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Il profilo economico-sociale: la domanda

Dal punto di vista economico, il legame fra “credito” e “consumi” ha sem- pre consentito di osservare la vicenda del credito al consumo in chiave unitaria, conferendole una particolare rilevanza nell’àmbito degli studi relativi al sistema finanziario 37. Purtroppo la stessa unitarietà non è stata

ugualmente compresa dal mondo giuridico, che non ne ha saputo cogliere le peculiarità e non è quindi stato in grado di offrire prontamente un’adeguata tutela al consumatore.

Per offrire un valido argomento alla tesi secondo cui le operazioni di credito al consumo debbano essere interpretate in chiave unitaria, appare utile offrire una ricostruzione che tenga conto anche della descrizione e dell’analisi economico-sociale del fenomeno. A tale proposito, occorre prendere in considerazione sia le problematiche economiche e finanziarie che sottendono all’organizzazione e all’operatività dell’offerta del credito, e quindi anche allo sviluppo del mercato del credito al consumo, sia le que- stioni attinenti al lato della domanda del credito e alla sua crescita.

Infatti, se dal lato dell’offerta le banche hanno ampliato i propri ser- vizi, da parte loro i consumatori hanno visto nel tempo crescere il reddito disponibile e, specularmente, ridursi la propensione al risparmio, che in Italia storicamente si attestava a livelli molto alti. Il mutamento delle abi- tudini sociali ha modificato l’idea del ricorso al credito come extrema ratio per affrontare una situazione di necessità. Il finanziamento è ora percepito come un’opportunità in più da sfruttare non solo per le classi meno agiate ma anche, e soprattutto, per la c.d. middle class. D’altra parte, vi è un trend costante nella crescita i consumi che non sembra ricevere modifica- zioni nel corso del tempo. Il credito al consumo, di conseguenza, non potrà che crescere seguendo questo trend 38.

37 Così, F. MACARIO,Profili generali, in Diritto privato europeo (a cura di N. Lipari),

Padova, 1997, p. 827.

38 Così G.ALPA, Il diritto dei consumatori, Bari, 2006, p. 111 e ss.; peraltro, alla luce

della recente crisi finanziaria e economica tale assunto sembra doversi considerare vero solo nel medio-lungo periodo: negli ultimi tempi infatti si è registrata una contrazione della domanda di beni e servizi così come quella di credito.

Certo, l’odierna crisi finanziaria e le tendenze inflattive che si sono registrate, con l’introduzione dell’Euro prima e con l’aumento dei prezzi di beni primari dopo, hanno modificato profondamente lo scenario economi- co rispetto al recente passato 39. Ma non tutto è cambiato, ovviamente, e

certe tendenze rimangono immutate 40.

Di fronte a situazioni di difficoltà, i consumatori italiani hanno repe- rito risorse aggiuntive proprio grazie al credito al consumo, le cui consistenze sono passate dai circa 48 miliardi di euro del 2002 a oltre 85,6 miliardi di euro del 2006, con un incremento percentuale del 78%. Per integrare, sia pure a debito, le risorse familiari sono stati largamente privi- legiati soprattutto i nuovi strumenti finanziari, in primis le carte plastificate (nel 2006 si è registrato un aumento dell’11% per le carte re-

volving e del 36% per le prepagate, con un incremento del 75% rispetto al

2005 per quanto attiene alle operazioni eseguite).

Anche il più tradizionale acquisto a rate resta adoperato da almeno il 35% delle famiglie e consente, a quasi la metà di esse, l’accesso a prodotti che altrimenti resterebbero fuori dalla loro portata.

