La disciplina del credito al consumo in Italia
2.5. Le vicende del rapporto contrattuale
2.5.4. La responsabilità sussidiaria del finanziatore
L’inadempimento del fornitore e la persistente obbligazione del consuma- tori ad effettuare i versamenti in favore del finanziatore costituiscono uno dei temi più cari alla dottrina che ha spinto per l’attuazione di una disci- plina di tutela della parte debole nei contratti di credito al consumo. Rispetto all’ipotesi della vendita con dilezione di pagamento, il credito erogato da un soggetto diverso dal venditore del bene o del servizio implica infatti la conclusione di un diverso e separato contratto, le cui sorti restano indifferenti rispetto alle vicende della compravendita. La sussunzione della fattispecie alle categorie normative tradizionali non ha infatti consentito di
240 Così G. DE CRISTOFARO, Il Consenso del consumatore alla cessione del contratto, in
Rivista di diritto civile, 1998, II, p. 578.
241 Cfr. S.T. MASUCCI, Commento all’art. 125, d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, in Nuove
collegare i due negozi che invece appaiono intimamente connessi sotto il profilo dell’operazione economica conclusa.
Ciò risulta oltremodo ingiusto se si considera che nella prassi tra fornitore e finanziatore vi sia un accordo di collaborazione commerciale in base al quale il fornitore si avvale di un soggetto terzo a cui affidare quei clienti che desiderano ottenere un sostegno finanziario in occasione dell’acquisto di un bene o servizio presso il fornitore stesso. Tant’è che l’accordo che lega i due soggetti professionali ha in passato costituito la base per desumere il nesso funzionale di collegamento fra i due negozi 242.
Per ovviare a tale problema, che ha condotto a soluzioni profonda- mente inique a danno della parte debole del rapporto contrattuale, è stata introdotto nel nostro ordinamento, così recependo la corrispondente di- sposizione della direttiva 87/102/CEE 243, un regime di responsabilità
sussidiaria del finanziatore.
242 V. G.FERRANDO, Credito al consumo: operazione economica unitaria e pluralità di
contratti, in Riv. dir. comm., 1991, p. 591 e ss. Sulla sussistenza di un collegamento tra il
negozio di vendita e quello di finanziamento va tenuto conte, più in generale, che il tratto caratteristico della fattispecie consiste nel fatto che le vicende di un contratto interferiscono in quelle dell’altro, ancorché le parti siano diverse. Con sentenza del 17 dicembre 2004, n. 23470, la Cassazione ha infatti espresso il seguente principio: «affinché possa configurarsi un
collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la considerazione unitaria della fattispecie, è necessario che ricorra sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell'ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l'effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale». Il riferimento ai reciproci interessi nell'ambito
di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario sembra peraltro sussistere anche nel caso del contratto di credito finalizzato. Né la diversa composizione soggettiva sembra essere ancora un ostacolo all’affermazione del collegamento, posto che in un’altra sentenza (cfr. Cass. del 30 ottobre 1991 n. 11638), sempre la Cassazione ha precisato che «il collegamento fra negozi è configurabile anche quando siano stipulati tra soggetti
diversi, purché essi risultino concepiti e voluti come funzionalmente connessi ed interdipendenti, al fine di un più completo ed equilibrato regolamento degli interessi».
Si v. inoltre M. FRANZONI, Il contratto e i terzi, in I contratti in generale (a cura di E. Gabrielli), Torino, 2006, p. 1242.
243 La disposizione attua l’art. 11 della direttiva 87/102/CEE che, abbandonata l’ipotesi
di configurare un vincolo di responsabilità solidale fra venditore e finanziatore nel caso d’inadempimento del primo, prevede una mera responsabilità sussidiaria dei due professioni- sti. Al primo comma dell’art. 11 della direttiva si dice infatti che «gli Stati membri provvedono
affinché l'esistenza di un contratto di credito non pregiudichi in alcun modo i diritti del consumatore nei confronti del fornitore di beni o di servizi acquisiti in base a tale contratto
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qualora i beni o servizi non siano forniti o non siano comunque conformi al contratto di fornitura». La fattispecie prende dunque in considerazione i casi in cui si sia verificato un
inadempimento del fornitore (cfr. artt. 1218, 1176 e 1181 cod.civ.) per consentire al consumato- re di agire anche nei confronti del finanziatore, che da un punto di vista formale è parte estranea al contratto di vendita del bene.
