l’asino bruca l’erba. L’animale che accompagna la Sacra Famiglia in questo esilio è rappresentato tradizionalmente con una valenza positiva, in quanto cavalcatura di Gesù all’ingres- so a Gerusalemme; qui diventa metafora dell’umiltà del Redentore (Mt 21,1-11; H. Schmidt - M. Schmidt 1988, pp. 85-87).

Sopra al gruppo, in cielo, tra le nuvole, si alza una gloria d’angeli. Essi, rappresentati come bambini alati, osserva- no e proteggono la famiglia. Nelle loro mani, tengono dei piccoli ramoscelli. Secondo i Vangeli Apocrifi, infatti, du-

rante il riposo nella Fuga, Maria e Giuseppe hanno trovato ristoro sotto una palma, la quale, dopo un ordine di Gesù, ha inclinato i suoi rami per dar loro frutti e successiva- mente ha sgorgato acqua. Per ringraziare la volta celeste di questo miracolo, definito miracolo della Palma, Gesù ha consegnato agli angeli dei rami da portare in Paradiso, al Padre, come segno di riconoscenza. In quest’opera, però, non è rappresentata la palma tradizionale. Si potrebbe supporre, anche osservando le caratteristiche dell’albero, che possa trattarsi di un tasso. In ogni caso, l’albero rap- presentato in tale circostanza da altri artisti, può far rife- rimento alla radice di Jesse e richiamare la Terra Promessa. Quanto ai ramoscelli tenuti dagli angeli le foglie sono arro- tondate e non aghiformi e disposte a pettine come quelle del tasso, si rappresentano anche bacche bianche. Il mirto ha delle forti somiglianze, e quello tarantino è emblema di pace per il popolo ebraico. Secondo le parole di Isaia (55, 13; 41,18-19) dove compare il mirto: «al posto dei roveti crescerà il cipresso, al posto delle ortiche il mirto; ciò sarà a gloria del Signore un segno eterno che non scomparirà»; «cambierò il deserto in un lago d’acqua, la terra arida in sorgenti. Pianterò cedri nel deserto, acacie, mirti e ulivi ». A destra della tavola, in secondo piano, emerge una città. L’opera è stata acquisita tramite il Legato Bertoldi (1910),

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nero-bruno è un aspetto non di certo riconducibile al cal- do tonalismo tizianesco. Per seconda, una differenziazio- ne riguarda l’adozione di un punto di vista prospettico dall’alto su un paese più realistico, così percepito anche per il motivo della lavandaia, di un altro personaggio fem- minile sulla destra e del viandante, nonché per lo studio di quanto si specchia sul fiume reso con poche e sapienti zone cromatiche sintetiche e costruttive.

Nel dipinto di Asolo questi aspetti rivelano una piena e coerente elaborazione di modelli romani, attraverso la tra- dizionale osservazione dei fatti mantovani ovvero di Giu- lio Romano e parmigianineschi, dall’altro lato l’interesse per la pittura bresciana più che tizianesca. Quest’ultimo si manifesta nello splendido brano di paese nella sua verità e fredda orchestrazione cromatica. Tale abbinamento non può che condurre in una specialissima congiuntura vero- nese degli inoltrati anni Trenta e al decennio successivo nel quale si propone di collocare il dipinto asolano con un’attribuzione dubitativa sostenuta per la prima volta in questa occasione.

La congiuntura sarebbe quella rappresentata dall’attività di Francesco India, detto il Torbido o il Moro (Venezia 1482/1485 circa - Verona 1561) e del genero Battista d’An- golo, detto del Moro (Verona 1514/1515 - Venezia 1574), essendogli attribuito il soprannome del suocero (Repetto Contaldo 19842; Guzzo 1986, 32, pp. 576-581; Brugnoli -

Pollini 2010, pp. 191-207).

Si ritiene che nel dipinto di Asolo si esprima una persona- lità il cui esito stilistico è, negli aspetti sostanziali, paral- lelo a quello che deriva dalle collaborazioni fra il Torbido e Battista dell’Angolo e che poi si manifesta nelle prime rare opere autonome di quest’ultimo. Si tratta dell’esito di quei legami che sono documentati già da Vasari nel 1568 (1880, V, pp. 296-298).

nell’occasione risulta attribuita dubitativamente a Tizia- no. Secondo Battaglia (1988, scheda OA) il «motivo del- la corona di putti è ripreso dal dipinto dell’Assunta» dei Frari, mentre nel complesso l’opera si qualificherebbe per «quell’irrobustimento delle forme date dalla dilatazione dei piani di colore che è tipica della maniera tizianesca e dei suoi diretti seguaci».