A tal proposito, nonostante la crisi dei mutui subprime a metà del 2007 abbia riportato l’attenzione sulla questione dell’indebitamento delle

39 Basti leggere il rapporto annuale sulla situazione sociale del paese predisposto dal

CENSIS nel 2002 che ritrae gli italiani come «… conformisti, ammaliati dalle marche famose

e dai prodotti tecnologici, legati all’effimero, in molti ricercano prodotti di lusso, contemporanei status symbol di un mondo diffusamente medio-borghese. Questi sono i consumatori italiani oggi, anche se per molti l’acquisto dei prodotti migliori e alla moda è solo un miraggio, un desiderio talvolta difficile da soddisfare a causa di limitate possibilità di spesa. /Non siamo certo all’iperconsumismo all’americana ma spendere, per un numero crescente di persone è gratificante, infonde sicurezza ed è quasi una forma di comunicazione. Secondo ciò che emerge da un’indagine effettuata dal Censis e da Findomestic Banca nel 2002, il 40% della popolazione adulta concepisce gli acquisti come un modo per concedersi piccoli e grandi lussi quando ne vale la pena. Per il 12% dei consumatori fare acquisti è un modo per scaricare le tensioni quotidiane, così come il 4% è fortemente attratto dai nuovi prodotti tecnologici per uso domestico. Se si esclude la contrazione dell’1,5% registrata nel 2001, tra il 1997 e il 2000 la spesa delle famiglie per i beni durevoli è cresciuta mediamente del 7% all’anno …».

40 Il rapporto CENSIS del 2007 evidenzia infatti, accanto alla presenza di budget risicati

un «boom di prodotti e modalità di acquisto innovative … Gli italiani negli ultimi anni hanno

visto i redditi reali familiari crescere in misura ridotta (+0,5% tasso annuo di crescita nel periodo 2000-2004) e, per il futuro, non si aspettano consistenti aumenti visto che per il reddito disponibile le variazioni percentuali annuali attese per il prossimo biennio sono di poco superiori all’1%».

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famiglie, è interessante notare che le famiglie insolventi sono solo l’1,7% e le famiglie che hanno dichiarato difficoltà nel far fronte alle rate sono il 6,3% (l’8% al Sud-Isole).

In ogni caso, gli italiani non hanno rinunciato a beni innovativi, co- me le apparecchiature e i servizi per la telefonia, la cui spesa è cresciuta di quasi il 50% in termini reali nel periodo compreso tra il 2001 e il 2006. Inoltre, nei primi mesi del 2007, mentre i consumi sono stati spesi oltre 91 milioni di euro per acquistare brani musicali, giochi e videoclip diretta- mente sul cellulare. Sempre tra il 2001 e il 2006, si è registrato un aumento del 38% in termini reali nelle vendite di articoli audiovisivi, foto- grafici, di computer e videogiochi.

A queste tendenza fa da contraltare l’affermarsi del consumo c.d.

low-cost per altre tipologie di beni. Al boom di prodotti e modalità di ac-

quisto innovative si contrappongono infatti budget risicati, consumi in lieve crescita, rialzo delle spese per la casa: è questa l’essenza della revisio- ne strategica dei budget familiari che fa convivere tutela del tenore di vita e accesso a nuovi beni, auto-percezione della propria vulnerabilità socioeco- nomica e persistente caccia a beni e servizi di qualità.

Tali evidenze mettono in risalto l’inadeguatezza del pensiero eco- nomico classico nel spiegare le attuali dinamiche economiche. Seguendo l’impostazione tradizionale, l’analisi della domanda è rimasta a lungo confinata in posizione secondaria, mentre l’attenzione è stata focalizzata sul lato dell’offerta e sulle modalità di determinazione del valore. Secondo tale idea, infatti, le condizioni di domanda non concorrono alla determina- zione dei prezzi naturali i quali risultano funzionalmente indipendenti dal sistema delle quantità prodotte. L’ipotesi implicita in questo approccio è che esista una quota consistente di domanda, che solo la mancanza di merci impedisce di soddisfare. In questo contesto, la crescita dell’offerta non farebbe altro che rispondere a una domanda già esistente e già strut- turata, presumibilmente anche nelle preferenze. Resterebbe tuttavia da spiegare quale influsso ha avuto l’aumento del reddito sulla struttura

delle preferenze e come interagivano queste con la disponibilità di nuovi prodotti.

