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Un anno di “vacca pazza”: gestione della crisi o crisi della gestione?

Nel documento Volume Rapporto 2000 (.pdf 3.5mb) (pagine 21-25)

Sono peraltro gli avvenimenti legati alla “vacca pazza” ad avere lo scorso anno fatto dell’agricoltura uno dei temi centrali del dibattito politico a livello internazionale e dell’attenzione degli organi di informazione. A partire dagli inizi del 2000 si è assistito ad un ininterrotto stillicidio di notizie, di fatti e di decisioni o non-decisioni che ha generato un crescendo di incertezza e di co-sti nei settori produttivi interessati e che ha fatto esplodere con un’intensità che non ha precedenti le angosce profonde e diffuse dell’opinione pubblica circa l’industrializzazione della preparazione degli alimenti ed il produttivi-smo agricolo. Una esplosione certamente paradossale se si considera che ormai da decine d’anni il numero delle toxi-infezioni alimentari non cessa di decrescere e che la crescente produttività dell’agricoltura ha reso possibile un costante miglioramento della dieta alimentare.

Possiamo passare rapidamente in rassegna alcuni di questi episodi. Ma una premessa è necessaria: la crisi della vacca folle non è un fenomeno di questi ultimi anni. I primi casi di bovini colpiti da encefalopatia spongiforme bovina (ESB) si osservano in Inghilterra verso la fine del 1985. E’ tuttavia a partire dal 1988 che la frequenza di questi casi aumenta sino a superare nel triennio 1992-1994 il numero di 30.000 l’anno per poi diminuire progressi-vamente. Sul continente i primi casi compaiono nel 1990 in Svizzera, che sa-rà in seguito uno dei paesi più colpiti, nel 1991 in Francia, nel 1992 in Da-nimarca e nel 1993 in Irlanda. Nel 1992 il primo “rapporto Dormont” segna-la segna-la possibilità delsegna-la trasmissione delsegna-la masegna-lattia all’uomo. La crisi delsegna-la vac-ca pazza si allarga così e vac-cambia di natura; a partire dal 1994 e soprattutto dal 1995 essa diviene da semplice problema sanitario del patrimonio zootec-nico inglese una questione di sanità pubblica europea.

Ma torniamo agli episodi dell’anno 2000. Nei primi giorni del mese di gennaio le autorità sanitarie svizzere comunicano che secondo gli ultimi

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sultati del loro programma di individuazione dell’ESB la proteina-prione ch’è all’origine di questa malattia può essere presente in animali apparente-mente sani ed entrare pertanto facilapparente-mente nella catena alimentare. A fine febbraio la Danimarca ritira dagli scaffali dei propri negozi la carne di bovi-no adulto a seguito della scoperta di un caso di vacca pazza. Il 17 marzo successivo il parlamento tedesco vota la sospensione dell’embargo alle im-portazioni di carne bovina britannica. In aprile-maggio diventa operativo il primo programma nazionale francese di individuazione dell’ESB. In giugno la Spagna si oppone, mentre la Germania si astiene, alla proposta avanzata dalla Commissione di Bruxelles di ritirare dalla catena alimentare le parti a rischio come il cervello e il midollo.

Si giunge così al 17 luglio, giorno in cui viene emanato il Regolamento CEE/UE n. 1760 che rende obbligatoria a partire dal 1 gennaio 2002 l’etichettatura delle carni bovine e dei prodotti a base di carni bovine. Diven-ta così operativo, almeno nelle sue linee essenziali, dopo anni di dibattito tra la Commissione di Bruxelles ed il Parlamento di Strasburgo, quanto stabilito dal regolamento 820/97 del 21 aprile 1997 sulla rintracciabilità delle carni bovine che era stato predisposto in risposta alla prima grave crisi della muc-ca pazza degli anni 1996-1997.

A fine settembre il comitato scientifico della Commissione Europea si pronuncia contro la macellazione sistematica dei capi degli allevamenti nei quali sia stato diagnosticato un caso di ESB.