Lo stile di quest’opera rimasta finora inedita è tuttavia ben più complesso e indubbiamente porta oltre il generico riferimento tizianesco, caratterizzandosi per la fusione di componenti derivate da scuole pittoriche diverse. La pri- ma fa riferimento all’ultima stagione della pittura raffa- ellesca, dove la rigorosa costruzione formale si sostanzia nell’utilizzo di un lume sostenuto capace di trascolorare le vesti della Vergine, la cui sofisticata eleganza formale appare già minata da inquietudini manieristiche. Esse sono rilevabili nella posa e in particolare nella torsione del busto. Riguardano anche la silenziosa comunicativa indi- viduale dei personaggi. Il gruppo con la Vergine il Bam- bino, san Giuseppe e gli angioletti pare quindi frutto di una meditazione su modelli romani del secondo e terzo decennio del Cinquecento, mentre il rapporto tra le figu- re e l’ambiente rinvia effettivamente a motivi tizianeschi diffusi proprio nel secondo e terzo decennio del secolo. Si- mile infatti appare l’impaginazione con le figure portate in primo piano e tenute in posizione laterale per lasciar ampio spazio all’apertura di paese costruita attraverso la successione di piani ed evocata tuttavia tramite una pit- tura rapida affatto peculiare. Ma anche in questo aspetto di collegamento generale con il tizianismo si devono ob- biettare le differenze dovute, ancora una volta, ad altre e più consistenti matrici d’ispirazione. Per prima la scel- ta di gamme con prevalenza dei grigi, dei verdi intensi e azzurri e l’organizzazione delle zone cromatiche su fondo

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dell’opera di Giulio Romano e di Parmigianino a cui si ag- giunge l’interesse più generale dimostrato per la pittura bresciana, ma non solo per Savoldo bensì anche per Moret- to quanto a gamme cromatiche e a sensibilità paesistica. Si possono trovare affinità stilistiche e persino tipologiche anche nel disegno della Madonna in gloria e i santi Benedetto

(?), Giovanni Battista, santo vescovo e Antonio abate della Pi-

nacoteca Ambrosiana di Milano (Ballarin 1971, pp. 95, 98 fig. 132) da porsi tra i primi esempi autonomi di Battista dell’Angolo che già si esercitava nell’arte di traduzione incisoria, nella quale si distingue soprattutto per le deri- vazioni-rielaborazioni di prototipi di Raffaello e di Giulio Romano (Dillon, in Palladio 1980, pp. 257, 259-271; Idem, in La collezione 1985, p. 28 cat. 24) Si tenga conto che una tra le prime, il Sacrificio a Giove, è posto a confronto con le decorazioni di palazzo del Te a Mantova (Dillon, in Pal-

ladio 1980, p. 260 cat. XI,5; Idem, in Da Tiziano 1981, p.

319 cat. 161). Emblematica è quella celebre di traduzione della Sacra famiglia detta «La Perla» di Raffaello e Giulio Romano, tavola allora in casa Canossa a Verona (Madrid, Museo del Prado) con il suo paesaggio ricco di elementi classici osservato dall’alto (Dillon, in Palladio 1980, p. 260 cat. XI,4). Non mancano a un tempo le prime traduzio- ni anche di temi di Parmigianino, ispirati ai suoi disegni, come si ravvisa in quella della Madonna con il Bambino, san-

ta Elisabetta con san Giovannino e due angeli (Dillon, in Palladio

1980, p. 263 cat. XI,9).

La condivisione delle componenti stilistiche di fondo e di diretta ispirazione che riguardano la prima produzione di Battista dell’Angolo sono evidenti nel dipinto del Museo di Asolo. Tuttavia essa lascia il posto a scelte ed elabora- zioni peculiari sulla scorta delle quali è possibile avanzare una proposta attributiva diversa.

In primo luogo il volto della Vergine nella sua sofisticata Battista dell’Angolo dovette essere a fianco del Torbido

nella realizzazione della decorazione absidale del Duomo di Verona che data al 1534, con l’impiego dei cartoni di Giulio Romano (Serafini 1996, p. 136). Altrettanto si può suppor- re per gli affreschi dell’abbazia di San Pietro Apostolo di Rosazzo in Friuli del 1535 e per quelli che decorano il pri- mo altare a destra della basilica di San Zeno che vengono datati verso il 1538 da Marina Repetto Contaldo (1982, p. 80), studiosa che riconosce a Battista dell’Angolo le Figure

femminili con gli strumenti della Passione affrescate nell’attico

(Repetto Contaldo 19842, pp. 60 cat. 22, 155 figg. 37-38).

Alla prima fase di attività di Battista si riconoscono, oltre a queste partecipazioni di problematica individuazione, la pala raffigurante San Nicola da Bari in gloria e i santi Agostino

e Antonio abate sull’altare dei Nocchieri nella chiesa vero-

nese di San Fermo Maggiore e quella della Madonna con il

Bambino in gloria e i santi Stefano (?), Antonio abate e santo vescovo della chiesa parrocchiale di Bevilacqua Boschi.