Questo orientamento ha spiegazioni sia di tipo storico che politico, dovute al fatto che i consumatori, come raggruppamento sociale, e il consumo, come categoria di analisi specifica, hanno cominciato ad assu- mere una posizione di rilievo nella ricerca socioeconomica solo nei primi decenni del Novecento, in concomitanza con lo sviluppo della produzione di massa negli Stati Uniti e con la collegata espansione dei consumi 41.

Naturalmente il consumo, come attività, è sempre esistito poiché rappresenta il naturale complemento della produzione di beni. Già nell’antichità una componente significativa dei consumi non derivava dall’autoproduzione, ma dagli scambi. Rispetto al passato, la moderna espansione dei consumi è stata resa possibile grazie alla crescita del reddi- to disponibile per le famiglie, a sua volta collegato all’aumento della produttività nelle attività lavorative, ma anche a causa di continue evolu- zioni dei comportamenti e dei valori sociali che hanno modificato il ruolo del consumo. Fino a quando, per gran parte della popolazione, i consumi erano ancorati alla pura sopravvivenza e la scarsità di reddito disponibile rendeva di fatto impossibili scelte discrezionali, l’analisi dell’attività di consumo ha conservato una rilevanza piuttosto bassa all’interno della teoria economica. E così, nonostante i consumi siano aumentati assieme alla produzione, la rivoluzione industriale viene generalmente studiata come evoluzione dell’offerta, mentre viene tralasciata l’analisi del lato della domanda.

Tuttavia, viene rilevato oggi che proprio l’enorme crescita della pro- duzione legata alla rivoluzione industriale ha posto le premesse per l’aumento d’importanza dei consumi. Una corrente minoritaria di storici ha da tempo messo l’accento sull’importanza delle trasformazioni dei con- sumi come presupposto, o quantomeno come concausa, della rivoluzione

41 M.GAMBARO, Consumo e difesa dei consumatori. Un’analisi economica, Roma-Bari,

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industriale 42. Nel 1977, Braudel 43 è stato il primo a cogliere il contributo

essenziale che i comportamenti di consumo hanno avuto nello spiegare lo straordinario sviluppo economico dei Paesi occidentali negli ultimi secoli. Infatti, i consumi non solo forniscono gli incentivi affinché siano prodotte nuove merci, ma instaurano nuove modalità di relazioni sociali e un nuovo orizzonte culturale che favorisce la mobilità, l’attitudine al cambiamento, la trasformazione delle categorie culturali. Rivelandosi così tanto essenziali per lo sviluppo economico quanto lo sono altri fattori.

Per esempio, i problemi relativi alla formazione delle preferenze e alla selezione dei prodotti da acquistare, precedentemente erano risolti col semplice ricorso alla tradizione. Gli imprenditori inglesi del settecento, invece, mettono a punto nuove idee nella presentazione dei prodotti nelle vetrine, nella distribuzione e nelle prime forme di pubblicità. Alcuni di loro sfruttano esplicitamente quello che solo più tardi 44 sarà studiato come

effetto bandwagon 45.

Molti dei recenti lavori di origine storica e sociologica sui consumi hanno sostenuto che l’atto di consumo abbia un profondo significato so- cioculturale e che i prodotti abbiano una valenza rilevante in quanto segni e simboli. La gamma di significati che il consumo può avere, coincide es- senzialmente con il posizionamento di status 46. Come anche la letteratura

economica insegna, il prezzo di un prodotto non è solamente un indicatore

42 Secondo MCCRAKEN, The history of consumption: a literature review and consumer

guide, in Journal of Consumer Policy, n.10, 1987, «i cambiamenti nella produzione e queste trasformazioni rappresentano una rivoluzione nei consumi simile alla rivoluzione industriale».

43 F.BRAUDEL, La struttura del quotidiano, Torino, 1977.

44 In merito v. T.VEBLEN, Teoria della classe agiata, Torino, 1949.

45 L’effetto bandwagon illustra la crescita della domanda dovuta al fatto che un

consumatore vede gli altri consumare un prodotto e si vuole uniformare ad essi. Al contrario l’effetto snob riguarda la diminuzione della domanda dovuto al fatto che un consumatore vede gli altri consumare e si vuole distinguere.

