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Le aperture di credito in conto corrente non connesse all’utilizzo di una carta

La disciplina del credito al consumo in Italia

2.6. Le aperture di credito in conto corrente non connesse all’utilizzo di una carta

Un particolare regime di tutela del consumatore è dettato dall’art. 126 del TUB nel caso di contratto di apertura di credito in conto corrente non connessa all’uso di una carta di credito. Per tale tipo contrattuale sono infatti previsti degli obblighi informativi ridotti rispetto alla disciplina generale sul credito al consumo.

La direttiva 87/102/CEE all'art. 2, 1° comma, lettera e), aveva infatti previsto la facoltà di escludere tale fattispecie dall'àmbito applicativo della direttiva e di sottoporla solo ad una serie di norme specificamente indivi- duate. A ben vedere l’intenzione del legislatore comunitario era stata quella di tracciare una distinzione all'interno di un unico tipo contrattuale a seconda dell'utilizzo o meno dell'erogazione finanziaria attraverso una carta di credito. La scelta risultava giustificata, da un lato, per il fatto che i finanziamenti cui accedono i cosiddetti “contratti di carta” costituiscono l'archetipo più comune e naturale della fattispecie “credito al consumo” e che perciò andavano ricompresi nella disciplina; dall'altro, si era ritenuto che il contratto di apertura di credito in conto corrente rappresentasse un forma di finanziamento che, frequente per lo più nel settore imprenditoria- le, presentava pochi elementi di contatto con gli scopi e gli schemi del credito al consumo 257. Inoltre, per sua stessa natura, il contratto di apertu-

ra di credito non consente di predeterminare in via anticipata l’importo dei versamenti e dei prelievi, la durata dell’esposizione debitoria e, in genera- le, del rapporto contrattuale rendendo difficile l’individuazione di elementi, quale il tasso effettivo annuo globale, contemplati per le altre

257 Cfr. L.DESIDERIO, Banche e società finanziarie nei rapporti di credito al consumo,

in La disciplina comunitaria del credito al consumo (a cura di F. CAPRIGLIONE), Quaderni di

ricerca giuridica della Banca d’Italia, XV, Roma, 1987, p. 107; M. CARDILLO, L’uso delle “carte

di credito” nelle operazioni di credito al consumo, in La disciplina comunitaria del credito al

consumo (a cura di F. CAPRIGLIONE), cit., p. 61; G. GALLO, Commento all’art. 126, in La

disciplina comunitaria del credito al consumo (a cura di F. CAPRIGLIONE), Quaderni di ricerca

ipotesi di contratti di credito 258. Questa sua collocazione ai confini del

fenomeno del credito al consumo ha avuto come conseguenza che la disci- plina delle aperture di credito in conto corrente senza carta venisse innanzitutto esclusa, ai sensi dell'art. 2 della direttiva, dall'àmbito generale d'applicazione generale del credito al consumo. Ad essa veniva tuttavia dedicato un apposito articolo, l’art. 6, che richiamava e rendeva comunque applicabili a tale fattispecie alcune prescrizioni, cercando quindi di con- temperare le opposte esigenze di non gravare l’operazione degli intermediari con eccessivi oneri e di garantire comunque un sufficiente livello di protezione del consumatore.

Tutto ciò premesso, sembra opportuno segnalare come la l. n. 142/92, legge di prima attuazione della direttiva comunitaria in attesa dell'adozione una disciplina nazionale sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari, avesse inizialmente posto diversi problemi interpretati- vi. L'art. 21, 5° e 6° comma, aveva infatti dimenticato di separare in modo chiaro il rapporto contrattuale di apertura di credito in conto corrente non connesso all’utilizzo di una carta di credito rispetto alla generale disciplina del credito al consumo 259. L’omissione presente nella primigenia attuazio-

ne della disciplina comunitaria aveva dunque posto difficili problemi

258 G.NAPOLETANO, Il regime speciale delle aperture di credito in conto corrente, in La

nuova legge bancaria (a cura di P.FERRO-LUZZI e G.CASTALDI), Milano, 1996, p. 1886

259 Le richiamate disposizioni di cui all’art. 21 della l. n. 142/92 erano così concepite:

«In via transitoria e fino all’adozione di una disciplina nazionale sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari di contenuto almeno equivalente a quello stabilito dal presente comma e dal 6° e 7° comma, agli effetti della protezione del consumatore, i contratti con cui un ente creditizio o una società finanziaria concedono a un consumatore un’apertura di credito in conto corrente non connessa all’uso di una carta di credito devono almeno contenere, a pena di nullità, le seguenti indicazioni:

- il massimale e l’eventuale scadenza del credito;

- il tasso d’interesse annuo e il dettaglio analitico degli oneri applicabili al momento della

conclusione del contratto, nonché le condizioni che possono determinarne la modifica durante l’esecuzione del contratto stesso. Oltre ad essi, nulla è dovuto dal consumatore;

- le modalità di recesso dal contratto. Sono nulli e si considerano non apposti i rinvii agli

usi».

