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Olio su tela, 96,5 x 82,5 cm | Inv. 511

Provenienza: Legato Giacomo Bertoldi, 1910 Restauri: A. Bigolin, 1994

Il dipinto finora inedito si presenta molto lacunoso, sia nella porzione di cielo che nella figura e, probabilmente, rifilato nella parte bassa. Tali aspetti tuttavia non ne com- promettono la lettura. Acquisito con il Legato Bertoldi del 1910, dove veniva assegnato a Tintoretto, fu citato da Coletti nella sua relazione del 1921, come «il creduto Tin- toretto di Mons. Bertoldi».

Il santo è raffigurato trafitto dalle frecce, conforme al rac- conto agiografico del primo martirio subìto. La figura in una studiata postura è spinta in primo piano, profilata da un lato su un cielo nuvoloso, dall’altro su un tronco d’albero in controluce. Tale soluzione unita al movimen- to contrapposto delle braccia e a quella speciale indagine luministica volta a investigare il torso del santo colto in un movimento sinuoso, rimanda a linee fondamentali del- la pittura veneta cinquecentesca, quelle che fanno capo a Paolo Veronese e al Tintoretto. Quanto al primo si fa rife- rimento al riguardo della spazialità e accertamento dise- gnativo della postura; per l’altro maestro a proposito della tensione dinamica, dell’abbreviatura nella definizione pit- torica e nella scelta delle gamme pur in presenza di un’alta e diffusa luminosità. Abbreviatura che ben si esprime an- che nella pittura di tocco che qualifica il volto, nonché il brano paesistico e le poche fronde dell’albero.

Pertanto, il dipinto asolano per il quale non si è in gra- do di accertare al momento un preciso modello ideativo da cui possa derivare, è da riconoscere a un pittore che s’inserisce in quella linea della pittura veneta che, fra Cin- que e Seicento, fa sintesi di queste fondamentali istanze stilistiche, la quale si configura nelle sette maniere «in certa guisa consimili» del tardo-manierismo secondo l’e- spressione di Marco Boschini (Breve Instruzione 1674, s.p.). Non può essere riconosciuto tuttavia a un esponente in particolare fra questi sette principali, ma associato alla produzione dai diversificati esiti qualitativi della bottega che divulga su larga scala modelli devozionali cinquecen- teschi (in particolare di Polidoro da Lanciano) alla quale appartiene il dipinto delle raccolte asolane raffigurante il Cristo morto sostenuto dall’angelo sul sepolcro (cat. 13, inv. 457). Vi corrisponde, in particolare, la selezione ridotta a poche gamme cromatiche e la semplificazione nella stesura pittorica risolta tutta in superficie. Sotto questo aspetto un punto di riferimento può essere indicato nel San Girola-

mo in meditazione apparso sul mercato antiquario milanese

(Dipinti antichi 2007, p. 137 lotto 170) con attribuzione a Giovanni Contarini (Venezia 1549 circa - 1604), ma da non confermarsi come autografo. Un riferimento a Contarini per quest’opera asolana è stato avanzato da Roberta Bat-

taglia (1988, scheda OA), il quale può essere avvalorato a proposito degli effetti cromatici di ascendenza tonale che costituiscono la componente tizianesca degli avvii di tale maestro, ad osservare i più solidi e monumentali dipinti de Il sacrificio di Isacco, Davide che suona l’arpa e la Maddale-

na penitente della Pinacoteca Querini Stampalia di Venezia,

essi ricevono una datazione alla seconda metà dell’ottavo decennio (Bristot 1980, pp. 59-60).

Bibliografia: Coletti 1921, ds., p. 73; Bertarelli 1925, p. 314; Bernardi 19491, p. 134; Idem 1951, ds.; Veneto 1954,

p. 438.

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La Carità

Olio su tela, 167,5 x 74,2 cm | Inv. 516

Provenienza: Donazione Gian Francesco Malipiero, 1953

La tavola presenta una lunga frattura dalla sommità fino al centro causata dalla costrizione provocata dalle due tra- verse orizzontali applicate sul retro al fine di trattenerla. Sono stati posti sul retro verso destra anche un inserto in legno e vari innesti di cunei in corrispondenza dei nodi del legno. Lo stato di conservazione della superficie pittorica è discreto, anche se si notano abrasioni che vanno però giudicate in presenza di una pittura che lascia trasparire in più punti l’imprimitura rosata di fondo. Alcuni vecchi restauri integrativi si sono alterati, come pure le vernici che non consentono una lettura del tutto agevole.

Donata al Museo nel 1953 da Gian Francesco Malipiero, l’o- pera era destinata probabilmente a costituire l’anta di un mobile o a inserirsi in un apparato decorativo di valenza architettonica entro il quale poteva risultare completata nell’impaginato. A una tale collocazione, infatti, potrebbe obbedire la collocazione del monumentale gruppo figurativo entro nicchia, la quale appare ora priva di imposta su pie- dritti, e giustificare la forte escursione chiaroscurale dello spazio così definito. In ogni caso la tavola può essere stata ri- dotta su tutti i lati, con maggiore certezza in quello superio- re dove è visibile solo parzialmente la calotta di tale nicchia. Queste soluzioni circa l’originaria collocazione e prove- nienza, tuttavia, si possono formulare solo in via ipoteti-

