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I limiti soggettivi d’applicazione della disciplina

La disciplina del credito al consumo in Italia

2.2. Fattispecie negoziale e àmbito d’applicazione: la nozione di credito al consumo

2.2.1. I limiti soggettivi d’applicazione della disciplina

Il contratto di credito al consumo deve necessariamente avere come parti un creditore-professionista e un consumatore. Non rientrano quindi nella disciplina speciale i contratti conclusi tra professionisti (c.d. B2B) né quelli relativi a finanziamenti concessi privatamente.

Sotto il versante soggettivo, quindi, la direttiva definisce i due sog- getti, creditore e consumatore, nei seguenti termini. Il primo è innanzitutto colui che concede il credito «nell’esercizio di un’attività

commerciale o professionale» 44. Va ulteriormente specificato che il 2°

comma dell’art. 121 TUB prevede che tale attività resti riservata alle ban- che 45, agli intermediari finanziari 46 e ai soggetti autorizzati alla vendita,

nella sola forma della dilazione del pagamento del prezzo 47.

44 La direttiva 87/102/CEE all’art. 1, 2°comma, lett. b) dà la definizione del creditore,

descritto come «la persona fisica o giuridica che concede un credito nell’esercizio di

un’attività commerciale o professionale, ovvero un gruppo di tali persone». Nella definizione

comunitaria dovrebbero comunque essere compresi tutti i soggetti cui possano essere imputati diritti e doveri di natura patrimoniale, indipendentemente dall’essere essi stessi persone giuridiche o meno (Così L. FABII, Ambito di applicazione della direttiva sul credito al

consumo, in La disciplina comunitaria del credito al consumo (a cura di F. CAPRIGLIONE),

Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, XV, luglio 1987, p. 43 secondo il quale tali soggetti sfuggirebbero però all’ipotesi di corresponsabilità fra fornitore e creditore contemplata dall’art. 11.).

45 Le quali esercitano il credito al consumo in base a quanto prevede l’art. 10, 3°

comma, TUB, ossia secondo la disciplina propria di ciascuna di esse.

46 Gli intermediari finanziari, sorti nel quadro della c.d. innovazione finanziaria, devono

invece iscriversi in un apposito elenco generale previsto dall’art. 106 TUB e possedere i seguenti requisiti: a) forma giuridica di società per azioni, società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata o di società cooperativa; b) oggetto sociale che preveda lo svolgimento esclusivo di attività finanziarie; c) capitale sociale versato non inferiore a cinque volte il capitale minimo previsto per la costituzione di una società per azioni; possesso da parte dei partecipanti al capitale e degli esponenti aziendali dei requisiti di onorabilità e professionalità prescritti dagli artt. 108 e 109 TUB.

47 Sembra non ci possano essere dubbi sul fatto che la richiamata autorizzazione debba

Il Testo unico introduce dunque una riserva di attività 48, non previ-

sta dalla direttiva, che assume una doppia valenza. Negativa, perché pone un’esclusiva per le operazioni di credito nei confronti dei consumatori a favore di soggetti dotati di determinate prerogative; positiva, in quanto sottopone tali soggetti a controlli e vincoli che rendono più sicura la loro stabilità finanziaria. Di tal che finanziamenti di questo tipo, e aventi questo oggetto, qualora concessi da soggetti (professionali) diversi dovranno considerarsi nulli 49.

Sulla natura delle banche e delle società finanziarie, nonché sulle di- verse tipologie di business che le medesime pongono in essere sul mercato si è già detto nel primo capitolo. Sembra in questa sede opportuno precisa- re che i soggetti autorizzati alla vendita sono autorizzati a concludere operazioni di credito al consumo nella sola forma della dilazione del pa- gamento del prezzo, ossia attraverso la tradizionale compravendita a rate. Peraltro, alla luce di quanto sopra restano oscure le ragioni che hanno spinto a non sostituire la locuzione “attività professionali” con l’espressione “attività imprenditoriale” visto che le categorie di soggetti indicate dal 2° comma dell’art. 121 TUB non sembra possano rientrare tra

48 Gli artt. 131 e 132 del TUB pongono una sanzione penale per l'abusivo esercizio di

attività bancaria e finanziaria. Per l'inosservanza del divieto viene mantenuta la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa (da € 2.065 a € 10.329).