Il comma 6° proseguiva stabilendo che «il tasso d’interesse annuo e gli oneri previsti

nei contratti di cui al 5° comma possono essere variati in senso sfavorevole al consumatore purché ne sia data al medesimo comunicazione scritta presso l’ultimo domicilio notificato, con un anticipo di almeno cinque giorni lavorativi rispetto alla data di applicazione delle variazioni. In caso contrario queste sono inefficaci».

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interpretativi, sia di coordinamento con la disciplina della trasparenza sia perché non risultava chiara la natura alternativa o additiva delle prescri- zioni in esame rispetto a quelle generali del credito al consumo 260.

Sul punto è successivamente intervenuto, risolvendo la questione, il Testo Unico Bancario che ha appositamente disciplinato il credito in conto corrente senza carta all’art. 126. Attraverso tale norma si è svincolato il regime speciale per le aperture di credito in conto corrente dalla normativa sulla trasparenza bancaria e si è provveduto a riconoscere, per lo meno in via interpretativa, l’autonomia di tale fattispecie, in quanto norma a carat- tere speciale, rispetto alla disciplina generale del credito al consumo.

La delimitazione della sfera d’operatività oggettiva della norma è in- dividuata dal legislatore nel contratto di apertura di credito. La fattispecie è ulteriormente limitata con riferimento al fatto che si tratti di aperture sorte nell’abito di un rapporto di conto corrente e che esse non siano con- nesse all’uso di una carta di credito. La nozione appare dunque prima facie più restrittiva di quella formulata in sede comunitaria che faceva riferi- mento agli “anticipi in conto corrente” 261. Non sembra tuttavia che ciò

260 V. A. TIDU, Il recepimento della normativa comunitaria sul credito al consumo, in

Banca, borsa e titoli di credito, 1992, I, p. 407, L.DESIDERIO, Banche e società finanziarie nei

rapporti di credito al consumo, in La disciplina comunitaria del credito al consumo (a cura di

F.CAPRIGLIONE), cit., p. 99.

261 La dizione “anticipi in conto corrente” presente nella direttiva 87/102/CEE deve

ritenersi equivalente a quella, conosciuta nel nostro ordinamento, di “aperture di credito in conto corrente”. Peraltro la Corte di giustizia ha chiarito che la disposizione in esame non si applica alle altre forme di aperture di credito per le quali restano applicabile le norme generali e più dettagliate in materia di credito al consumo. La Corte, infatti, ha ribadito che «ai sensi

dell’art. 1, n. 1, della direttiva 87/102, la direttiva medesima si applica ai contratti di credito, i quali sono definiti al n. 2, lett. c), primo comma, dello stesso articolo, come contratti in base ai quali “il creditore concede o promette di concedere al consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra analoga facilitazione finanziaria”. Tale definizione ampia del concetto di “contratto di credito” trova conferma, come dedotto dalla Commissione all’udienza, nel decimo ‘considerando’ della direttiva 87/102, ai termini del quale “si può ottenere una migliore protezione del consumatore prescrivendo determinate condizioni da applicare a tutte le forme di credito”. Tuttavia, come risulta dall’art. 1, n. 2, lett. c), secondo comma, e dall’art. 2 della direttiva 87/102 nonché dai suoi ‘considerando’ dall’undicesimo al quattordicesimo, alcuni contratti di credito o tipi di transazioni sono o possono essere, in ragione della loro natura specifica, del tutto o in parte esclusi dalla sfera di applicazione della direttiva stessa. Tra le ipotesi previste da tali disposizioni non ricorre l’apertura di credito. Un’apertura di credito il cui unico scopo consista nel mettere a disposizione del consumatore un credito utilizzabile in momenti differenti non è nemmeno esclusa, quantomeno parzialmente, dalla sfera di applicazione della direttiva 87/102 in forza

possa sollevare dubbi d’inadempimento agli obblighi comunitari di rece- pimento visto che dall’interpretazione sistematica della direttiva stessa deve ricavarsi un’interpretazione restrittiva del concetto 262. Appare quindi

ragionevole sostenere che l’art. 126 resti circoscritto alle ipotesi regolate dagli artt. 1842 e ss. cod.civ. 263. Nell’ordinamento italiano l’apertura di

credito in conto corrente è infatti quel «contratto col quale la banca si

obbliga a tenere a disposizione dell'altra parte una somma di danaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato». L’art. 1843 precisa