ca poiché si deve tenere conto prima di tutto che l’opera appare comunque incompiuta, come si può evincere dallo stato appena abbozzato delle mani e dei piedi della figura femminile, come pure dei due pargoli. Non si può esclu- dere però che tali aspetti siano da addebitarsi a un’antica pulitura eccessiva, nel qual caso sarebbe stata asportata parte della pellicola pittorica specie degli incarnati, forse realizzati con una finitura per velature al fine di ottenere un effetto tonale di superficie. Tuttavia, la testa del bam- bino stante e quella della Carità (che rimane il brano più compiuto) presentano punti di luce che sembrano delle finiture e inducono a credere che, forse, la stessa desti- nazione originaria consentisse di mantenere uno stato di abbozzo avanzato. Questi aggiustamenti fondati su ipotesi trovano un loro equilibrio nella soluzione attributiva. Le caratteristiche di “non finito” dell’inedito dipinto rive- lano un procedimento esecutivo e un ductus che consente di avanzare per la prima volta la soluzione di paternità in favore di Cesare Vecellio, figlio di un cugino del padre di Tiziano (Conte 20011, pp. 13-22), con riferimento specifi-

co alla sua impegnativa opera di decorazione della chiesa arcipretale di Santa Maria Assunta di Lentiai (Belluno). Essa comprende il polittico composto di dieci elementi su tela con al centro l’Assunzione di Maria, santi a figura in-

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tera entro nicchia nell’ordine principale (Tiziano vescovo, gli Apostoli Pietro, Paolo, e Giovanni Evangelista) e in quello superiore a mezza figura su fondo unito (i patroni della diocesi di Feltre i Santi Corona e Vittore, Sant’Antonio Abate e Santa Maria Maddalena); il complesso è dotato di cimasa con il Cristo morto sostenuto sul sepolcro da due angeli. Grande impegno richiese al Vecellio soprattutto l’allestimento del vasto soffitto ligneo a cassettoni che ospita i venti riquadri principali delle Storie di Maria, nelle cui cornici figurano quarantotto targhe (dieci ora mancanti) in finto bronzo con correlati episodi veterotestamentari di prefigurazio- ne. È concomitante l’esecuzione degli affreschi delle pareti dell’aula con le immagini degli Apostoli entro nicchia (Ver- gerio 1931; Claut 2001, pp. 44-46). L’esecuzione di questi lavori risale agli anni 1578-79, a seguito del rinnovo archi- tettonico del 1568.

Nella tavola asolana si rinnova la ricerca di esito monu- mentale propria sia dei laterali del polittico su tela che si distingue per i passaggi cromatici ben modulati, sia degli apostoli ad affresco. Questi, nonostante la tecnica adottata, sono sottoposti a un disegno meticoloso e presentano una compiuta definizione formale ed espressiva. Tuttavia tale ricerca si attua nell’opera in oggetto con le caratteristiche esecutive proprie delle Storie di Maria su tavola, quelle di una pittura “a macchia”, compendiaria, apparentemente veloce e comunque sapiente nella sua stilizzazione. Una scelta che indubbiamente è funzionale alla percezione di piena efficacia a grande distanza e su vaste proporzioni, per la quale risultano necessarie anche schematiche soluzioni spaziali e una definita elaborazione cromatica e chiaroscu- rale. Questa è garantita da pochi richiami di gamme più accese e da una forte incidenza luminosa sui bianchi. Nel vasto repertorio delle Storie di Maria sono molti, sot- to questi aspetti, i riscontri per quanto riguarda la veste

logo di Cesare Vecellio negli ultimi anni settanta, all’al- tezza del soffitto di Lentiai, nonché del San Sebastiano e del San Rocco, frammenti di altra pala per questa chiesa, oppure accanto alla Madonna del Rosario, dipinto d’altare forse poco più tardo in essa collocata, ma di provenienza originaria non sicura.

Tra la documentazione delle opere perdute di Cesare Ve- cellio non si trova traccia dell’esecuzione di un tale sog- getto allegorico su tavola. Esso rispecchia l’iconografia tra- dizionale ed è molto probabile che si accompagnasse alle immagini delle altre Virtù Teologali: Fede e Speranza. Non va trascurata la testimonianza che segnala sulla facciata dell’antica casa canonica arcidiaconale di Pieve di Cadore l’affresco con «tre bellissime figure, che rappresentano le virtù teologali» (Sampieri 1763-1813, ms. 207, cc. 1r-2v), ricordato anche in seguito (Ticozzi 1817, p. 285; Ciani 1862, II, p. 472), e di recente annoverato tra le opere perdu- te (Concina 1982, p. 58; Conte 20012, p. 156; Bernini 2001,

p. 243). Nessuna migliore precisazione descrittiva rimane per un confronto almeno ideativo con la tavola asolana. Bibliografia: inedito.

in lacca scura dalle pieghe a largo passo della Carità, o il rovello dei riflessi luminosi delle voluminose maniche del corpetto in verde scuro. In particolare sembra coincidere la costruzione degli incarnati per stesure “alla prima” a larghe pennellate di colore chiaro e corposo su un fondo rosato, in taluni punti sovrammesso direttamente all’ocra scura dell’abbozzo a pennello della forma. Nel volto della Carità tale procedimento è da ritenersi giunto al suo fine, risolvendo anche gli effetti chiaroscurali ed espressivi. Lo si evince dal confronto, ad esempio, con il volto della sposa delle Nozze di Cana del ciclo di Lentiai che è figura posta nel secondo piano; ma anche con quelli della Vergine e di altri personaggi femminili che sono posti sul primo pia- no della scena di Gesù presentato al tempio, recante la firma dell’autore. In nessun caso, è da sottolineare, si osservano nel ciclo di Lentiai stadi di abbozzo avanzato come quello di altre parti della tavola asolana. Gli aspetti tipologici che emergono nell’elaborazione su matrice tizianesca del volto della Carità trovano, invece, in esso chiari riscontri, come pure quelli dei due pargoli riccioluti, pur giudicati nello stato di abbozzo.

Pertanto la tavola asolana può essere annoverata nel cata-

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