46 Secondo G. ALPA, Status e capacità–la costruzione giuridica delle differenze

individuali, Roma-Bari, 1993, p. 206, «configurare uno status del consumatore implica una valutazione del rapporto di consumo in ragione della condizione personale dei soggetti-parti. Tale considerazione si fonda a sua volta su una contrapposizione di natura soggettiva alla base della relazione che influenza una norma di comportamento sociale sancita dall’ordinamento giuridico. L’esigenza di tutelare gli attori più deboli della scena economica deve peraltro coincidere con l’interesse del soggetto ad integrarsi in un gruppo».

economico, bensì rappresenta di per sé un simbolo denso di significati culturali. All’aumentare della mobilità sociale verticale, negli strati più bassi della popolazione cresce l’influenza dei canoni di rispettabilità delle classi superiori, col risultato che le classi meno abbienti accolgono, nei limiti del vincolo di bilancio, lo schema di vita e i consumi dello strato immediatamente superiore. In realtà, come mostrano ricerche successive, la natura del comportamento imitativo è piuttosto complessa, in quanto ognuno si serve di una varietà di gruppi di rifiorimento (modelli) positivi, negativi, comparativi e normativi, quando intraprende un’azione. I con- sumatori emulano comportamenti di gruppi di riferimento con modalità complesse e articolate.

Tuttavia, il risultato più evidente è il formarsi di uno zoccolo di beni conseguente alla volontà di accedere al godimento di beni con contenuti di qualità ed esclusività sempre più elevati, da parte di nuove fasce sociali. Di conseguenza, si è venuto a delineare un panorama parallelo di scale di reddito/scale di possesso di beni di consumo: salendo i gradini successivi, ad ogni posizione corrisponde il possesso di un paniere di beni considerati irrinunciabili. Si passa dunque da un paniere comune per tutti i livelli di reddito, che include beni a diffusione generalizzata (quali, la radio, il tele- visione, il frigorifero), a panieri via via più ampi in relazione al reddito percepito.

Ciò, naturalmente, senza escludere la presenza delle dovute eccezio- ni, sia in positivo che in negativo. Al di là della soglia di sopravvivenza, infatti, il grado di discrezionalità nella scelta dei beni posseduti va assu- mendo un valore sempre maggiore. L’importanza attribuita dalle persone all’accesso al godimento del bene conosce valori differenti a seconda del tempo che si è vissuto secondo determinati standard di vita.

In ogni modo, emergono con chiarezza alcuni dati da cui è possibile trarre utili considerazioni. Le fasce di reddito superiore e medio-superiore dimostrano di aderire a scale di valori più tradizionali e consolidate, rispet- tando quei consumi rispondenti a bisogni primari (spese alimentari o per la cultura) e riducendo più facilmente quelli post-primari (spettacoli,

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sport, vacanze); ciò è vero anche per i redditi medi, che però tendono più facilmente a ridurre l’acquisto di libri e giornali e meno facilmente le spese personali; per i redditi inferiori, invece, accade tutto l’opposto poiché essi tendono a considerare irrinunciabili quei consumi che per ultimi sono stati raggiunti. Il che non vuol dire che per le famiglie con reddito inferiore il cibo sia meno importante del cinema, ma che si è stabilito un diverso rap- porto tra beni che garantiscono il solo benessere personale e consumi con più alta potenzialità di relazione e d’immagine.

In sostanza, esiste una generale esigenza di accettazione sociale che sempre più avviene attraverso la correlazione della persona ai suoi consu- mi. Parafrasando, si potrebbe sostenere che viviamo in una società in cui si esiste nella misura e nel modo in cui si consuma. Lo status symbol ha poi assunto forme meno intuitive e appariscenti: anziché essere connesso all’immediato godimento del bene, si manifesta in modo indiretto comuni- cando l’appartenenza ad un determinato contesto sociale attraverso un messaggio “cifrato”. La sua ostentazione ha assunto quindi una valenza fondamentale nei rapporti interpersonali passando «da private joke per

pochi eletti ad abitudine collettiva, imponendo anche al mercato nuove regole» 47.