Per la definizione delle nozioni di attività finanziaria riservata occorre far riferimento a due decreti emanati dal Ministro del tesoro, sentiti la Banca d'Italia e l'Ufficio italiano dei cambi, in data 6 luglio 1994, dei quali uno specifica il contenuto delle attività riservate ai soggetti operanti nel settore finanziario e indica in quali circostanze tali attività siano esercitate nei confronti del pubblico, l'altro determina i criteri per la verifica della prevalenza dell'attività finanziaria non rivolta nei confronti del pubblico. Le attività finanziarie indicate dal testo unico sono: a) la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma; b) l'assunzione di partecipazioni; c) l'intermediazione in cambi; d) la prestazione di servizi di pagamento. La specificazione del contenuto di dette attività è avvenuta, con il citato decreto del Ministro del tesoro, seguendo criteri di ampiezza delle definizioni e di continuità con precedenti provvedimenti in materia. Sotto la definizione di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, con la quale si ribadisce una nozione tendenzialmente esaustiva che ricomprende ogni facilitazione creditizia indipendentemente dalla forma tecnica assunta, vi rientrano, quindi, le operazioni di credito al consumo. Cfr. L. CRISCUOLO, L'esercizio abusivo di attività

finanziaria: profili giuridici e strumenti di contrasto, in Cass. pen., 1996, IV, p. 1334.

49 Così G.ALPA, Commento all’art. 121 T.U., in Commentario al T.U. delle leggi in

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gli esercenti le professioni di cui all’art. 2229 cod.civ. e che, al contrario, appaiono tutte riconducibili all’art. 2195 cod.civ. 50.

Per quanto riguarda invece la definizione di consumatore 51, ossia

«la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoria- le o professionale eventualmente svolta» 52, essa è speculare a quella ora

50 Così G. CARRIERO, Autonomia privata e disciplina del mercato. Il credito al

consumo, Torino, 2002, p. 59.

Che l’attività bancaria costituisca attività d’impresa è ormai un dato acquisito, nonché legislativamente posto dall’art. 10 del TUB (si veda in proposito la nota a p. 39).

51 Per una diffusa ricostruzione del concetto v. G.ALPA, Commento all’art. 121 T.U.,in

Commentario al T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia (a cura di F. CAPRIGLIONE), II

ed., Padova, 2001, p. 936.

Più in generale, per un approfondimento sulla nozione di consumatore v. anche V. ZENO ZENCOVICH, voce Consumatore (tutela del), I Diritto Civile, in Enc. giur. Treccani, vol.

VIII; G.ALPA, voce Consumatore (tutela del), II Diritto della Comunità europea, in Enc. giur.

Treccani, vol. VIII; G.ALPA–CHINÈ, voce Consumatore (protezione del) nel diritto civile, in

Digesto delle discipline privatistiche, sez. civile, vol. XV, Torino, 1997, p. 541 e ss; G.ALPA, La

legge sui diritti dei consumatori, in Corr. Giur., 1998, IX, p. 997 e ss.; G.ALPA, Ancora sulla

nozione di consumatore, in I Contratti, 2001, p. 205; G. ALPA Gli usi del termine

“consumatore” nella giurisprudenza, in Nuova giur. civ. comm., 1999, II, p. 4.

52 Per quanto riguarda il consumatore, la direttiva 87/102/CEE all’art. 1, 2° comma,

lett. a) lo identifica con «la persona fisica che, per le transazioni disciplinate dalla presente

direttiva, agisce per scopi che possono considerarsi estranei alla sua attività professionale».

