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La disciplina del credito al consumo in Italia

2.2. Fattispecie negoziale e àmbito d’applicazione: la nozione di credito al consumo

2.2.3. Le fattispecie escluse

L’art. 121, 4° comma, del TUB indica, attraverso un lungo elenco, tutta una serie di fattispecie in cui la disciplina non trova applicazione 78.

Vengono innanzitutto esclusi, secondo un criterio quantitativo, i contratti d’importo inferiore o superiore ai valori indicati dal CICR con delibera pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 79. Si è ritenuto infatti che al di

sotto di una determinata misura fosse eccessivo irrigidire la pratica com- merciale: data l’esiguità del danno potenziale non verrebbero giustificati i costi causati dai meccanismi di tutela previsti 80. Per gli importi superiori

alla soglia massima, invece, si considera probabilmente superato il comune concetto di finanziamento per l’acquisto di un bene o di un servizio di

78 Anche la direttiva si preoccupa all’art. 2 di precisare alcune fattispecie che, nella

scelta di una tutela “minima” del consumatore, sarebbero dovute (o potute, ex art. 15 della direttiva stessa), restare escluse. Fin dall'inizio la Commissione aveva auspicato l'applicazione della direttiva ad ogni forma di credito al consumo; eccezioni dovevano certamente essere previste, ma la Commissione era decisa a limitarle al massimo (per questo motivo la Commissione, già nella relazione del 1995 sull'applicazione della direttiva, ne aveva proposto la modifica in modo da adattarla alle tecniche finanziarie prevalentemente utilizzate. Cfr. Relazione sull'applicazione della direttiva 87/102/CEE, COM (95)117 def., p. 3, n. 15). La direttiva venne proposta infatti alla fine degli anni Settanta, in un'epoca in cui cominciavano appena a svilupparsi formule di credito diverse da quella del contratto di credito rateale, ed è stata recepita alla fine degli anni Ottanta, quando il credito/prestito personale era diventata la formula prevalente. Nonostante ciò, durante il percorso d’approvazione del testo definitivo questa impostazione non fu appoggiata dal Consiglio che nel considerare gli interessi particolari degli Stati aderenti ha dovuto ricercare soluzioni di compromesso. È così che all'art. 2 fu previsto un lungo elenco di fattispecie che gli Stati membri potevano escludere dall’àmbito di applicazione della direttiva (in dettaglio v. L. FABII, Ambito di applicazione della direttiva sul credito al consumo, cit., p. 43). Di tale facoltà tuttavia non

tutti gli Stati membri hanno fatto un uso sistematico e ciò ha portato ad un'ampia applicazione della clausola minima (cfr. la relazione sull'applicazione della direttiva 87/102, COM (95)117 def., p. 110, n. 384 e seguenti, nonché la sintesi delle reazioni e dei commenti, COM (97)465 def., p. 21, n. 87).

79 Non essendo ancora intervenuta alcuna delibera, gli importi devono ritenersi quelli

stabiliti inizialmente dalla L. n. 142/92, ossia lire 300 mila e lire 60 milioni. Naturalmente gli importi risulteranno ora convertiti in euro (€ 154,93 e € 30.987,41).

80 Al fine di evitare pratiche elusive fondate sul frazionamento del contratto in più parti

di importo inferiore al minimo, l’art. 144, 4° comma, prevede una sanzione amministrativa consistente in una pena pecuniaria fino a 100 milioni di lire. L’opportunità di tale disposizione oltre ad essere stata segnalata da attenta dottrina (F. MACARIO, Commento all’art. 121, in

Nuove leggi civ. comm., 1994, p. 786), era contenuta sotto forma d’invito agli Stati membri

nella stessa direttiva comunitaria all’art. 14. Preme sottolineare che forse alla soluzione adottata poteva accostarsi un rimedio di natura civilistica. Nelle proposte di legge per il recepimento della direttiva figuravano infatti norme tese a considerare come un unico contratto l’insieme dei contratti stipulati tra le stesse parti in arco temporale delimitato e aventi lo stesso oggetto e causa.

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consumo che la normativa ha ad oggetto. Oltretutto, si è portati a pensare che l’alto importo della transazione dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – costituire di per sé un avvertimento per il consumatore.Piuttosto l’esenzione per i finanziamenti di importo modesto potrebbe favorire pra- tiche elusive della disciplina del credito al consumo mediante la disgregazione di un’unica operazione di finanziamento in una pluralità di contratti di credito. La dottrina ha tuttavia correttamente rilevato che anche solo in via interpretativa è consentito valutare unitariamente una pluralità di contratti di importo inferiore al limite legale intercorsi li tra le medesime persone e in un arco temporale ristretto 81.

