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Un anno certamente disastroso

Questa rapidità della reazione dei governi e questo loro coordinamento

hanno aiutato in misura certamente determinate ad arginare il panico, a soste-nere il sistema finanziario, a finanziare i grandi cantieri dei piani di rilancio delle infrastrutture e ad impedire il collasso della domanda privata. Cionono-stante, la ripresa della seconda metà dell’anno 2009 è stata ben lontana dal compensare le perdite rovinose del primo semestre. Lo stato dell’economia mondiale del 2009 appare pertanto sensibilmente deteriorato rispetto a quello dell’anno prima.

Il PIL è caduto in pressoché tutte le economie sviluppate e in gran parte degli altri paesi. La sua variazione percentuale sul 2008, in altre parole la per-dita, è stata dell’ordine del -2,5 per gli Stati Uniti e per il Canada, del -5,3 per il Giappone, del -3,9 per l’Europa dell’area dell’euro (-5,1 per l’Italia, -4,9 per la Germania, -3,6 per la Spagna, -2,2 per la Francia) e del -4,7 per la Gran Bre-tagna. Nei paesi dell’Europa Centrale membri dell’Unione Europea il ritiro dei capitali da parte dei paesi dell’Europa dell’Ovest, il forte indebitamento in eu-ro e la caduta delle esportazioni hanno avuto conseguenze disasteu-rose nella quasi totalità dei casi; la caduta del PIL è stata mediamente superiore al 7 per cento, ma con punte comprese tra il 14 ed il 18,5 per cento nel caso dei tre pic-coli paesi del Baltico. La sola eccezione in questa Unione Europea in recessio-ne è la Polonia. Questo paese sta vivendo una sorta di miracolo economico che gli ha consentito lo scorso anno una crescita dell’1,7 per cento.

Il 2009 è stato un anno nero anche per il commercio internazionale. La ri-presa delle importazioni del secondo semestre, sostenuta in particolar modo dalla domanda proveniente dai paesi emergenti dell’Asia, non ha impedito che la crisi economica internazionale provocasse, secondo le ultime stime del WTO, un calo degli scambi commerciali mondiali dell’ordine del 12,5 per cento. Si tratta della contrazione più forte che questi scambi abbiano sofferto a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale.

La caduta più grave per il suo impatto sul piano sociale oltre che economi-co a livello mondiale è tuttavia quella del mercato del lavoro. Per interpretare correttamente la reale portata di una simile caduta va tenuto presente che que-sto mercato reagisce in modo differito alle variazioni di crescita del PIL perché la contrazione e l’espansione dell’economia si ripercuotono in misura sensibile sull’occupazione solo a distanza di numerosi mesi. Occorre inoltre tenere con-to del fatcon-to che lo scorso anno la perdita di posti di lavoro è stata fortemente rallentata dalle misure di differente natura che, come si è prima accennato, la maggior parte dei paesi ha messo in opera per limitare l’impatto della crisi e-conomica sul mondo del lavoro.

Negli Stati Uniti il piano di stimolo per l’economia da 787 miliardi di dol-lari varato nel febbraio 2009 ha salvato almeno due milioni di posti di lavoro.

Malgrado ciò, questo paese ha visto distrutti nel solo 2009 oltre 4,5 milioni di

posti di lavoro che si sono aggiunti ai 2,8 milioni già persi nel 2008. Il tasso di disoccupazione che alla fine del 2008 aveva raggiunto il livello del 7,2 per cento, un livello già elevato per questo paese, è così continuato a crescere, no-nostante la ripresa degli ultimi due trimestri, sino a toccare nel dicembre 2009 la quota del 10 per cento. Se al numero di questi disoccupati si aggiungono i numeri di coloro che in mancanza di meglio accettano un lavoro temporaneo irregolare, di quanti conoscono periodicamente una disoccupazione tecnica e di quelli che vedono i loro tempi di lavoro settimanali ridotti d’autorità, si può affermare che oggi un americano su cinque è direttamente colpito dalla crisi economica. Una indiretta conferma della gravità di questo problema sociale è offerta dal fatto che tra la fine del 2006 e l’agosto del 2009 il numero degli americani che beneficiano di un aiuto alimentare pubblico è passato dai 26 ai 36,5 milioni di persone.

In Europa nel corso del 2009 il tasso di disoccupazione è continuato a cre-scere nella zona dell’euro dove ha raggiunto lo scorso dicembre il livello del 10 per cento contro il 7,3 per cento di dodici mesi prima. Si tratta di una cre-scita alla quale Spagna e Irlanda hanno dato un forte contributo. In questi due paesi il numero dei posti di lavoro persi è praticamente raddoppiato, in Spagna ha quasi superato quota 4 milioni, tanto che la percentuale dei disoccupati è sa-lita sino a toccare quota 19,5 per cento in Spagna e 12,8 per cento in Irlanda.

Nella stessa Francia il tasso di disoccupazione ha raggiunto nel dicembre 2009 quota 10 per cento. La Germania è invece uno dei paesi che ha meno risentito della crisi sul piano occupazionale; grazie al meccanismo del kurzarbeit (so-stegno al reddito per riduzione dell’orario di lavoro), del quale ha beneficiato più di un milione di lavoratori, il tasso di disoccupazione si è attestato alla fine dello scorso dicembre sul livello del 7,8 per cento.

Il Bureau International du Travail non è molto ottimista sull’immediato fu-turo dell’occupazione. Nel suo Rapport sur le travail dans le monde 2009 pubblicato lo scorso dicembre questa organizzazione prevede che nelle eco-nomie sviluppate “l’occupazione non dovrebbe ritrovare il suo livello prece-dente la crisi prima del 2013”. Sono non meno interessanti, per quanto dicono sulla capacità competitiva dei paesi, i risultati di una indagine del Conference Board sull’evoluzione della produttività del lavoro determinata dalle diverse politiche di protezione sociale. Secondo questa indagine, nell’anno 2009 il prodotto per ora di lavoro è aumentato del 2,5 per cento negli Stati Uniti men-tre è diminuito dell’1,0 per cento in Europa nella zona dell’euro e dell’1,9 per cento nel Regno Unito.