La scelta di questa definizione è il prodotto di una serie di emendamenti che hanno avuto luogo in seno al Consiglio. La versione originaria contenuta nella Proposta della Commissione e poi appoggiata dal Parlamento europeo prevedeva infatti una soluzione dai confini più incerti ma meno restrittiva in quanto era richiesto che la persona fisica agisse solo “prevalentemente” per i suoi scopi privati, potendo quindi ricadere all’interno della direttiva un’operazione di carattere promiscuo. Proprio in tal senso la Commissione si era espressa nel senso di ritenere che qualora il consumatore agisse in parte nell’àmbito di un’attività professionale e in parte al di fuori di tale àmbito, la situazione dovesse rientrare nel campo d’applicazione della direttiva.

Nonostante l’assenza dell’espressione “prevalentemente” nel testo poi approvato, alcuni autori (così L. FABII, Ambito di applicazione della direttiva sul credito al consumo, in La

disciplina comunitaria del credito al consumo (a cura di F. CAPRIGLIONE), Quaderni di ricerca

giuridica della Banca d’Italia, XV, luglio 1987, p. 42) avevano cercato di valorizzare la sfumatura ipotetica della dizione «scopi che possano considerarsi estranei alla sua attività

professionale» sostenendo così la possibilità di includere nell’àmbito d’applicazione della

direttiva ipotesi in cui vi fosse stato un concorso d’interessi privati e professionali. Viceversa, sempre seguendo questa tesi, sarebbero rimasti non compresi i casi in cui il contraente avesse lasciato intendere alla controparte di agire per scopi professionali. In altri termini nel primo caso sarebbe stato il creditore a dover dimostrare che il debitore aveva agito per fini commerciali o professionali mentre nel secondo sarebbe stato il debitore a dover dimostrare l’esclusivo interesse privato nella transazione. Tale interpretazione del testo comunitario facendo leva sulla valenza oggettiva o soggettiva delle parole “possano considerarsi”, poneva quindi un’ipotesi atipica d’inversione dell’onere della prova. Per altri ancora (Così L.C. UBERTAZZI, Credito bancario al consumo e direttiva CEE: prime riflessioni, in Giur. comm., 1988, II, p. 328; sulla questione v. anche M.GORGONI, Il credito al consumo, Milano, 1994, p.

adoperata in via generale 53, all’art. 3, 1° comma, lett. a, dal d.lgs. 6 settem-

bre 2005, n. 206 54.

Anche prima dell’entrata in vigore del Codice del consumo, tale de- finizione risultava essere identica a quelle contenute nella disciplina sulle clausole abusive (gli abrogati art. 1469-bis e ss. cod.civ.) e nella legge gene-

applicarsi la disciplina del credito al consumo salvo che di volta in volta sussistano elementi idonei a far presumere lo scopo professionale dell’operazione.

Anche durante i lavori che hanno preceduto l’approvazione della direttiva 93/13/CE sulle clausole vessatorie l’apposizione dell'avverbio “direttamente” accanto al verbo “rientrano” avrebbe consentito di tutelare anche quegli acquirenti si procurano beni o servizi utili alla propria attività ma che non ne costituiscono elemento produttivo necessario (si veda in proposito: G.OPPO, L’attuazione della direttiva comunitaria del 5 aprile 1993, Clausole

abusive nei contratti stipulati dai consumatori (a cura di in C.M.BIANCA e G. ALPA), Padova,

1994, p. 6, e anche U. RUFFOLO (a cura di), Clausole vessatorie e abusive. Gli artt.1469 bis e ss.

E i contratti, Milano, 1997, p. 20. Va segnalato che, a prescindere dalle vicende che hanno

caratterizzato l’evoluzione della definizione, non sembra che il testo finale, attraverso una definizione più netta, abbia consentito di superare qualsiasi dubbio interpretativo. Infatti, mentre la soluzione più plausibile del dettato comunitario resta quella che esclude le operazioni che il consumatore abbia concluso per un uso misto, la dottrina ha proposto anche altre soluzioni ermeneutiche (sulle quali vedi infra).

