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La nullità delle clausole di rinvio agli us

La disciplina del credito al consumo in Italia

2.3. Gli obblighi informat

2.3.6. La nullità delle clausole di rinvio agli us

Gli ultimi due commi dell’art. 124 del TUB contengono tipiche norme di tutela del consumatore che incidono sull’autonomia negoziale dell’impresa. Essi infatti proteggono il consumatore di fronte ai possibili arbitri del finanziatore e prevengono il rischio che il contenuto delle obbli- gazioni nascenti dal vincolo contrattuale possa essere determinato in maniera difforme da quella statuita in via imperativa 154.

Al 4° comma si stabilisc che «nessuna somma può essere richiesta o

addebitata al consumatore se non sulla base di espresse previsioni con- trattuali». Si tratta in buona sostanza di non vanificare ex post quei

risultati ottenuti grazie agli obblighi informativi e di trasparenza imposti nella fase pubblicitaria e precontrattuale, rendendo tassative ed espresse in contratto tutte le ipotesi in cui una somma può essere a qualsiasi titolo addebitata al cliente. Si aggiunge subito dopo che «le clausole di rinvio

agli usi per la determinazione delle condizioni economiche applicate sono nulle e si considerano non apposte».

La prima parte della norma, se letta in modo riduttivo, non sembre- rebbe introdurre nulla di particolarmente innovativo. Al di la della suo carattere solenne, per alcuni commentatori si rivelerebbe quindi mera- mente tautologica nel ribadire concetti e princìpi già presenti e

153 In questi termini v. P.M.PUTTI, L’invalidità del contratto, in Diritto privato europeo

(a cura di N.LIPARI), Padova, 1997, p. 691.

154 G. CARRIERO, Autonomia privata e disciplina del mercato. Il credito al consumo,

comunemente accettati nel diritto comune dei contratti. Per attribuirgli un qualche significato utile, allora, essa può essere interpretata nel senso di prevenire che possano venire richieste al cliente somme o prestazioni non espressamente contemplate dalle clausole contrattuali, secondo la prassi bancaria di rinviare per relationem alcune determinazioni del contenuto negoziale. L’obbligo di chiarezza impone quindi che il consumatore non sia chiamato a svolgere nessuno sforzo ulteriore rispetto a quello di conoscere le condizioni stabilite nel contratto redatto in forma scritta, da lui sotto- scritto e consegnatogli in un esemplare. La norma va inoltre letta nel senso di porre sull’istituto di credito l’onere di predeterminare in contratto qual- siasi costo o spesa che il consumatore vedrebbe addebitarsi qualora esercitasse quei diritti che la legge gli garantisce.

Diverso il discorso relativo al divieto di rinvio agli usi, che diviene una specificazione (espressamente inderogabile) delle più generali prescri- zioni codicistiche.

È noto che, in àmbito bancario, tali prescrizioni sono state a lungo eluse da una prassi giudicata legittima dall’orientamento maggioritario della giurisprudenza 155. Le banche, infatti, hanno fatto ricorso a clausole

di rinvio alle condizioni praticate usualmente su piazza per la determina- zione del tasso d’interesse ultralegale. Il problema di determinabilità dell’oggetto veniva quindi trasferito alle caratteristiche di “oggettività” e di “certezza” di tali clausole, e cioè all’idoneità del riferito procedimento a fornire i parametri oggettivi richiesti dall’art. 1284 cod.civ. La dottrina aveva da tempo evidenziato perplessità circa la legittimità di tale indirizzo sul piano della tutela del cliente, proprio per il fatto che l’integrazione contrattuale attraverso gli usi accentuava in modo insostenibile lo squili- brio fra le parti a causa dell’imprevedibilità e dell’incontrollabilità di tali

155 Cfr. Cass. 30 maggio 1989, n. 2644, con nota di G. CARRIERO, In tema di

determinazione del tasso dell’interesse ultralegale attraverso il rinvio alle condizioni praticate usualmente dalle banche sulla piazza, in Mondo Banc., 1989, p. 53. V. inoltre Cass,

3 dicembre 1988, n. 6554; Cass. 12 dicembre 1987, n. 8325; Cass. 14 febbraio 1984, n. 1112; Cass. 9 aprile 1983, n. 2521.

