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La disciplina del credito al consumo in Italia

2.1. La genesi della disciplina italiana sul credito al consumo

2.1.2. La direttiva 87/102/CEE

La Proposta del 1979, successivamente modificata sulla scorta delle indica- zioni rese dal Comitato economico e sociale della Comunità 10, ha infine

portato all’elaborazione di una ulteriore e nuova Proposta di direttiva 11.

Quest’ultima è stata ripresentata dalla Commissione nel 1984 e ha portato al raggiungimento del testo finale, approvato dal Consiglio nel dicembre 1986.

Come espressamente dichiarato negli anni Ottanta dal responsabile della Commissione CEE Patrick Latham – e ribadito oggi dai documenti che hanno preceduto l’approvazione della nuova direttiva sul credito al consumo – la finalità principale della direttiva 87/102/CEE consiste nel ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministra- tive degli Stati membri al fine di contribuire alla creazione di un mercato

8 Al tempo in materia era ancora richiesta l’unanimità dei consensi.

9 In GUCE, 27 marzo 1979, n. C 80, p.4. Il testo è altresì riportato in appendice a D.

SINESIO, Il credito al consumo (problemi e prospettive nella realtà italiana), in Studi Senesi, 1980, p. 345 e ss. ed in Credito e moneta (a cura di C.M.MAZZONI e A.NIGRO), 1982, p. 315 e

ss.

10 V. A.TIDU, La direttiva comunitaria sul credito al consumo, in Banca, borsa e titoli

di credito, 1987, I, p. 727.

11 V. A.TIDU, La direttiva comunitaria sul credito al consumo, in Banca, borsa e titoli

comune nel campo del credito 12. Non che la protezione del consumatore

non venisse presa in considerazione, ma rispetto al progetto originario, col quale si era dettato un programma di tutela ampio, articolato e innovativo, la direttiva del 1986 rappresenta di certo un’inversione di tendenza 13. La

portata dell’intervento a tutela dei consumatori risulta circoscritta, infatti, all’individuazione di una disciplina di protezione “minima” che, allo stesso tempo, lascia gli Stati membri liberi sia di conservare normative già in

12 Tale obiettivo fu espresso dallo stesso responsabile nei seguenti termini: «ciò che la

direttiva vuole ottenere è l’eliminazione delle distorsioni provocate da norme e da realtà diverse per diversi paesi, attraverso un’istituzione di norme comuni che eliminino le distinzioni tra credito regolato e quello non regolato. Occorre in altre parole mettere tutti sullo stesso piano: i consumatori da una parte, gli erogatori di credito dall’altra. Il nostro obiettivo, insomma, è quello di creare un mercato comune del credito». Il proposito è inoltre

stato trasposto in numerosi considerando premessi al testo della direttiva che si riportano qui di seguito:

- considerando che esistono notevoli divergenze nelle legislazioni degli Stati membri in materia di credito al consumo;

- considerando che le divergenze tra le legislazioni possono provocare distorsioni di concorrenza fra creditori nel mercato comune;

- considerando che queste stesse divergenze limitano la possibilità del consumatore di ottenere un credito in altri Stati membri; che esse influiscono sul volume e sulla natura dei crediti richiesti, nonché sull'acquisto di beni e servizi;

- considerando che pertanto tali divergenze incidono sulla libera circolazione delle merci e dei servizi che il consumatore potrebbe ottenere a credito e ostacolano quindi direttamente il funzionamento del mercato comune;

- considerando che, a motivo dell'aumento del volume del credito concesso ai consumatori nella Comunità, l'istituzione di un mercato comune del credito al consumo gioverebbe in egual misura ai consumatori, ai creditori, ai produttori, ai commercianti all'ingrosso e al dettaglio di beni e ai fornitori di servizi;

- considerando che i programmi della Comunità economica europea per una politica di protezione e d'informazione del consumatore prevedono in particolare che il consumatore deve essere protetto contro condizioni abusive di credito e che è opportuno armonizzare in via prioritaria le condizioni generali relative al credito al consumo;

- considerando che le divergenze tra legislazioni e prassi si traducono, per quanto attiene al credito al consumo, in una tutela diseguale del consumatore nei vari Stati membri;

- considerando che le forme di credito offerte ai consumatori e utilizzate da questi sono cambiate notevolmente negli ultimi anni; che nuove forme di credito al consumo sono state predisposte e sono in continua evoluzione; […]

- considerando che la presente direttiva è intesa a conseguire un certo grado di ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di crediti al consumo nonché un certo livello di protezione del consumatore e pertanto non dovrebbe essere escluso che gli Stati membri possano mantenere o adottare misure più severe per la protezione del consumatore nel rispetto dei loro obblighi derivanti dal trattato».