Si giunge così al 26 ottobre scorso, una data importante per capire le ra-gioni della diffusione della malattia della vacca pazza. Quel giorno Lord Ni-cholas Phillips di Worth Matravers, uno dei più eminenti giuristi del Regno Unito che nel 1997 era stato chiamato alla guida di una commissione incari-cata di far luce sulla responsabilità dei poteri pubblici nella diffusione dell’ESB, consegna al governo inglese il proprio rapporto. Le conclusioni di questo documento sono di una gravità particolare. Secondo il rapporto l’analisi della gestione della crisi della vacca pazza ha evidenziato una serie di errori e di disfunzioni di natura amministrativa e politica riconducibili in larga misura all’incompetenza e/o alla condiscendenza di ministri e di alti funzionari in carica negli anni ottanta e novanta. Il grande pubblico è stato tenuto pressoché sistematicamente all’oscuro o poco informato sui pericoli legati al consumo di carne bovina proveniente da animali affetti da ESB.

Molti responsabili della pubblica amministrazione ritenevano minimo il ri-schio di questa malattia e sono stati così indotti a sottostimare le preoccupa-zioni espresse da più parti del mondo scientifico ed a privilegiare gli interes-si delle categorie produttrici, anche per non compromettere le esportazioni di carne e di animali vivi. Tra il 1988 ed il 1996 l’Inghilterra ha infatti

esporta-to circa 3,2 milioni di capi di bestiame vivi in 36 paesi di tutti i continenti.

Ma a fornire una non meno importante chiave di lettura dell’ultima crisi della vacca pazza è quanto è accaduto nello scorcio dell’anno. A metà del mese di novembre la Francia decide di proibire l’uso delle farine di carne nell’alimentazione animale. Subito dopo il Parlamento Europeo propone sul-la scia delsul-la decisione francese una moratoria sul divieto di utilizzazione di queste farine. Il martedì 21 dello stesso mese al termine di una maratona di diciassette ore i ministri dell’agricoltura riuniti a Bruxelles non se la sentono tuttavia, a seguito dell’opposizione di Svezia, Finlandia e Austria, di seguire l’esempio francese e di accogliere la proposta avanzata a Strasburgo. Essi però decidono di estendere i test per la identificazione della ESB a tutti i bo-vini a “rischio” senza peraltro precisare i termini della nozione di rischio.

Ma tre giorni dopo, il venerdì 24 nello Schleswig-Holstein viene scoperto il primo caso tedesco di bovino colpito da ESB. La Germania ritorna allora subito sulle sue decisioni e il 2 dicembre decreta l’interdizione totale dell’impiego di farine di carne nella produzione zootecnica, di un prodotto cioè il cui uso nell’alimentazione dei bovini era già stato vietato una prima volta nel 1994, mentre era rimasto autorizzato nel caso dei suini e del polla-me. Due giorni dopo, il 4 dicembre, l’Unione Europea vieta in tutta Europa per almeno sei mesi l’uso di farine animali.

Per il ministro tedesco della sanità, la signora Andrea Fisher, questo de-creto non è tuttavia sufficiente. Il 6 dicembre essa compie un ulteriore passo in avanti in questa direzione con l’emanazione di un decreto che proibisce la vendita di carne di tutti i bovini di età superiore ai trenta mesi che non siano stati sottoposti preventivamente a controllo. Tre giorni prima di Natale le salsicce e gli altri prodotti suscettibili di contenere carne di bovini colpiti da ESB vengono ritirati dalla vendita. E il 4 gennaio di quest’anno lo stesso ministro propone di estendere sino ai bovini di ventiquattro mesi d’età i test per l’individuazione della malattia della vacca pazza già obbligatori per i bovini di trenta mesi ed oltre.