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mutamenti 156. Fino a pochi anno or sono, tuttavia, la Suprema Corte si

limitava a ritenere sufficiente la preventiva determinazione del meccani- smo di definizione dell’interesse, senza peraltro valutare l’idoneità in concreto di poter conoscere l’andamento dei tassi 157.

Quanto all’anatocismo l’art. 1283 cod.civ. prevede che, in assenza di usi contrari, gli interessi scaduti producano a loro volta interessi, solo dal giorno della domanda giudiziale oppure a causa di convenzione successiva alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi. È noto a riguardo che per lungo tempo la consuetudine consolidata del settore bancario prevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interes- si debitori, in conformità ai regolamenti ABI Tuttavia, dopo decenni di tacito assenso nonché di esplicito riconoscimento della legittimità di tale prassi da parte della giurisprudenza, la Suprema Corte di Cassazione, con le sentenze 2374/99 e 3096/99, ha mutato il proprio indirizzo interpreta- tivo affermando che la suddetta prassi non è riconducibile ad un "uso normativo" (ai quali rinvia l’art. 1283 cod.civ.), bensì ad un mero "uso negoziale" ed escludendo conseguentemente la legittimità dell’anatocismo. Il 4° comma dell’art. 124 del TUB, ancor prima che la giurispruden- za mutasse il proprio orientamento interpretativo, aveva quindi sancito la nullità delle clausole di rinvio agli usi e dell’addebito di qualsiasi spesa o onere che non fosse stata espressamente prevista in contratto. La norma ha quindi avuto il pregevole merito di contribuire all’affermarsi di un mo- vimento di pensiero più aperto alla trasparenza, alla chiarezza, alla tutela del soggetto debole del rapporto contrattuale. Ugualmente va sottolineato che il suo oggetto è limitato a “somme” richieste o addebitate al consuma- tore e alle clausole “per la determinazione delle condizioni economiche”: non prende quindi in considerazione altro che le condizioni economiche

156 P. RESCIGNO, Trasparenza bancaria e diritto comune dei contratti, in Banca, borsa,

tit. cred., 1990, I, p. 303; A. DOLMETTA, Per l’equilibrio della trasparenza nelle operazioni

bancarie: chiose critiche alla legge n. 152/92, in Banca, borsa, tit. cred., 1992, I, p. 391;A.

NIGRO, Interessi ultralegali e condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla

piazza, in Dir. banca merc. finanz., 1988, I, p. 528.

157 G. CARRIERO, Autonomia privata e disciplina del mercato. Il credito al consumo,

applicate. Disposizioni di natura secondaria, emanate dal CICR e dalla Banca d’Italia – sulla quali v. infra – stabiliscono poi che siano contrat- tualmente indicate anche le caratteristiche e i rischi tipici dell'operazione o del servizio. Inoltre è richiesto che venga richiamata l’attenzione dei clienti su clausole non strettamente economiche contenute nel contratto che regolano l’operazione o il servizio.

Da ultimo, il 5° comma, prevede meccanismi d’integrazione del con- tratto, per il caso di nullità parziale o di assenza delle clausole essenziali, così da non mettere in crisi il funzionamento del contratto. La nullità par- ziale infatti, ove non fossero previsti meccanismi sostitutivi operanti di diritto, potrebbe facilmente consentire, ai sensi dell’art. 1419 cod.civ., l’estensione della nullità all’intero contratto. Tale sanzione, che ovviamen- te si colloca sul piano dell’invalidità del negozio e che conduce ad effetti radicali di perdita di efficacia dello stesso, potrebbe non rispondere infatti agli interessi delle parti e non tutelare adeguatamente il consumatore, interessato alla prosecuzione del rapporto contrattuale. Il regime di nullità parziale che, in deroga all’art. 1419 cod.civ., esclude ex ante la possibile estensione della nullità all’intero contratto, e la contemporanea sostituzio- ne ex lege delle clausole coinvolge tuttavia soltanto le ipotesi di mancata indicazione degli elementi a contenuto economico.

In assenza di tali clausole, l’art. 124 del TUB stabilisce che: (i) il TAEG vada rapportato al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro del tesoro, emessi nell’ultimo anno precedente la conclusione del contratto; (ii) la scadenza vada fissata a trenta mesi; (iii) a favore del finanziatore non venga riconosciuta alcuna garanzia o assicurazione.