53 In precedenza, la definizione di consumatore era sparsa nei seguenti testi normativi:

D.P.R. 24 maggio 1988 n. 224 in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi; l. 19 aprile 1991, n. 126 recante norme per l'informazione del consumatore; l. 1° gennaio 1991, n. 1 sulle SIM; d.lgs. 15 gennaio 1992, n. 50 in materia di contratti negoziati fuori dai locali commerciali; d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74 in tema di pubblicità ingannevole; d.lgs. 15 gennaio 1995, n. 111 concernente i viaggi, le vacanze e i circuiti tutto compreso; d.lgs. 9 novembre 1998, n. 427 in tema di multiproprietà; d.lgs. 22 maggio 1999, n. 185 in materia di contratti a distanza; d.lgs. 2 febbraio 2002, n. 24 sulle garanzie nella vendita di beni di consumo.

54 Il d.lgs è stato approvato per riordinare e semplificare la normativa sulla tutela dei

consumatori. Esso è stato successivamente modificato da: il d.lgs. n. 146/07 di recepimento della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali scorrette (che ne ha sostituito gli artt. da 18 a 27); il d.lgs n. 221/07, recante disposizioni correttive ed integrative; la l. n. 244/07 (c.d. l. finanziaria 2008) che ha introdotto nel nostro ordinamento l’azione civile collettiva.

Sul Codice del Consumo si veda: G. ALPA, Il Codice del consumo, Commento, in I

Contratti, 2005, 1047 e ss. il quale offre una prima disamina degli aspetti più importanti e

innovativi del decreto all’indomani della sua emanazione; L.ROSSI CARLEO, La codificazione di

settore: il codice del consumo, in Rass. dir. civ., 2005, p. 879 e ss.; nel contesto di un dibattito

a più voci, ancora G.ALPA, I diritti dei consumatori e il «Codice del consumo» nell’esperienza

italiana, in Contratto e Impresa /Europa, 2006, p. 1 ss..; per una visione analitica delle

disposizione del Codice del Consumo si v. G.ALPA eL.ROSSI CARLEO (a cura di), Commentario

al Codice del consumo, Napoli, 2005 e V.CUFFARO (a cura di), Codice del Consumo e norme

collegate, Milano, 2008; E.M.TRIPODI-C.BELLI, Codice del consumo. Commento al D.Lgs. 6

settembre 2005, n. 206, Rimini, 2006; M. DONA, Il codice del consumo: regole e significati,

Torino. Rilievi critici da parte di G.DE CRISTOFARO, Il «Codice del consumo»: un’occasione

perduta?, in Studium juris, 2005, p. 1137; A.GENTILI, Il Codice del Consumo ed esprit de

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rale sui diritti dei consumatori e degli utenti 55 (l. 30 luglio 1998, n. 281);

come pure a quella, regolamentare, contenuta nella Circolare A.B.I. istitu- tiva dell’Ombudsman bancario 56. Tale precisazione risulta utile, oltre che

per chiarire la fungibilità delle interpretazioni della definizione di consu- matore rese in tali ambiti, anche per comprendere che l’àmbito applicativo della disciplina del credito al consumo è in questo senso coincidente con quella delle altre discipline di tutela del consumatore. Pertanto, ad esem- pio, a tali contratti risulteranno sempre applicabili anche le norme sulle clausole vessatorie di cui agli artt. 33 e ss. cod.cons. 57.

Occorre ricordare poi che nella prassi spesso è il professionista a ri- chiedere alla controparte di qualificarsi come consumatore tramite autocertificazione. In questa circostanza, ormai diffusa tra gli operatori del settore, la qualificazione dipende dalla manifestazione dell’interessato e prescinde da qualsiasi fatto oggettivo 58. È possibile quindi che il contratto

contenga delle sanzioni a carico del consumatore apparente e, in ogni caso, a seguito di una qualificazione inesatta quest’ultimo non potrebbe godere dei benefici concessi dalla legge per tale categoria di soggetti. Nel caso opposto, ossia qualora sia stata dichiarata dalla parte l’afferenza del con- tratto alla propria attività professionale, sembra difficile che si possa

55 Oggi non più in vigore in quanto abrogata dall’art. 146 del Codice del consumo, salvo

per le disposizioni di cui all'art. 7.