Questo procedere nella gestione della crisi della vacca pazza da parte dei Quindici in ordine sparso ed a pezzetti e bocconi, al traino in pratica di even-ti esterni, ha avuto un effetto altamente negaeven-tivo su un’opinione pubblica già profondamente disorientata dai numerosi dubbi scientifici riguardanti l’ESB e dai numerosi casi di cattiva o mancata applicazione delle norme sanitarie e di frode evidenziati l’anno prima dalla crisi del pollo alla diossina. Una simi-le incoerenza, spesso sostenuta ed esasperata dai vari mezzi di informazione, ha paradossalmente condotto ad una situazione per cui ogni dichiarazione ufficiale, ogni misura di precauzione adottata sono servite ad aumentare in-vece che ridurre la diffidenza delle persone che si volevano rassicurare. E’

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andata così crescendo la preoccupazione dei consumatori sulla qualità degli alimenti commercializzati specie per quanto concerne i rischi per la salute.

Come risultato, a partire dal mese di ottobre si è andata sviluppando una modificazione della domanda che ha condotto ad un crollo del mercato delle carni bovine. Secondo la Commissione Europea il consumo complessivo di carne bovina nei quindici paesi dell’Unione è diminuito del 27% tra l’ottobre ed il dicembre scorsi con punte di circa il 40% in Francia e del 50%

in Grecia. In parallelo il prezzo medio europeo di questo prodotto è diminui-to di oltre un quardiminui-to. Al contrario, la crisi di quesdiminui-to mercadiminui-to ha avudiminui-to risvolti positivi per gli allevatori di polli e di suini. Questi ultimi hanno potuto bene-ficiare di un generalizzato aumento della domanda e, specie nel caso dei sui-ni, di un sensibile aumento dei prezzi.

Ma assai più importante è il fatto che la crisi della vacca pazza sembra destinata a condizionare in misura particolarmente rilevante l’evoluzione della politica agricola dell’Unione Europea prevista da agenda 2000.

Essa ha portato sul banco degli accusati il processo di intensificazione della produzione agricola degli ultimi decenni. L’agricoltura intensiva è ac-cusata di obbedire alla sola regola della produttività, di porre a rischio con le sue pratiche la salute umana e animale, di promuovere metodi di allevamen-to che sono eticamente indifendibili.

L’accusa non viene in questo caso dai soliti movimenti ambientalisti. Ad attaccare direttamente questa agricoltura è lo stesso cancelliere tedesco Ger-hard Schröder. Nei primi giorni dello scorso gennaio Schröder ha infatti au-spicato la fine delle “fabbriche agricole” e un sostanziale cambiamento di rotta della politica agricola comunitaria a favore dell’agricoltura ecologica.

Anzi, il rifiuto di Karl-Heinz Funke, il suo ministro dell’agricoltura di firma-re un documento con questo deciso orientamento, ha offerto al cancelliefirma-re tedesco il destro per richiedere ed ottenere le dimissioni di Funke e del mini-stro della sanità signora Fisher, che sono così le prime due vittime politiche dell’ESB in Europa, e per dar vita ad una sorta di superministero, il ministe-ro dell’agricoltura e della pministe-rotezione del consumatore, a capo del quale ha posto Renate Künast, co-opresidente del partito dei Verdi, con il compito di sovraintendere ad una fondamentale riforma dell’agricoltura.

E la signora Künast non ha tardato a chiarire i suoi orientamenti per una revisione della politica agricola comunitaria. In un suo intervento dei primi giorni di febbraio davanti al Bundestag a Berlino essa ha affermato: “Io tire-rò ogni leva per garantire la disponibilità dei mezzi necessari per dare priori-tà all’agricoltura ecologica, ai metodi di allevamento naturale e alla prote-zione del lavoro nelle comunità agricole”, ed ha poi proseguito dicendo che

“riguardo ai sussidi agricoli deve essere aumentato lo spazio di manovra a

livello nazionale”. In altri termini, essa ha ribadito l’obiettivo tanto caro ai verdi tedeschi della rinazionalizzazione della politica agricola.

Nel documento Volume Rapporto 2000 (.pdf 3.5mb) (pagine 21-25)