dell’art. 2, n. 1, lett. e), della direttiva medesima. Occorre infatti ricordare che, ai termini di tale disposizione, la direttiva 87/102 non si applica “al credito concesso da un istituto di credito o da un istituto finanziario sotto forma di apertura di credito in conto corrente, diversi dai conti coperti da una carta di credito”. Tuttavia, ai sensi del detto art. 2, n. 1, lett. e), le disposizioni previste dall’art. 6 della direttiva 87/102 si applicano a siffatti crediti. Orbene, la nozione di “conto corrente” ai sensi del detto art. 2, n. 1, lett. e), che, costituendo un’eccezione, va interpretato in senso stretto, presuppone, come risulta dall’espressione “credito concesso sotto forma di apertura di credito in conto corrente”, che l’obiettivo di tale conto non si limiti a mettere a disposizione del cliente un credito. Un siffatto conto costituisce, al contrario, una piattaforma più o meno generale che consente al cliente di effettuare operazioni finanziarie, caratterizzata dal fatto che gli importi versati su tale conto, dal cliente stesso o da un terzo, non sono necessariamente finalizzati a rinnovare un credito concesso sul conto stesso. In altre parole, un saldo negativo per il cliente, autorizzato nella forma di un’apertura di credito, non è che uno dei possibili stati in cui può trovarsi quel conto, che può presentare anche un saldo positivo per il cliente». Cfr. CGCE, sentenza del 4

ottobre 2007 (Causa C-429/05) in GU C 36 dell'11 novembre 2006.

262 G. GALLO, Commento all’art. 126, in La disciplina comunitaria del credito al

consumo (a cura di F. CAPRIGLIONE), Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, XV,

Roma, 1987, p. 965.

263 Prima del noto mutamento interpretativo della Corte di Cassazione in materia di

anatocismo bancario, ci si era chiesti (cfr. V.FARINA, La determinazione giudiziale del credito

"bancario" in conto corrente, in Banca borsa e tit. cred., 1999, p. 369 e ss.) se,

argomentando ex art. 126 TUB, si potesse scovare una preclusione imperativamente posta al rinvio agli usi normativi. L’Autore infatti ritiene che «né nella l. n. 154/1992 (c.d. legge sulla

trasparenza bancaria) né nel successivo testo unico (d.lgs. n. 385/93) è dato rinvenire una preclusione imperativamente stabilita che possa in qualche modo attingere il (preteso) uso normativo dell'anatocismo, diversamente da quanto era avvenuto con la nota proposta di legge Minervini che escludeva l'ammissibilità di qualsivoglia uso contrario rispetto a quanto disposto dall'art. 1283 c.c. Se è vero che l'art. 117, comma 6°, TUB ha previsto la nullità delle clausole contrattuali di rinvio agli usi, questa sanzione non limita in alcun modo l'uso della deroga concessa dall’art. 1283 c.c. in tema di anatocismo. Così anche l’art. 126 TUB, che, nell'assoggettare a regime di specialità le aperture di credito in conto corrente non connesse con l'uso della carta di credito […] prevede l'obbligatoria indicazione del tasso di interesse annuo (che è cosa diversa dal TAEG), ma ciò non esclude che lo stesso possa essere trimestralmente capitalizzato sui conti debitori, purché dell'applicazione di tale onere se ne faccia specifica indicazione al momento della conclusione del contratto. Evenienza che puntualmente si verifica con la sottoscrizione delle condizioni generali di contratto da parte del cliente-consumatore. Così stando le cose, non riteniamo che possa giungersi ad un'interpretazione sostanzialmente abrogante dell'inciso di cui all'art. 1283 c.c.».

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ulteriormente che, salvo patto contrario, «l'accreditato può utilizzare in

più volte il credito, secondo le forme di uso, e può con successivi versa- menti ripristinare la sua disponibilità». La natura rotativa del credito, per

quanto ci riguarda, sembra tuttavia essenziale, posto che una diversa mo- dalità ricondurrebbe la fattispecie al caso del credito semplice e quindi all’intera disciplina del credito al consumo

Si è già detto che l’art. 126 del TUB si differenzia nel livello di tutela offerta rispetto alle altre operazioni di credito al consumo, offrendo un regime di protezione diverso e minore 264. In particolare, è previsto che nei

contratti di cui sopra debbano essere indicati solamente: (a) il massimale e l’eventuale scadenza del credito; (b) il tasso d’interesse annuo ed il detta- glio analitico degli oneri applicabili, nonché le condizioni per l’esercizio del

jus variandi da parte della banca; si precisa anche che nulla può essere

richiesto al consumatore oltre a quanto previsto nel contratto; (c) le moda- lità di recesso dal contratto. Gli elementi di contenuto obbligatorio sono dunque diversi per quantità e natura rispetto a quelli indicati dall’art. 124 TUB: del resto lo schema qui predisposto dal testo unico risulta essere semplificato, tant’è che vi è un numero inferiore di informazioni da fornire, ma anche riadattato alla peculiarità dell’operazione e delle sue modalità operative attraverso l’indicazione di ulteriori elementi.

