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Si ferma la caduta dei prezzi internazionali delle materie pri- pri-me alipri-mentari pri-me alipri-mentari

Nel 2009 l’economia agro-alimentare del mondo è stata dominata, anche se in misura meno eclatante dell’anno precedente, dalle vicende dei prezzi inter-nazionali delle materie prime agricole. Si è arrestato lo scorso anno il crollo drastico di questi prezzi che aveva caratterizzato il secondo semestre del 2008.

Anzi, nell’ultimo trimestre del 2009 si è manifestata una tendenza pressoché generalizzata, con la sola eccezione delle carni, all’aumento. Vi è stata inoltre una categoria di materie prime, quella delle commodity “da colazione”, e tra di esse primeggia lo zucchero per il suo peso nell’economia e per l’entità dell’aumento dei suoi prezzi, i cui corsi internazionali hanno presentato lungo l’intero arco di tempo dello scorso anno una corsa pressoché ininterrotta alla crescita. L’indice generale dei prezzi internazionali delle materie prime ali-mentari della FAO, che a seguito della loro impennata del secondo semestre del 2007, e più ancora dei mesi successivi, era giunto nel giugno 2008 a tocca-re quota 214 (2002-04 = 100) per ptocca-recipitatocca-re rovinosamente in seguito sino a quota 139 del febbraio 2009, ha ricominciato a crescere a partire dalla fine dell’estate scorsa per balzare nel novembre a quota 168. Una quota dunque largamente superiore ai 116 punti della quota media del triennio 2004-06.

Vale la pena di dedicare in questa sede un certo spazio all’esame delle vi-cende di questi prezzi, sia per capirne meglio le ragioni, sia perché da esse e-merge la conferma di una evoluzione circa i principali attori del mercato mon-diale delle materie prime alimentari e circa il modo di essere dei fondamentali dello stesso mercato, che è già in atto da tempo e che nel futuro è destinata a condizionare in misura ancor più rilevante l’economia alimentare del mondo.

Il caso frumento e mais. Nel corso del 2009 i prezzi internazionali del fru-mento e del mais hanno avuto andamenti simili a seguito anche della crescente tendenza all’impiego di frumento nella produzione di prodotti, quali alimenti per uso zootecnico ed etanolo, che nel passato era principalmente prerogativa del mais. Sino allo scorso settembre i prezzi all’esportazione di questi due ce-reali sono stati caratterizzati da una tendenza alla riduzione derivante, specie

per il frumento, dall’andamento favorevole delle produzioni, dal forte aumento degli stock mondiali e da una sensibile riduzione della domanda da parte dei tradizionali importatori. A partire dal successivo mese di ottobre questi prezzi sono invece aumentati a seguito dei ritardi nella raccolta del mais e nelle se-mine del frumento negli Stati Uniti causati dalle eccessive precipitazioni, della minore produzione di frumento in Argentina e della debolezza del dollaro.

Come risultato di questi fatti, nel dicembre 2009 il prezzo medio all’esportazione del mais statunitense No. 2 Yellow Gulf ha toccato i 166 dol-lari la tonnellata, il 4 per cento in più del dicembre dell’anno prima, e i prezzi medi del frumento statunitense, sempre per tonnellata, hanno raggiunto i 221 dollari nel caso del No. 2 Hard Red Winter fob Gulf e i 207 dollari nel caso del No. 2 Soft Red Winter Gulf facendo così registrare, rispetto al dicembre 2008, una flessione di circa l’8 per cento al Red Winter e, all’opposto, un au-mento superiore al 13 per cento al Soft Winter. Nello stesso intervallo di tem-po, il prezzo medio internazionale del frumento argentino Trigo Pan ha be-neficiato di un aumento dell’ordine del 26 per cento che lo ha portato a supe-rare lo scorso dicembre la soglia dei 240 dollari/tonnellata. Va tenuto presen-te, a questo proposito, che il contributo degli Stati Uniti alla produzione mondiale di mais ed a quella del frumento è, nell’ordine, rispettivamente pari al 40 ed al 10 per cento, e che questo paese concorre per oltre la metà alla formazione dell’esportazione mondiale di mais e per più di un quinto a quel-la del frumento.