Tuttavia la Comunità, nell’estendere a tutto il mercato interno una forma di tutela che era già stata efficacemente introdotta nel Regno Unito dal Consumer Credit Act 1974 (cfr. G. ALPA, Commento all’art. 121 T.U., in Commentario al T.U. delle leggi in materia bancaria e
creditizia (a cura di F.CAPRIGLIONE), Padova, 2001, p. 945), ha consentito – sempre nell’ottica
dell’armonizzazione minima – che gli Stati membri potessero subordinare l’esercizio di tale facoltà al ricorrere di determinate circostanze. Di maggiore importanza è quindi il 2° comma dell’art. 11, il quale specifica i requisiti affinché il consumatore possa procedere contro il finanziatore. Essi sono dati: dalla sussistenza di un precedente accordo tra il creditore e il fornitore in base al quale il credito è messo a disposizione da quel creditore esclusivamente a favore dei clienti del fornitore per l'acquisto di merci o di servizi offerti dal medesimo fornito- re; dall’aver il consumatore ottenuto il credito in conformità all’accordo stabilito fra fornitore e finanziatore; dal non essere stati forniti, o forniti soltanto in parte o comunque non conformi al contratto di fornitura, i beni considerati dal contratto di credito; dall’avere il consumatore abbia inutilmente “proceduto” contro il fornitore; dal valore dell’operazione non inferiore a un importo di 200 ECU. Queste sole sono le limitazioni che uno Stato membro può prevedere per limitare la responsabilità sussidiaria del finanziatore e ricorrendo le quali «il consumatore ha
il diritto di procedere contro il creditore».
Tuttavia è proprio quest’ultimo punto a stravolgere le precedenti proposte di direttiva. Secondo alcuni (v. G. CARRIERO, Autonomia privata e disciplina del mercato. Il credito al
consumo, Torino, 2002, p. 36) in tal modo la tutela offerta dalla direttiva compie un passo
indietro rispetto alla Proposta del 1984. Quest’ultima, infatti, all’art. 13 stabiliva che il consu- matore avrebbe avuto diritto «a recuperare dal fornitore o dal creditore, oppure da entrambi,
la totalità delle somme versate in forza del contratto […] per quanto riguarda i beni o servizi non forniti, nonché a sospendere i pagamenti al fornitore o al creditore». Abbiamo visto
invece che nel testo successivamente approvato la responsabilità del creditore da solidale diviene semplicemente sussidiaria. Si salvaguarda quindi il consumatore solo dal rischio di non trovare soddisfazione nel patrimonio del venditore mentre nulla si fa, a fronte dell’inadempimento del fornitore, per consentire al consumatore di opporre al creditore l’eccezione di cui all’art. 1460 cod.civ. (G. CARRIERO, Il credito al consumo, Quaderni di ricerca
giuridica della Banca d’Italia, Roma, 1998, p. 136). Col risultato che il debitore può restare obbligato a pagare le rate pur senza essere entrato in possesso di alcun bene. In base alla direttiva, il coinvolgimento del creditore avviene infatti solo dopo l’insoddisfacente risultato dell’azione di garanzia intentata contro il venditore: è facile capire che i tempi della giustizia civile italiana renderebbero vana questa forma di tutela, poiché tale condizione si verrebbe probabilmente a verificare quando il pagamento delle rate del mutuo sarà già stato ultimato. Mutuo che, come detto, era finalizzato all’acquisto di un bene di cui in definitiva non si è usufruito.
Sempre secondo G. CARRIERO, Il credito al consumo, Quaderni di ricerca giuridica della
Banca d’Italia, Roma, 1998, p. 137 il legislatore comunitario, considerata la progressiva e costante crescita del settore, ha ritenuto prevalenti le preoccupazioni connesse alla necessità di prevedere un intervento pubblico nel settore tanto da generare il sospetto che l’obiettivo primario non fosse quello di apprestare solidi strumenti a tutela del consumatore. Non è casuale dunque che talune norme della direttiva, ed in particolare l’art. 12, prevedano controlli pubblici. Ciò tanto più in quanto «l’analisi dell’incidenza del processo tradizionale di forma-
zione del risparmio è divenuta persino strumento di revisione del concetto tradizionale di propensione marginale al risparmio (ed occasione per evadere gli schemi keynesiani)» (Così
G. ALPA-M. BESSONE, Funzione economica e modelli giuridici delle operazioni di credito al
Tale norma, originariamente prevista dall’art. 125, 4° comma, del TUB 244 e ora trasposta senza variazioni nell’art. 42 del cod.cons. 245, dà
quindi al consumatore la facoltà di agire anche nei riguardi del finanziato- re qualora il fornitore di beni o il prestatore dei servizi si sia reso inadempiente. Più esattamente prevede che «nei casi d’inadempimento
del fornitore di beni e servizi, il consumatore che abbia inutilmente effet- tuato la costituzione in mora ha diritto ad agire contro il finanziatore nei limiti del credito concesso, a condizione che vi sia un accordo che attribui- sce al finanziatore l’esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore».