È opportuno sottolineare che le predette prescrizioni devono sempre essere inserite nel contratto a pena di nullità 265. L’autorevole dottrina 266

che si è pronunciata sul tema ritiene inoltre che anche in questo caso si debba parlare di nullità relativa in quanto l’art. 127 TUB, che pone tale

264 P. GAGGERO, Commento all’art. 126, in AA.VV. Commentario breve al codice civile,

cit., p. 1917.

265 L’inserimento degli elementi indicati riguarda evidentemente il contenuto

dell’accordo e non afferisce alla forma del contratto sulla quale l’art. 126 tace. Tuttavia, a parte il rilievo empirico che la prassi si avvale costantemente della redazione per iscritto, si ritiene che l’obbligo della forma sussistita in virtù dell’applicazione alla fattispecie in esame della normativa sulla trasparenza ex art. 115, ultimo comma. Così G.GALLO, Commento all’art. 126,

in La disciplina comunitaria del credito al consumo (a cura di F. CAPRIGLIONE), Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, XV, Roma, 1987, p. 966.

266 Così CARRIERO, Autonomia privata e disciplina del mercato. Il credito al consumo,

sanzione, generalizza la sua applicazione a tutte le disposizioni incluse nel titolo VI del testo unico. La stessa dottrina 267 ritiene che la nullità debba

intendersi anche in senso necessariamente parziale nel caso in cui, data l’applicazione a tali contratti delle norme sulla trasparenza bancaria, quest’ultima consenta l’intervento di meccanismi d’integrazione automati- ca delle clausole contrattuali 268.

I maggiori dubbi riguardano tuttavia la possibile estensione alla fat- tispecie in esame delle norme generali previste nel capo della trasparenza bancaria, e in particolare quelle dettate dagli artt. 118 e 117, 5° comma. Si ritiene che la specialità dell’art. 126 debba essere intesa come limitata al contenuto minimo del contratto, prevalendo per tale aspetto sugli artt. 117, 4° comma, e 124. Dovrebbero quindi trovare applicazione le limitazioni all’esercizio del jus variandi da parte del creditore già previsti per tutti i contratti bancari e di credito al consumo 269.

267 Così CARRIERO, Autonomia privata e disciplina del mercato. Il credito al consumo,

Torino, 2002, p. 129, P. GAGGERO, Commento all’art. 126, in AA. VV., Commentario breve al

codice civile, cit., 1918; G. GALLO, Commento all’art. 126, in La disciplina comunitaria del

credito al consumo (a cura di F. CAPRIGLIONE), Quaderni di ricerca giuridica della Banca

d’Italia, XV, Roma, 1987, p. 966.

268 Non prevedendo un meccanismo automatico di integrazione del contratto, né di

sostituzione di clausole negoziali invalide, e anche in ciò differenziandosi da quanto previsto per le operazioni ed i servizi bancari finanziari in genere (cfr. art. 117, 7o co.) e per i contratti di

credito al consumo (cfr. art. 124, ult. co.), parte della dottrina ha escluso che simili meccanismi possano trovare applicazione anche ai contratti di apertura di credito sottoposti a regime speciale (così A. FRISULLO, Commento all’art. 126, in Commentario al T.U. delle leggi in

materia bancaria e creditizia (a cura di F.CAPRIGLIONE), Padova, 1994, p. 632 che attribuisce

rilievo alla mancanza di richiamo espresso dei meccanismi di automatica integrazione e sostituzione delle clausole contrattuali, D’AMBROSIO,Commento all’art. 127, in Commentario

al T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia (a cura di F.CAPRIGLIONE), Padova, 1994, p.

634). Tuttavia, la norma di cui all’art. 126 non reca una disciplina compiuta del contratto di apertura di credito in conto corrente, non connessa all’uso di una carta di credito; essa disciplina solo il contenuto minimo del contratto, rispetto al quale l’automatica integrazione e sostituzione delle clausole contrattuali rappresentano profili del tutto distinti,

Pertanto, in caso di mancanza o nullità di clausole sul tasso di interesse o altri oneri dovuti dal consumatore, si applicherebbero: quanto al tasso, quello nominale minimo e quello massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali o altri titoli similari, eventualmente indicati dal Ministro del Tesoro, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive; quanto agli altri oneri, i prezzi e le condizioni pubblicizzati nel corso della durata del rapporto per le corrispondenti operazioni, e in mancanza di pubblicità, nulla sarebbe dovuto. In questi termini P. GAGGERO, Commento

all’art. 126, in AA. VV., Commentario breve al codice civile, cit.

269 Sul punto v. V.CARFI, Commento all’art. 127 del TUB, in Codice del Consumo e

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Capitolo III

La nuova direttiva 08/48/CE sui