La sostituzione dettata dall’art. 124 del TUB sembra tuttavia non rappresentare una tipica ipotesi di sostituzione automatica di clausole ex art 1339 cod.civ. posto che tale istituto non opera solo per colmare una

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lacuna del regolamento negoziale, ma soprattutto in chiave sostitutiva e necessaria 158

Per i rimanenti casi di nullità, o in assenza di altri elementi prescritti dall’articolo in esame, la sostituzione andrebbe condotta con riferimento alle condizioni pubblicizzate precedentemente alla conclusione del contrat- to, estendendo l’applicazione dell’art. 117, 6° comma, del TUB anche al credito al consumo 159. Al contrario, rifiutando tale soluzione, e rifiutando

l’estensione della norma appena richiamata, non si farebbe altro che ab- bandonare l’interprete in una situazione di impasse, con conseguente estensione all’intero contratto della nullità della singola clausola. Preso atto, tuttavia, che questa ipotesi comporterebbe nullità relativa, la decisio- ne sulla prosecuzione del rapporto contrattuale spetterebbe solo al consumatore e non a tutti e due i contraenti come previsto dalla norma sulla nullità parziale.

Da quanto sopra emerge quindi che nei contrati di credito al consu- mo non è consentita l’operatività degli usi, intesi nell’accezione di “usi normativi” di cui all’art. 1374 cod.civ., che sono inidonei a derogare alle norme di legge in ragione della loro posizione nella scala gerarchica delle fonti normative. Ma discorso analogo vale anche per gli “usi negoziali”, che consistono in prassi diffuse in una zona geografica rispetto a una determi- nata pratica commerciale pur in assenza dei requisiti posti dall’art. 8 disp. prel. cod.civ. e che, secondo alcuni autori 160, sono potenzialmente idonei a

derogare a norme di carattere dispositivo. Ad essi in particolare fa riferi- mento l’art. 1340 cod.civ. laddove prevede che le clausole d’uso si

158 E proprio per tale ragione la norma di cui all’art. 1339 cod.civ. è attualmente

interpretata quale espressione della pluralità delle fonti di regolamentazione del contratto (cfr. S. Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969) piuttosto che come obbligo di comportamento imposto ai privati. L’art. 124 del TUB rappresenta invero proprio tale ipotesi, imponendo ai privati – o meglio alla parte che agisce in via professionale – di specificare in contratto determinati elementi, pena l’integrazione di diritto di alcune clausole.

159 Così G. DE NOVA,Disposizioni varie, in La nuova legge bancaria (a cura di P.

FERRO-LUZZI e G.CASTALDI), Milano, 1996, p. 1877 contra G. CARRIERO, Autonomia privata e

disciplina del mercato. Il credito al consumo, Torino, 2002, p. 105.

presumono inserite nel regolamento contrattuale a meno di una contraria scelta delle parti.

Gli usi normativi, dunque riconosciuti come consuetudini consolida- te aventi valore di fonte del diritto, si distinguono dai c.d. usi negoziali, prassi contrattuali reiterate, utilizzate per il perfezionamento e l’interpretazione dei contratti. Proprio in ragione della loro valenza subor- dinata, nell’àmbito delle fonti, alla legge ed ai regolamenti, gli usi «hanno

efficacia solo in quanto siano richiamati dalle stesse norme primarie»

(c.d. usi secundum legem), mentre nelle materie non disciplinate da alcu- na normativa gli usi, se accertati e raccolti dai soggetti autorizzati (ad es. le Camere di Commercio), hanno valore di fonte autonoma e si rivelano assai preziosi proprio per colmare le lacune legislative (c.d. usi praeter legem). Non hanno invece alcuna validità gli usi contrastanti con le fonti del diritto primarie (c.d. usi contra legem), come peraltro conferma l’art. 15 disp. prel. cod.civ., laddove dispone che la legge possa essere soppressa o supe- rata solo da un’altra legge successiva, e non da una fonte giuridica inferiore, né tantomeno possa scomparire per desuetudine.