Il caso riso. Non è stato molto dissimile l’andamento del prezzo interna-zionale del riso. Anche per questo prodotto i primi dieci mesi del 2009 sono stati caratterizzati da una lenta flessione del suo prezzo all’esportazione, nono-stante l’ottimo raccolto della campagna 2008/09. Questo prezzo è stato infatti fortemente sostenuto dai principali paesi produttori mediante una serie di mi-sure tese a limitare le esportazioni di questo cereale ed a proteggere i prezzi al produttore. È stato sufficiente tuttavia che all’inizio del mese di novembre, in un periodo cioè nel quale data la vicinanza del raccolto il prezzo medio inter-nazionale del riso è in genere più a buon mercato, l’India, il secondo maggiore produttore mondiale e tradizionale forte esportatore di riso, si rivolgesse al mercato mondiale per acquistare prodotto a seguito della diminuzione della sua produzione provocata dapprima dalla siccità e in seguito da piogge torren-ziali e da alluvioni, e che contemporaneamente le Filippine, il maggiore im-portatore mondiale di questo alimento, bandissero la gara per un’offerta in più tranches di circa 2 milioni di tonnellate, perché il Thai broken aumentasse del 12 per cento rispetto alla media del mese precedente. E questo non è tutto: nei primi giorni del dicembre successivo l’apposita agenzia del governo di Manila ha ricevuto in risposta al suo bando offerte per la vendita di riso di bassa

quali-tà a circa 630 dollari/tonnellata, pari cioè al doppio rispetto ai 310 dollari del dicembre 2008.

Il caso soia. A differenza dei prezzi dei cereali il prezzo internazionale me-dio mensile della soia, dopo la caduta rovinosa che lo aveva visto precipitare dai 634 dollari/tonnellata del luglio 2008 ai 366 dollari del dicembre successi-vo, ha ripreso a salire a partire dagli inizi del marzo 2009 ad un ritmo sempre più accelerato che lo ha portato a raggiungere nel mese di giugno la media di 504 dollari, tanto da realizzare in poco più di un trimestre un aumento del 33 per cento. A determinare questa crescita hanno concorso principalmente tre fattori. Anzitutto, i timori che in Argentina, il terzo maggiore esportatore mon-diale di soia, la produzione di questo prodotto dovesse cadere in misura supe-riore al 30 per cento a causa della siccità prolungata. In secondo luogo, la forte domanda della Cina, del paese cioè che da tempo concorre da solo a formare la metà circa del totale delle importazioni mondiali. Nei soli primi quattro me-si del 2009, le importazioni di soia di questo paese sono aumentate di oltre il 36 per cento tanto da ammontare a 13,86 milioni di tonnellate. In terzo luogo, la drastica riduzione delle scorte del paese, gli Stati Uniti, che contribuisce con più di un terzo alle esportazioni mondiali di semi di soia. Secondo le previsio-ni di fine maggio 2009 del Dipartimento dell’Agricoltura di Washington, que-ste scorte sarebbero dovute scendere alla fine della campagna 2008/09 al livel-lo di 130 milioni di bushel, il livellivel-lo più basso degli ultimi 40 anni, tanto da ri-dursi ad una quota pari al 4,3 per cento del consumo annuale. Nei mesi succes-sivi dello scorso anno il prezzo all’esportazione medio mensile della soia, pur essendo diminuito rispetto al livello toccato nel mese di giugno, si è mantenuto mediamente intorno ai 450 dollari/tonnellata, un livello quindi superiore di ol-tre un quinto a quello di fine 2008.

Il caso zucchero. È stata invece ininterrotta lungo l’intero 2009 la corsa al rialzo del prezzo internazionale dello zucchero. Come risultato di questo an-damento a Londra, nell’ultimo giorno di contrattazione dell’anno, il Liffe Marzo dello zucchero raffinato ha toccato i 710,20 dollari/tonnellata, uno dei più alti prezzi mai raggiunti in tutti i tempi, segnando così una crescita del 123,4 per cento sulla corrispondente sessione di lavoro del dicembre 2008. Al-la base di questo aumento sono stati certamente Al-la flessione delAl-la produzione mondiale della campagna 2008/09 e della campagna 2009/10 rispetto alle campagne precedenti, una flessione pari rispettivamente a un -7,7 ed un -4,7 per cento, ed il conseguente timore che nel 2010 fosse possibile una sensibile contrazione dell’offerta a seguito della riduzione degli stock mondiali ad un li-vello eccezionalmente basso. Ma è anche vero che, come emerge in modo as-sai netto dai vari commenti sulle variazioni delle quotazioni giornaliere di que-sto prodotto nelle principali borse mondiali, sono state soprattutto determinanti

le vicende riguardanti le produzioni ed i consumi di due paesi: l’India ed il Brasile.

