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La sicurezza alimentare, la grande dimenticata

Ciò che è invece difficile comprendere, o meglio ancora giustificare, è co-me sia rapidaco-mente mutato nel corso di pochi co-mesi l’atteggiaco-mento dei gover-ni delle economie sviluppate di fronte al problema della fame e, più in genera-le, a quello della sicurezza alimentare. Un problema, è bene ricordare, che rap-presenta unitamente a quelli dell’energia e del cambiamento climatico, ai quali è tra l’altro strettamente connesso, una delle principali sfide che i singoli paesi e le relazioni internazionali devono affrontare senza ulteriore indugio.

È ancora vivo il ricordo del senso di profonda inquietudine che nella prima metà dell’anno 2008 aveva pervaso tutto il mondo a seguito di una crisi ali-mentare senza precedenti per la straordinaria severità dell’impatto sull’economia e la società di tutti i paesi provocato dalla crescita vertiginosa dei prezzi internazionali delle materie prime alimentari. Nel gennaio 2008 il Forum Economico di Davos aveva inserito l’insicurezza alimentare tra i prin-cipali rischi dell’umanità. In un editoriale del 17 aprile successivo il Financial Times aveva affermato che la sicurezza alimentare è il “più grande problema economico” con cui il mondo si deve confrontare. La preoccupazione per que-sta crisi era giunta al punto da indurre le Nazioni Unite ad organizzare con tut-ta urgenza a Roma nel giugno dello stesso anno una conferenza, alla quale

par-teciparono i capi di stato e di governo di tutti i principali paesi del mondo, de-dicata esclusivamente alla sicurezza alimentare mondiale.

Ebbene, è stato sufficiente il breve volgere di un anno perché tutta questa preoccupazione sia andata rapidamente svanendo e se ne sia perso completa-mente il senso dell’urgenza. Il G8 dell’Aquila, al quale i leader del G8 prece-dente avevano affidato il compito di sviluppare proposte di breve, medio e lungo periodo efficaci e condivise sulla sicurezza alimentare, si è limitato ad alcune indicazioni di massima, già presenti peraltro nelle dichiarazioni finali di altri summit, e a promettere lo stanziamento di 20 miliardi di dollari a favore dello sviluppo dell’agricoltura africana. Ma ancora più grave è la pochezza dei risultati della conferenza sulla sicurezza alimentare organizzata a Roma dalla FAO la metà dello scorso mese di novembre. In questa conferenza, al quale non ha partecipato nessuno dei capi di stato e di governo dei paesi più impor-tanti del mondo ad eccezione dei rappresenimpor-tanti del nostro Paese, ci si è prati-camente ridotti a trattare il problema della lotta alla fame nel mondo senza fis-sare, a differenza dei precedenti summit degli anni 1996 e 2000, obiettivi e da-te di una sua riduzione. E sul piano finanziario si è preso un impegno ancora più scarso di quello assunto dal G8 dell’Aquila. Nella sua dichiarazione finale la conferenza si limita ad assicurare un “sostanziale aumento degli aiuti all’agricoltura ed alla sicurezza alimentare”, mentre la bozza iniziale del do-cumento impegnava a portare questi aiuti al livello del 1980.

Un fatto, quest’ultimo, che la dice lunga sull’effettiva volontà dei governi delle economie sviluppate di adottare le politiche necessarie e di fornire le ri-sorse indispensabili, specie se si tiene conto che, per limitarci agli ultimi anni, dei 50 miliardi di dollari promessi nel 2005 dal G8 di Gleneagles, dei 60 mi-liardi di dollari assicurati nel 2007 dal summit del G8 tenutosi ad Heiligen-damm, e dei 30 miliardi, sempre di dollari, stabiliti dalla Conferenza della FAO di Roma del giugno 2008 ben poco è stato sino ad ora fornito, e che, se-condo recentissime dichiarazioni del direttore generale della FAO, dopo oltre otto mesi dalle conclusioni del G8 dell’Aquila, non un dollaro dei miliardi promessi in quella occasione è stato versato sinora.