56 L’Ombudsman (dallo svedese, “mediatore”) bancario è un organo a cui possono

rivolgersi i clienti delle banche e degli intermediari finanziari per risolvere le controversie insorte nei limiti di 50 mila euro di danno. I consumatori hanno sempre potuto chiedere il giudizio del Giurì sin dalla sua nascita nel 1993. Dal 1° gennaio 2006 vi possono ricorrere anche le imprese, i commercianti, i professionisti, gli artigiani e le società.

57 Fatti ovviamente salvi i casi indicati ai commi 3° e 4° dell’art. 34 del Codice di

consumo. Il rapporto che viene a istaurarsi tra le due discipline è stato approfondito maggiormente nel prosieguo.

58 V. G. ALPA, Commento all’art. 121 T.U., in Commentario al T.U. delle leggi in

materia bancaria e creditizia (a cura di F. CAPRIGLIONE), II ed., Padova, 2001, p. 941. Va

peraltro segnalato che, in modo del tutto coerente con gli istituti di diritto privato, la giurisprudenza ha riconosciuto la qualifica di consumatore, con conseguente applicazione della relativa tutela, non solo allo stipulante diretto ma anche all'eventuale rappresentato (o persona da nominare o terzo beneficiario) nei cui confronti, sin dall'inizio, sia previsto che il contratto debba produrre i suoi effetti «in quanto tale soggetto diviene sin dall'inizio titolare

in via autonoma, e non derivativa, dei diritti e degli obblighi nascenti dal contratto» (così

sostenere in un secondo momento il contrario 59 a meno di non voler con-

cedere alla banca la possibilità di agire per chiedere l’annullamento del contratto per dolo o errore. Oppure si renderebbe possibile la risoluzione del contratto per inadempimento all’obbligo informativo, questa volta posto a carico della controparte della banca o della società finanziaria.

Anche sotto questo aspetto la disciplina posta dal capo dedicato al credito al consumo, si presenta come disciplina speciale e dall’àmbito più circoscritto rispetto a quella contenuta nel precedente capo sulla traspa- renza bancaria. Lì infatti la definizione accolta è ben più ampia, essendo il destinatario delle norme di tutela qualsiasi controparte dell’impresa ban- caria 60. Per certo, la generalizzazione con cui vengono escluse dalla

qualifica di consumatore anche tutte quelle attività che certamente sono professionali ma che non presentano carattere imprenditoriale appare poco felice 61. È vero del resto che fornire una definizione di consumatore

soddisfacente è opera tutt’altro che agevole, considerato che la categoria è di per sé stessa molto eterogenea. Come giustamente messo in luce da alcuni 62, vi sono consumatori ricchi e consumatori poveri;consumatori

59 Sul punto va segnalata la pronuncia della III sezione della Corte di Cassazione (n.

13083 del 5 giugno 2007) che, in presenza di elementi che comprovano che il contratto è stato stipulato nel quadro della propria attività professionale, ha ritenuto non qualificabile come consumatore il soggetto che alla stipula del contratto ha dichiarato per iscritto che il contratto non era estraneo alla attività professionale svolta.

60 In merito alla composizione della categoria “cliente” si vedano U. MORERA, Sulla

nozione di "cliente della banca", in Vita not., 1995, p. 590; R. CLARIZIA, Il cliente della banca:

fattispecie e tipologie. Disciplina generale in favore, in La nuova disciplina dell'impresa

bancaria (a cura di U. MORERA eA.NUZZO), Milano, 1996, II, p. 131 e ss.; P. GAGGERO, A

proposito della definizione di "cliente della banca", in Econ. e dir. terz., 1996, p. 771 ss.; V.

BUONOCORE, Contrattazione d'impresa e nuove categorie contrattuali, Milano, 2000, p. 115 e ss.; E. CAPOBIANCO, Contrattazione bancaria e tutela dei consumatori, Napoli, 2000, p. 32 ss.;

G. ALPA, La riformulazione delle condizioni generali dei contratti delle banche, in I Contratti,

1996, I, p. 5 e ss.