In linea di principio, quindi, la norma in esame presenta un forte ca- rattere innovativo 246 in quanto estende in modo eccezionale il rischio a cui
resta esposto un soggetto – il finanziatore – oltre quello normalmente il medesimo soggetto assume in via convenzionale – ossia l’insolvenza del consumatore. Il finanziatore, pur essendo terzo rispetto al contratto di fornitura è chiamato a “sopportare” il rischi dell’inadempimento dell’altro soggetto professionale. Analogamente e per evitare pratiche elusive, la responsabilità si estende anche all’eventuale cessionario del credito.
Nonostante la sua capacità di scalfire la separazione formale dei contratti di vendita e di finanziamento 247, le critiche a cui la norma è stata
244 Comma abrogato dall’art. 146 del cod.cons.
245 L’art. 42 cod.cons. riproduce, unificandoli, il 4° e 5° comma dell’art. 125 del TUB. Da
un punto di vista sistematico tale parziale spostamento suscita in sé diverse perplessità, ma manifesta ancor più una certa incoerenza se si tiene conto che altre importanti norme a protezione del consumatore sono contenute nel medesimo articolo (cfr. T. PIETRAFORTE,
Commento agli artt. 40-42, in Codice del Consumo e norme collegate (a cura di V.CUFFARO), Milano, 2008, p. 239.
246 Così G. DE NOVA, Disposizioni varie, in La nuova legge bancaria (a cura di P.
FERRO-LUZZI e G.CASTALDI), Milano, 1996, p. 1883.
247 La norma sull'inadempimento del fornitore sancisce anche formalmente il
collegamento tra i due contratti, risultando idonea a determinare la produzione di quelle conseguenze che non si era riusciti a ottenere dalla semplice relazione funzionale intercorrente tra i due contratti. Ciò trova conforto nella recente giurisprudenza tanto di legittimità quanto di merito che, non a caso muovendo proprio dalla introdotta prescrizione normativa, è pervenuta a risultati più generali (ed estensivi) in punto di collegamento negoziale. Si vedano, ad esempio, Corte di Cassazione, 23 aprile 2001, n. 5966; Corte di Appello di Milano, 6 febbraio 2001 e Tribunale di Milano 15 gennaio 2001, pubblicate in Banca borsa e titoli di
credito, 2002, p. 388 e ss.; sul punto cfr. le osservazioni critiche di RODDI, Sul collegamento
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sottoposta non sono state certamente positive. Sarebbe stato infatti mag- giormente efficace limitare possibilità di includere clausole restrittive delle azioni e delle eccezioni del consumatore nei confronti del finanziatore e del fornitore. Oppure, in via ancor più incisiva, si sarebbe potuto consentire al consumatore di opporre al finanziatore le eccezioni relative al suo rapporto con il fornitore 248.
Sono stati tuttavia i presupposti applicativi introdotti dal legislatore italiano, la cui improbabile sussistenza nella prassi vanifica ogni possibilità applicativa in favore del consumatore, a suscitare maggiori perplessità, se non addirittura a far decretare il totale insuccesso della norma de qua.
Il riferimento non è tanto quello alla preventiva messa in mora del fornitore, che anzi sembra un onere proporzionato rispetto agli interessi in gioco, sia quello del consumatore di poter rapidamente rivalersi nei con- fronti del finanziatore sia quello di quest’ultimo a non essere chiamato a rispondere in prima battuta per ogni problematica relativa al contratto di compravendita. Si tratta, infatti, di un atto di natura stragiudiziale che non implica un’attesa comparabile a quella dell’escussione del patrimonio del debitore 249.
Piuttosto, il principale limite operativo della norma consiste nella necessaria sussistenza di un patto di esclusiva nel rapporto di convenzione che regola i rapporti tra i due soggetti professionali, limite che appare incongruo nonché facilmente eludibile dal finanziatore interessato ad evitare un aggravamento della propria responsabilità 250. È ipotizzabile,
infatti, che un simile accordo non verrà mai impiegato nei contratti di
248 G.ALPA, Il diritto dei consumatori, Bari, 2002, p. 164.
249 Come invece previsto dall’art. 1944, 2° comma, cod.civ. in materia di fideiussione. Il
che a portato alcuni a descrivere la previsione secondo l’immagine di una “solidarietà temperata dall’onere di preventiva messa in mora del finanziatore”. Così V. Zeno-Zencovich, Il diritto europeo dei contratti (verso la distinzione tra «contratti commerciali» e «contratti dei consumatori»), in Giur. it., 1992, p. 68 e S.T. MASUCCI, Commento all’art. 125, d.lgs. 1°
settembre 1993, n. 385, in Nuove Leggi civ. comm., Padova, 1994, p. 871.
250 Così C. CACCAVALE, Commento agli artt. 40-43, in Commentario al Codice del
convenzione 251; e anche laddove ciò avvenisse, il consumatore sarebbe
chiamato dalla norma in esame a dimostrare l’esistenza di una clausola inserita in un contratto di cui egli non è parte.