La lunga impasse che ha bloccato i negoziati del Doha Round lungo l’intero anno 2009 è una ulteriore evidente testimonianza della scarsa atten-zione che viene prestata al problema della sicurezza alimentare mondiale. La fine la metà dello scorso dicembre, dopo anni di negoziati, della cosiddetta guerra delle banane non ha modificato nella sostanza le diverse posizioni.

Grosso modo, le economie sviluppate accettano di ridurre la protezione accor-data alle loro agricolture a condizione che i paesi in via di sviluppo aprano i loro mercati ai prodotti manifatturieri del Nord. I paesi del Sud, guidati dall’India, chiedono da parte loro di potere adottare forti misure di

salvaguar-dia in caso di minaccia per le loro agricolture.

In concreto, troppi fatti inducono a pensare, specie se si considera l’enormità delle risorse stanziate tra l’ottobre 2008 e la fine del 2009 per con-trastare la crisi della finanza e dell’economia, che i governi dei paesi delle e-conomie sviluppate, e con i governi le loro opinioni pubbliche, giudichino il problema della fame del mondo come una questione a sé stante, di competenza esclusiva dei paesi colpiti e comunque di secondaria importanza nonostante sia in gioco un fondamentale diritto umano, il diritto al cibo. Comunque, questi fatti sembrano dimostrare che gli stessi governi e le stesse opinioni pubbliche tendono ad identificare il problema della sicurezza alimentare con la sfida del-la lotta aldel-la fame neldel-la sua sodel-la dimensione attuale. In altri termini, è netta l’impressione che si stia commettendo l’errore di ignorare il fatto che la sicu-rezza alimentare del mondo esige l’impegno di tutti i paesi, e tra questi in pri-mo luogo le economie industrializzate, ad affrontare una seconda sfida certa-mente legata da rapporti assai stretti alla sfida della lotta alla fame, ma allo stesso tempo caratterizzata da un’ampia serie di problemi altamente specifici e complessi: la sfida di nutrire le generazioni future, ossia la sfida di produrre le quantità di alimenti necessarie per soddisfare la crescente domanda di una po-polazione mondiale ancora in forte crescita, nel pieno rispetto delle tendenze evolutive dell’economia e della tutela dell’ambiente naturale, in modo di evita-re il ripetersi di crisi alimentari analoghe a quelle degli anni scorsi e di garanti-re che nel futuro la produzione alimentagaranti-re sia accessibile a tutti.

La verità è che già oggi è quanto mai necessario affrontare nella sua globa-lità e con tutta urgenza anche questa seconda sfida. Il tempo a disposizione è estremamente limitato. Entro il 2050, secondo le ultime proiezioni demografi-che delle Nazioni Unite la popolazione mondiale è destinata, nonostante la progressiva decelerazione del suo tasso di crescita, a passare dagli attuali 6,8 miliardi ai 9,1 miliardi di persone. Di conseguenza, per poter fare fronte a que-sta crescita impressionante e ai cambiamenti nei modelli di consumo derivanti dallo sviluppo economico, la produzione mondiale di alimenti deve aumentare almeno del 70 per cento nel solo arco di tempo di quattro decenni.

D’altra parte, l’eventuale insuccesso nella sfida di nutrire le generazioni fu-ture avrebbe costi altissimi a tutti i livelli: da quello economico, a quello socia-le ed a quello politico. La posta in gioco può, in vero, essere assai più pesante del pericolo che si ripetano nel futuro crisi alimentari analoghe, per la loro straordinaria severità, a quella che nel 2008 ha sconvolto l’economia e la so-cietà di tutti i paesi del mondo. Basti pensare alla gravità dei fenomeni migra-tori che ne possono derivare. Nel 2050, tra soli quaranta anni, l’Africa sub-sahariana, la regione del globo dove già oggi più del 30 per cento della popo-lazione soffre la fame, raddoppierà il numero dei propri abitanti, conterà cioè

circa 900 milioni di persone in più. Se il problema di un aumento adeguato della produzione di alimenti in questa regione non viene risolto entro quella data, come è possibile pensare di potere contrastare l’emigrazione di nuove, imponenti masse di persone alla ricerca disperata di che sopravvivere?