61 Così G.OPPO, Presentazione, in La disciplina comunitaria del credito al consumo (a

cura di F. CAPRIGLIONE), Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, XV, luglio 1987, p. 12; G.ALPA, L’attuazione della direttiva sul credito al consumo, in Contratto e Impresa, 1994, p. 7 e ss.; G.CARRIERO, Autonomia privata e disciplina del mercato. Il credito al consumo,

Torino, 2002, p. 60

62 In questi termini G. ALPA, Il diritto privato dei consumi, Bologna, 1986, p. 23,

secondo il quale la massa dei consumatori non costituisce una “classe” sociale, quanto piuttosto una mutevole correlazione di soggetti associati da un interesse all’acquisizione di beni e servizi.

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colti e consumatori ignoranti; consumatori di beni di prima necessità e consumatori di beni di lusso; consumatori che hanno bisogno di tutela e consumatori in grado di autotutelarsi; consumatori lavoratori subordinati e consumatori lavoratori autonomi. Sembra tuttavia iniquo, pur nella difficoltà appena citata, giustificare l’esclusione dalla disciplina garantista di categorie di soggetti come i lavoratori autonomi, gli artigiani, e così via. Per non parlare anche di tutte quei soggetti dotati di personalità giuridica, o comunque centri d’imputazione di norme giuridiche, che pur non avendo alcun carattere imprenditoriale fuoriescono dalla sfera d’applicazione della direttiva. Se la ratio della disciplina di protezione è quella di tutelare il “soggetto debole” del contratto, non sembra infatti tollerabile la discrimi- nazione che viene a porsi rispetto ad altri soggetti parimenti ''deboli''.

Per l’ordinamento italiano è necessario fare riferimento anche alla sentenza del 22 novembre 2002 n. 469 della Corte Costituzionale, la quale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’allora art. 1469 bis, 2° comma, nella parte in cui non equipara al consumatore le piccole imprese e quelle artigiane 63. Ovviamente la pronuncia, sorta

all’interno della disciplina sulle clausole vessatorie, risulta essere pertinen- te anche in tema del credito al consumo poiché le definizioni di consumatore applicabili alle due diverse discipline sono coincidenti. Il Giudice delle leggi, nell’argomentare i motivi dell’interpretazione che re- stringe alle sole persone fisiche la nozione di consumatore, ha affermato che la norma risulta conforme ai dettami costituzionali. Nello scegliere un elemento discriminante per distinguere la figura del consumatore da quel- la del professionista, infatti, risulterebbe inevitabile escludere quelle situazioni particolari che si pongono ai confini della sfera operativa deline- ata. Tale limitazione è perciò ragionevole, sempre secondo il ragionamento

63 Per un commento alla sentenza citata v. G.CAPILLI, La nozione di consumatore alla

luce dell’orientamento della consulta, in I Contratti, 2003, n. 7, p. 653 e ss. La sentenza è

pubblicata anche su Foro it. 2003, 332 con commento di A. PALMIERI, Consumatori, clausole

abusive e imperativo di razionalità della legge: il diritto privato europeo conquista la Corte

Costituzionale, p. 337, e di A. PLAIA, Nozione di consumatore, dinamismo concorrenziale e

della Corte, se si considera che «la finalità della norma è proprio quella di tutelare i soggetti che, secondo l’id quod plerumque accidit, sono presumi- bilmente privi della necessaria competenza per negoziare».

La sentenza, inoltre, mettendo in rilievo l’importanza della creazio- ne all’interno dell’Unione europea di modelli normativi uniformi fa correttamente riferimento al diritto comunitario. In particolare, la Consul- ta sottolinea che la selezione compiuta dal legislatore italiano non è irragionevole ma anzi risulta legittimata del tenore delle disposizioni della direttiva 93/13/CE, dalla normativa vigente negli altri paesi aderenti all’Unione europea, nonché dai progetti di codificazione europea in fase d’elaborazione. Pur non essendo citata espressamente, l’analisi svolta non avrà sicuramente trascurato di prendere in considerazione anche il fatto che la Corte di Giustizia europea si era già pronunciata sulla questione 64