Anche i contratti di somministrazione previsti agli artt. 1559 e ss. cod.civ., che per loro natura comportano una diluizione dei pagamenti nel tempo, sono stati esclusi dall’applicazione della legge purché stipulati in forma scritta, con contestuale consegna di una copia al consumatore. Non mancano qui alcune incongruenze 82 segnalate dalla dottrina e connesse

sia all’arbitrarietà della riconduzione dell’ampia formula della direttiva comunitaria solo alla somministrazione di beni e non anche a quella di servizi 83 sia alla sottrazione dalla copertura della disciplina in esame di

eventuali contratti di somministrazione che si avvalgano di operazioni di finanziamento al consumo 84. Appare oltretutto stravagante condizionare

ai vincoli, anche formali, della legislazione sul credito al consumo proprio il contratto che, non avendo forma scritta, sia stato concluso in violazione di tali obblighi 85.

81 Così G.OPPO, Presentazione, in La disciplina comunitaria del credito al consumo (a

cura di F. CAPRIGLIONE), Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, XV, luglio 1987, p. 16.

82 Così G. CARRIERO, Autonomia privata e disciplina del mercato. Il credito al

consumo, Torino, 2002, p. 68.

83 Secondo F. MACARIO, Commento all’art. 121, in Nuove leggi civ. comm., 1994, p. 786

e G. DE NOVA, Disposizioni varie, in La nuova legge bancaria (a cura di P.FERRO-LUZZI e G. CASTALDI), Milano, 1996, p. 1861, stante il tenore dell’art. 1559 cod.civ., verrebbe escluso ogni riferimento alla fornitura di servizi. Secondo De Nova si potrebbe però far leva sull’art. 1667 cod.civ., in base al quale le norme relative alla somministrazione si applicano, se compatibili, anche all’appalto che ha per oggetto la prestazione continuativa o periodica di servizi.

84 F. MACARIO, Commento all’art. 121, in Nuove leggi civ. comm., 1994, p. 787.

85 Così infatti dispone il comma 4°. v. P. GAGGERO, Diritto comunitario e disposizioni

Altra fattispecie esclusa è data dai contratti di locazione, che nell’accezione intesa dal legislatore comunitario è solo quella comune perché il leasing, al contrario, dovrebbe risultare assoggettato alla disci- plina di protezione. L’intento è stato raggiunto dal testo italiano attraverso la previsione di una condizione negativa. Per esprimere un concetto che era abbastanza chiaro nel suo significato originario si è detto infatti che sono esclusi dalla disciplina del credito al consumo i contratti di locazione

«a condizione che in essi sia prevista l’espressa clausola che in nessun momento la proprietà della cosa locata possa trasferirsi, con o senza corrispettivo, al locatario». D’ora in poi dunque, ogni contratto di loca-

zione concluso da un professionista con un consumatore che non contenga tale clausola dovrebbe per assurdo ricadere nella disciplina del credito al consumo.

Le successive esenzioni riguardano i casi di finanziamenti «rimbor-

sabili in un’unica soluzione entro diciotto mesi, con il solo eventuale addebito di oneri non calcolati nella forma d’interesse» e quelli «privi di corrispettivo di interessi o di altri oneri, fatta eccezione per le spese vive e documentate». La giustificazione risiede qui nella mancanza di un rischio

aggiuntivo per il consumatore, essendo il prestito gratuito o rimborsabile in un’unica rata maggiorata dei soli oneri che il professionista dimosti di dover sostenere 86.

Chiudono la lista le ipotesi relative a finanziamenti destinati all’acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su beni immobili o alla loro ristrutturazione.

Peraltro è giusto ricordare che il legislatore italiano non si è avvalso della facoltà, prevista ai commi 2° e 3° dell’art. 1 della direttiva, di esentare anche i contratti che siano stati stipulati in forma di atto pubblico e i con-

rileva però Carriero che l’alta standardizzazione di tale contratto d’impresa, che potrebbe inoltre comportare l’applicazione degli artt. 1341 e 1568 cod.civ., difficilmente porterà al verificarsi di questi casi.

86 Non mancano peraltro scostamenti dalla direttiva CEE nella parte in cui questa

distingueva tre situazioni diverse, i finanziamenti gratuiti, quelli rimborsabili in una sola soluzione senza interessi e altri in base alle modalità di restituzione.

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tratti in cui sia prevista la corresponsione di interessi ad un tasso oggettivo globale inferiore a quelli prevalenti sul mercato o non offerti al pubblico in genere.