Secondo le osservazioni di Guzzo (1986, 32, p. 577) la pala di San Fermo gli fu affidata per il completamento dal Torbido al quale potrebbero spettare gli angeli in alto. Quella di Bevilacqua Boschi sarebbe assunta in proprio in un momento subito successivo in quanto commissio- ne periferica, quindi si giunge agli iniziali anni Quaranta. La prima, per quanto ritenuta di collaborazione, «si rivela opera fondamentale [di Battista dal Moro] che, sulla base di un monumentalismo già consapevolmente manierista e mantovano, qui offre con l’esibizione di modi tipologici e cromatici di orientamento bresciano, la più clamorosa risposta veronese alla paletta del Savoldo in Santa Maria in Organo del 1533». Si ritiene che la collocazione del dipinto del Museo di Asolo trovi il punto di riferimento principale proprio nella pala di Bevilacqua Boschi con la sua sintesi di elementi raffaelleschi mutuati attraverso la conoscenza

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pala dell’Agnello Mistico in gloria, san Giovanni Battista tra i

santi Pietro e Giacomo apostoli della chiesa di San Tommaso

Cantauriense di Verona e quella della Madonna con il Bam-

bino in gloria e i santi Giovanni Battista e Bartolomeo apostolo

della chiesa parrocchiale di Cavaion (Verona). Sono opere per le quali il nome di Torbido e di Battista dell’Angolo è stato chiamato in causa per ragioni stilistiche e per com- prensibili equivoci attributivi (Repetto Contaldo 19842,

pp. 67-68 cat. A42). Si aggiunge l’affresco firmato raffi- gurante la Madonna con il Bambino in trono e i santi Rocco

e Sebastiano sulla facciata di casa Ravenelli a Verona (Via

Marconi, nn. 44- 44a) giudicata l’opera più antica del bre- ve catalogo (Marinelli 1996, I, p. 404).

È facile trovare in questi esempi il riscontro delle eleganze disegnative messe in evidenza nel dipinto asolano come pure delle gamme cromatiche preziose, compreso quel trascolo- rare della veste della Vergine. Vi è anche il modo di trova- re una maggiore assonanza con tipologie alla Caroto e alla Badile con riferimento soprattutto alla pala di Sant’Eufemia del 1547. Anche se, per lo più, gli angeli che la popolano han- no quei «capelli anguiformi» alla Giulio Romano (Marinelli 1996, I, p. 402). In particolare sostiene la proposta attributi- va in favore di Dionisio Battaglia dell’inedito dipinto asolano la coerenza di pensiero nell’interpretazione del paese come si vede nella profonda apertura della pala di Sant’Eufemia. Si avanza l’ipotesi che il dipinto asolano per la più puntua- le indagine descrittiva e naturalistica del san Giuseppe, le più meditate cadenze disegnative del gruppo della Vergine con il Bambino, l’attenuta passionalità romanista rispetto alle altre opere possa suggerire una diversa seriazione cro- nologica al catalogo che veda al primo posto questa nuova aggiunta, seppure dubitativa.

Bibliografia: Bernardi 19491, p. 133; Idem 1951, ds..

idealizzazione classicistica corrisponde a una tipologia che fa riferimento ancora a Giovanni Francesco Caroto (Vero- na 1480 circa - 1555), seppure con un modulo raffaellesco più affilato. Le tipologie del Bambino e degli angeli posso- no ricordare quelle di Antonio Badile (Verona 1517-1560) in opere coeve in cui egli si apre maggiormente alla nuova congiuntura instauratasi a Verona.

Sono aspetti rilevanti che da soli non consentono l’inseri- mento dell’opera nel catalogo iniziale di Battista dell’An- golo. Semmai aprono al confronto con un altro interprete contemporaneo della pittura mantovana, qual è Fermo Ghisoni (Caravaggio 1505 circa - Mantova 1575). Ma si tratterebbe di esempi più direttamente dipendenti da ide- azioni di Giulio Romano come la Madonna in trono con i

santi Stefano, Gerolamo, Antonio abate e Giorgio del 1534 circa

conservata al Museo diocesano di arte sacra F. Gonzaga di Mantova, o la dispersa Assunzione della Vergine del 1538 già nella chiesa abbaziale di Felonica presso Ferrara, oppure di opere successive agli anni che ora interessano, come ad esempio il San Giovanni a Patmos del Museo Civico di Cor- reggio (Berzaghi 1981, pp. 295-311; Tanzi 1987, pp. 183 segg., 238-240; Berzaghi 1998, pp. 63-67).

Istituito questo percorso orientativo si affaccia pertanto l’attribuzione, come detto dubitativa, a Dionisio Battaglia (Verona 1509 circa - 1565 circa) che attualmente dispone di poche notizie biografiche e di un catalogo altrettanto raro per cui l’aggiunta del dipinto del Museo di Asolo si ritiene di primario interesse (Repetto 1975, pp. 150-154; Marinelli 1980, p. 200 nota 8; Idem 1988, pp. 41-42; Idem 1996, I, pp. 402-403 figg. 484-486).

La proposta di paternità non può che derivare dal confron- to con la pala della Madonna con il Bambino in gloria e i santi

Giuliano e Giuliana della chiesa di Sant’Eufemia a Verona,

firmata e datata 1547. È stata aggiunta al suo catalogo la

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