13 Così anche G. CARRIERO Autonomia privata e disciplina del mercato. Il credito al

consumo, Torino, 2002, p. 32; A.M. CARRIERO-G. CASTALDI, Le direttive comunitarie sul

credito al consumo, in La nuova legge bancaria (a cura di P.FERRO-LUZZI e G.CASTALDI),

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vigore e più avanzate sia di intraprendere per l’avvenire iniziative più co- raggiose, discostandosi e integrando il testo della direttiva 14.

Nel raggiungere una versione che godesse del consenso unanime dei membri del Consiglio sono state infatti incontrate numerose difficoltà. In particolare, l’analisi delle differenti versioni del testo della direttiva che si sono succedute prima della sua definitiva approvazione evidenzia una lunga seria di ostacoli che gli organi comunitari competenti hanno dovuto affrontare per superare le divergenze esistenti tra le legislazioni dei paesi della Comunità in materia di credito al consumo.

Pertanto, nella versione definitiva fu concordato solamente un livel- lo di protezione “minima” da attuarsi in tutti gli Stati membri. Una sorta di minimo comune denominatore della Comunità Europea che, pur non precludendo ai legislatori nazionali la facoltà di adottare una disciplina più incisiva, ha però legittimato il mantenimento di un modello di tutela da più parti giudicato insoddisfacente. Operando in questo modo, oltretutto, la direttiva non ha neppure consentito ai consumatori europei di godere dello stesso livello di protezione: gli ordinamenti che hanno adottato solu- zioni vicine a quelle dell’avant-projet hanno infatti assicurato un grado di tutela più intenso rispetto a quelli che, ancora privi di esperienza in mate- ria consumeristica, si sono accontentati di una disciplina meno incisiva. Oltretutto il persistere di un profondo divario fra le esperienze degli Stati più attenti alle politiche dei consumatori e quelle degli Stati che, come l’Italia, storicamente lo sono stati meno, non ha di fatto favorito la creazio- ne di un mercato unico interno e ha quindi tradito anche la finalità perseguita dalla Commissione 15.

14 Un’indiretta conferma del carattere minimale della tutela assicurata dalla disciplina

comunitaria è rinvenibile nell’art. 15, in cui si è espressamente previsto che la direttiva «non

impedisce agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più rigorose a tutela dei

consumatori». Così A.M. CARRIERO-G. CASTALDI, Le direttive comunitarie sul credito al

consumo, in La nuova legge bancaria (a cura di P.FERRO-LUZZI e G.CASTALDI), Milano, 1996,

p. 1798 e F.CAPRIGLIONE in La disciplina comunitaria del credito al consumo (a cura di F.

CAPRIGLIONE), Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, XV, Roma, 1987, p. 32.

15 Per una più diffusa trattazione di tali aspetti si rimanda al paragrafo dedicato alla

nuova direttiva 08/48/CE e alle motivazioni che hanno indotto la Commissione a riformare la disciplina del credito al consumo.

Tuttavia, proprio sul piano della tutela dei consumatori, a distanza di un ventennio gli stessi organi comunitari hanno preso atto di quanto insoddisfacente sia stato il risultato raggiunto e, ribaltando il principio sinora accolto, hanno abbracciato la tesi opposta, ossia della c.d. “armoniz- zazione massima”, che è stata espressamente inserita nel testo della nuova direttiva sul credito ai consumatori. Anch’esso, tuttavia, non resta esente da numerose critiche che verranno approfondite nel prosieguo.

In sintesi, si possono trarre alcune conclusioni sul metodo adopera- to nella redazione della direttiva. Innanzitutto, come appena detto, la disciplina è di tipo “minimale”, nel senso che contiene una normativa essenziale del fenomeno che ha tralasciato alcuni problemi, non sempre secondari. Essa è inoltre una disciplina “generale” poiché, al di fuori delle fattispecie espressamente escluse, è capace di trovare applicazione poten- zialmente ad ogni forma di credito al consumo; al tempo stesso è “differenziata” visto che non si applica – in tutto o in parte – ad alcuni tipi contrattuali rientranti nella nozione di credito al consumo 16. Se è vero,

infatti, che la direttiva considera credito al consumo come un insieme di fattispecie diverse tra loro e le accomuna in base alla loro simile funzione economica, è anche vero che l’originaria diversità degli schemi adoperati riemerge nel momento della definizione delle specifiche prescrizioni che di tali differenze devono necessariamente tenere conto.