Va peraltro segnalato che la Corte di giustizia europea nel caso C- 429/05 252 ha precisato che i presupposti indicati dall’art. 11 della direttiva
87/102/CEE per l’azione nei confronti del creditore sono tassativi e che quindi gli Stati membri non ne possono prevedere di ulteriori. Da un lato, infatti, esclude che il bene acquistato grazie al finanziamento debba essere necessariamente menzionato nel contratto di credito. Dall’altro, ugual- mente esclude che il collegamento tra i due negozi possa negarsi per la sola circostanza che il finanziamento sia stato erogato attraverso una figura contrattuale (quale l’apertura di credito) astrattamente idonea a soddisfare molteplici impieghi; ossia chiarisce che l’art. 11 non trova applicazione ai soli finanziamenti vincolato all’acquisto di un bene o di un servizio (il c.d. mutuo di scopo) 253.
Resta da definire cosa il consumatore possa pretendere dal finanzia- tore in caso d’inadempimento del fornitore: Stante il carattere letterale dell’art. 42 cod.cons. l’azione nei confronti del finanziatore sembrerebbe
251 G.CARRIERO, Trasparenza bancaria, credito al consumo e tutela del contraente
debole, in Foro It., 1992, V, c. 359.
252 Per un commento a tale pronuncia si v. G. CARRIERO, Credito al consumo e
inadempimento del venditore, nota a CGCE sez. I 4 ottobre 2007 (causa C-429/05), in Foro it., 2007, pagg. 590-593.
253 Mentre la motivazione sul primo aspetto è alquanto semplice, non essendo in alcuna
norma comunitaria richiesta l’indicazione del bene la cui compravendita viene finanziata, la seconda merita una maggiore attenzione. Ciò perché, su un piano ontologico, il tipo di contratto di credito concluso nella fattispecie portata all’attenzione della Corte non sembrerebbe prima facie rientrante nella ratio dell’art. 11 della direttiva. La Corte di giustizia supera tuttavia tale obiezione facendo prevalere la lettera della norma e, quindi, privilegiando le finalità di tutela del consumatore. La conclusione a cui giunge poggia infatti sulle parole adoperate nella direttiva che presuppongono, in positivo, l’applicazione della disciplina comunitaria, e dunque anche della norma sulla responsabilità sussidiaria del finanziatore, a ogni contratto di credito (contratti in base ai quali «il creditore concede o promette di
concedere al consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o altra analoga facilitazione finanziaria», cfr. art. 1, 2° comma, lett. c); in negativo,
considerando che l’esclusione dall’àmbito operativo della direttiva dei finanziamenti concessi sotto la forma dell’apertura di credito in conto corrente (art. 2, 1° comma, lett e) deve intendersi come norma eccezionale e perciò di stretta interpretazione.
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avere natura risarcitoria 254 e potrà articolarsi in tre distinte azioni – di
risoluzione, risarcimento del danno e riduzione del prezzo – e nell’eccezione di inadempimento.
Sembra opportuno sottolineare che proprio tale ultima forma di tu- tela “privata” sembra poter garantire il raggiungimento dei risultati migliori in un’ottica di tutela degli interessi del consumatore. Soprattutto se si tiene in considerazione il fatto che la responsabilità sussidiaria del finanziatore, più che ad ampliare la schiera dei soggetti chiamati a rispon- dere dell’inadempimento del contratto di compravendita, risulta finalizzata a paralizzare o a limitare la restituzione della somma presa in prestito. Qualora il consumatore mantenga interesse all’adempimento del fornitore sembra più corretto prevedere uno strumento di tutela che si preoccupi non solo delle sorti del contratto di credito bensì anche dell’obbligazione principale cui il contratto di credito è predisposto. Il vero problema delle operazioni di credito al consumo finalizzate è infatti dato dalla impossibilità per il compratore-finanziato di potersi avvalere delle forme di tutela previste ad esempio per la vendita rateale. Quest’ultima, riunendo in un'unica operazione contrattuale e in un unico soggetto sia la posizione del venditore sia quella del finanziatore, consente infatti al con- sumatore sospendere il pagamento delle rate in caso di vizi della cosa o di omessa consegna della medesima.
Qualora dovesse essere chiesta la risoluzione del contratto, l’evento, ponendo fine al contratto di compravendita, non può non coinvolgere anche il contratto di finanziamento 255.
Va da ultimo precisato che qualsiasi forma di rimborso da parte del finanziatore è limitata a concorrenza del credito concesso, consistente nella somma erogata comprensiva degli interessi applicati.
254 Così D.MORGANTE, Commento all’art. 125 del TUB, in Codice del Consumo e norme
collegate (a cura di V.CUFFARO), Milano, 2008, p. 815.
2.5.5. Le clausole relative al rapporto tra consumatore e fornitore