In India, il secondo maggiore produttore mondiale di zucchero e allo stesso tempo il suo maggiore consumatore del mondo, a seguito, sia dell’irregolarità e della scarsità delle precipitazioni durante la stagione dei monsoni, sia della sottrazione di una quota importante della superficie coltivata ad esso riservata per destinarla alla coltivazione di prodotti più rimunerativi quali i cereali e la soia, la produzione di zucchero è precipitata dai 28,8 milioni di tonnellate della campagna 2007/08 ai 15,7 ed ai 17,5 milioni di tonnellate delle due campagne successive: un crollo dunque del 40 per cento. Questo paese, che negli anni precedenti era giunto a competere con la Thailandia e l’Australia per il secon-do posto nella classifica mondiale dei paesi esportatori, è così diventato il più forte importatore di zucchero della campagna in corso.

Non è meno ricco di significato il caso del Brasile, il maggiore produttore ed esportatore mondiale del prodotto in esame. In questo paese la spinta al ri-alzo delle sue quotazioni all’esportazione è stata sostenuta, nonostante il sen-sibile aumento della superficie riservata alla coltivazione di canna da zucche-ro, un aumento del 12 per cento nella sola campagna 2008/09, dall’effetto congiunto di due fenomeni. Da un lato, l’impatto negativo delle forti piogge che sul finire dell’estate hanno danneggiato le rese e ritardato le operazioni del raccolto. Dall’altro lato, il timore che l’aumento del prezzo internazionale del petrolio potesse indurre i produttori brasiliani ad accrescere ulteriormente, a scapito della produzione di zucchero, la quota già oggi di gran lunga superiore, e pari all’incirca ai tre quinti del totale, del raccolto di canna da zucchero de-stinato alla produzione di etanolo.

Il caso latte. Il movimento dei prezzi internazionali dei derivati del latte è stato caratterizzato nel corso dello scorso anno da una discreta analogia con quello dei cereali. Questi prezzi hanno continuato nei primi mesi del 2009 la drastica caduta del secondo semestre 2008 dai picchi raggiunti nei mesi prece-denti, si sono mantenuti pressoché stabili sino alla fine dell’estate, e sono mi-gliorati in seguito per andare incontro ad una decisa impennata negli ultimi due mesi dell’anno. L’indice dei prezzi all’esportazione di questa categoria di prodotti elaborato dalla FAO, che da quota 241 (2002-04 = 100) del giugno 2008 era sceso a quota 114-117 nei mesi di febbraio e aprile 2009, più che di-mezzato dunque, per oscillare poi tra quota 120 e quota 130, è rimbalzato nel mese di novembre a quota 208. Nel solo corso di questo mese i prezzi all’esportazione medi mensili del burro e del latte scremato in polvere sono aumentati di oltre un terzo rispetto alla media del precedente mese di ottobre, tanto da toccare i 3.688 dollari/tonnellata nel caso del burro e i 3.375 dolla-ri/tonnellata nel caso del latte scremato in polvere.

Il mercato internazionale dei prodotti lattiero-caseari è stato fortemente in-fluenzato lo scorso anno dalla recessione che ha colpito tanti paesi poiché il consumo di latte e dei suoi derivati è fortemente influenzato dai cambiamenti nel potere d’acquisto. La contrazione della domanda che ne è derivata, oltre ad avere condizionato i consumi interni, si è tradotta per l’Unione Europea e gli Stati Uniti, che da soli controllano più di un terzo del commercio mondiale di questi prodotti, in una riduzione delle loro esportazioni dell’ordine del 20 per cento. Dato il crollo dei prezzi al produttore che ne è seguito, la produzione di latte ha subito un ristagno nell’Unione Europea, nonostante fossero aumentate le quote latte, e si è leggermente contratta negli Stati Uniti dove, tra l’altro, grazie all’azione di Cooperatives Working Together, sono state ritirate dalla produzione oltre 250.000 vacche da latte. Il rinnovato interesse della domanda internazionale, l’approssimarsi delle festività di fine anno e la politica di riten-zione delle scorte di burro e di latte in polvere attuata dall’Unione Europea hanno favorito la ripresa dei prezzi all’esportazione dell’ultimo trimestre dell’anno. Occorre tenere presente, per meglio capire questo andamento dei prezzi, che la produzione di latte è il frutto di un lungo processo biologico, di modo che è difficile realizzare rapidamente un suo aggiustamento verso il bas-so quando i prezzi scendono e verbas-so l’alto quando i prezzi aumentano.

1.7. Cambia la struttura del mercato internazionale delle