Giova tuttavia rilevare che le Camere di commercio pur in presenza di tali norme continuano a raccogliere gli usi in materia di credito al con- sumo 161. Che ruolo che possono avere oggi tali raccolte? Innanzitutto

161 Fra i compiti istituzionali delle Camere di Commercio il lavoro di raccolta,

accertamento e revisione di usi e consuetudini in essere nei singoli settori economico- commerciali assume un ruolo fondamentale. Tale funzione camerale rientra tra le competenze in materia di regolazione del mercato previste dall'art. 2 della l. 580/93 ed è un’attività la cui attribuzione fu sancita per la prima volta dalla l. n. 121/1910, confermata successivamente dal R.D. n. 2011/1934 e poi dal decreto 16 maggio 2000 del Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato.

A titolo esemplificativo si v. il sito internet www.usilombardia.it. Gli usi raccolti dalla Camera di Commercio di Lodi prevedono che:

«Art. 1 – Definizione - Per credito al consumo, secondo la definizione di legge, si intende la concessione, nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di altra analoga facilitazione finanziaria a favore di una persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (consumatore).

Nell’ambito del credito al consumo, hanno assunto grande rilevanza due forme contrattuali, comunemente denominate “prestito finalizzato” e “credito rotativo” o “revolving”, che consentono al consumatore di ottenere il finanziamento per l’acquisto di determinati beni o servizi direttamente presso il venditore, a cui il finanziatore, sulla base di un accordo generale comunemente chiamato “convenzione”, eroga direttamente l’importo finanziato.

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possono avere una funzione di integrazione e di stimolo per il legislatore nazionale posto che essi fotografano le concrete modalità operative del settore e per prime tengono in riferimento le innovazioni introdotte dall’innovazione tecnologica, promuovendone così anche la raccolta di nuove figure giuridiche di origine estera. La raccolta, intesa in senso passi- vo, si converte poi in un’attività di controllo attivo sui profili di vessatorietà che i contratti possono avere nella prassi. Accanto alla tradizionale funzio- ne regolatrice del mercato della raccolta usi, le Camere di Commercio tendono così a sviluppare anche i nuovi compiti assegnati loro dalla rifor- ma del 1993 che consente di promuovere procedure di controllo della vessatorietà delle clausole contrattuali.

Di seguito sono quindi indicati gli usi negoziali relativi ai due richiamati contratti (prestito finalizzato e credito rotativo) tra finanziatore ed acquirente del bene o del servizio finanziato ed alla convenzione tra finanziatore e venditore dei beni o servizi medesimi.

A) Prestito Finalizzato

Art. 1 - Definizione - Si suole denominare prestito finalizzato una forma di finanziamento volta all’acquisto di determinati beni/servizi da parte di persone fisiche mediante erogazione della somma direttamente al venditore dei beni/servizi stessi.

Art. 2 - Modalità di stipulazione del contratto.

Il contratto di finanziamento si suole stipulare mediante lo scambio di corrispondenza. Art. 3 - Rimborso del finanziamento - Il Cliente rimborsa l’importo convenuto (somma finanziata ed interessi al tasso contrattuale = montante) alle scadenze e con le modalità contrattualmente previste senza obbligo da parte del Finanziatore di inviare avvisi di scadenza per la riscossione delle singole rate.

Art. 4 - Divieto di versamenti al venditore - L’acquirente effettua il pagamento delle rate direttamente a favore del Finanziatore e non a mani del venditore.

Art. 5 - Richiesta di garanzie - L’Acquirente rilascia, ove pattuito, le garanzie a tutela di tutte le somme contrattualmente dovute.

Art. 6 - Ritardato versamento - In caso di ritardato pagamento di una o più rate di rimborso, il cliente riconosce al Finanziatore un equo indennizzo per il ritardo del rimborso comprensivo delle spese sostenute dal Finanziatore per l’eventuale esazione.

Art. 7 - Decadenza dal beneficio del termine - Il Finanziatore ha facoltà di dichiarare il cliente decaduto dal beneficio del termine nell’ipotesi di mancato pagamento alle scadenze stabilite e di chiedere il pagamento in un'unica soluzione di tutte le somme contrattualmente dovute.

Art. 8 - Responsabilità sussidiaria del finanziatore - Qualora il fornitore di beni e servizi sia inadempiente, il cliente ha diritto di agire in via sussidiaria contro il finanziatore nei limiti del credito concesso, a condizione che vi sia un accordo che attribuisce al finanziatore un’esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore. […]».