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L’iter legislativo: la prima proposta di direttiva e il parere del Parlamento europeo

La nuova direttiva 08/48/CE sui contratti di credito ai consumator

3.1. Le ragioni dell’intervento comunitario

3.1.1. L’iter legislativo: la prima proposta di direttiva e il parere del Parlamento europeo

Facendo seguito alle menzionate relazioni del 1995 e del 1996 sull’attuazione delle direttive in materia di credito al consumo la Commissione europea ha quindi avviato l’iter per l’approvazione di una nuova direttiva finalizzata alla riforma della disciplina.

Per organizzare la redazione del nuovo testo, la Direzione Generale SANCO ha inizialmente affidato a diversi esperti in materia lo studio di specifiche questioni 11, procedendo poi ad un’analisi dettagliata e compara-

tiva del complesso delle norme nazionali di recepimento. Tali lavori preparatori, confluiti in un documento di sintesi discusso dalla Commis- sione con gli stakeholders nel 2001, hanno confermato l’esistenza di

9 Così G.ALPA-G.CONTE, Riflessioni sul progetto di common frame of reference e sulla

revisione dell’acquis communautaire, in Riv. Dir. Civ., 2008, II, p. 141 e ss.

10 Da segnalare il Parere del Comitato economico e sociale, adottato il 17 luglio 2002 (in

GUC C 241 del 7 ottobre2002), che sottolinea l’opportunità di procedere alla creazione di un diritto contrattuale europeo uniforme e generale, attraverso lo strumento regolamentare, pervenendo dapprima a una soluzione opt-in (strumento vincolante solo se liberamente scelto dalle parti) e solo successivamente, nel lungo termine, a uno strumento opt-out (vincolante in assenza di contraria manifestazione di volontà dei contraenti)

11 Si vedano M.J. LEA-R. WELTER-A. DÜBEL, Study on the mortgage credit in the

European Economic Area. Structure of the sector and application of the rules in the

directives 87/102 and 90/88; R. SECKELMANN, Methods of calculation, in the European

economic area, of the annual percentage rate of charge, final report 31 october 1995; U.

REIFNER-F. DOMONT-NAERT ET A.-C.LACOSTE, Etude sur le problème de l’usure dans certains

états membres de l’espace économique européen, Louvain-la-Neuve 1997; F.DOMONT-NAERT-

P. DEJEMEPPE, Etude sur le rôle et les activités des intermédiaires de crédit aux

consommateurs, 1996; E.BALATE-P.DEJEMEPPE, Conséquences de l’inexécution des contrats

differenze sostanziali tra gli ordinamenti giuridici dei singoli Stati Membri nel settore del credito ai consumatori 12. La Commissione ha perciò ritenu-

to avvalorata la propria tesi secondo cui le differenze di fatto e di diritto venutesi a creare comportano una distorsione della concorrenza tra credi- tori e un ostacolo alla creazione di un mercato interno pienamente integrato e alla possibile fruizione da parte dei consumatori di una più vasta offerta di credito. La Commissione giunge alla conclusione che un simile restringimento potrebbe anche causare una restrizione nella do- manda di beni e servizi, con ogni conseguente effetto negativo per

12 La completa ricostruzione di tale asimmetrie necessiterebbe un’apposita trattazione.

Basti un esempio, con riferimento al diritto di ripensamento. L’attuale situazione vede: la Germania prevede un diritto di recesso (Widerruf) da esercitare entro un termine di sette giorni, che decorre dal momento in cui al consumatore vengono consegnate informazioni leggibili e trasparenti in merito all'esistenza di tale facoltà (§ 7 VerbrKrG.); il Belgio riconosce al consumatore un diritto di "rinuncia" esercitabile entro un termine di sette giorni lavorativi a decorrere dalla firma del contratto quando il contratto è stato firmato in presenza delle due parti fuori della sede del creditore o dell'intermediario del credito ed un diritto di "rinuncia" esercitabile entro un termine di sette giorni lavorativi a decorrere dalla firma del contratto quando esso sia stato concluso il giorno in cui al consumatore sia stata validamente consegnata un'offerta di credito, fatta eccezione per la vendita a rate o la locazione finanziaria (articolo 18 della legge relativa al credito al consumo); in Francia il mutuante può esercitare il diritto di rinuncia rispetto alla propria obbligazione entro un termine di sette giorni a decorrere dalla propria accettazione dell'offerta; l'Irlanda prevede un diritto di recesso esercitabile entro dieci giorni di calendario a decorrere dalla data in cui il consumatore ha ricevuto il contratto di credito. Può rinunciare a tale diritto sottoscrivendo un'apposita dichiarazione; il Lussemburgo riconosce al consumatore il diritto "a rinunciare" al contratto ma solo nel caso di contratti di credito conclusi con un fornitore. Questo diritto di "revoca" del contratto è riconosciuto di diritto e deve essere esercitato entro un termine di due giorni; il Regno Unito prevede un diritto di riflessione (cooling-off period) per i contratti di credito rescindibili (cancellable agreements) ma non per i contratti di credito che sono garantiti da un diritto immobiliare (interest in land), che servono a finanziare l'acquisto di un bene immobile o i crediti ponte, nonché i contratti di credito firmati dal consumatore presso la sede anche temporanea dell'impresa, del creditore o del "negociator": mediatore, venditore, ecc. (cfr. l'art. 67 del Consumer Credit Act ). L'esistenza, il funzionamento e le condizioni per l'esercizio del diritto di recesso/riflessione devono essere comunicati al consumatore all'atto della consegna della copia del contratto o mediante una notifica entro un termine di sette giorni dalla data di stipula del contratto di credito (cfr. artt. 62-64 del Consumer Credit Act). Esistono eccezioni formulate negli "Statutory Instruments". Il creditore deve rispettare una serie di formalità. Il consumatore deve in linea di massima esercitare il proprio diritto entro cinque giorni dalla data di consegna della copia del contratto di credito o dalla data della notifica relativa all'esistenza di tale diritto. Tale termine può essere prorogato fino a quattordici giorni dopo la data di firma del contratto nei casi in cui siano previste eccezioni alla notifica preliminare (art. 68 del Consumer Credit Act). L’Italia non ha introdotto uno specifico diritto di ripensamento per i contratti di credito al consumo.

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l’economia generale 13. Del resto, studi di carattere più generale e compara-

tistico, come quello predisposto da alcuni studiosi europei per la Commissione nell’aprile 2007 14, hanno dimostrato profonde differenze

nelle tecniche legislative di recepimento adoperate dai diversi Stati mem-

13 Varie ricerche hanno evidenziato come regole tra loro contrastanti nei diversi Stati

membri introducano una vera e propria restrizione del mercato, mentre regole uniformi costituiscano una condizione preliminare al mercato comune. Peraltro, è stato ormai accertato che l’incertezza nel campo giuridico implica la sopportazione di diversi costi, su vari livelli. Quanto alle operazioni crossborder, la diversità di sistemi legali impone agli operatori economici di sopportare dei “costi di informazione” necessari per conoscere e adeguarsi alle prescrizioni delle rispettive normative nazionali e, dall’altro lato, rende più incerte e rischiose le relazioni commerciali. In questo senso, da ultimi, H.WAGNER, Costs of Legal Uncertainty:

Is Harmonization of Law a Good Solution? e J. SMITS, The Practical Importance of

Harmonization of Commercial Contract Law; entrambe queste relazioni sono state lette in

dattiloscritto e sono state presentate al convegno “Modern Law for Global Commerce”, svoltosi a Vienna dal 9 al 12 luglio 2007, per celebrare la 40° sessione annuale dell’Uncitral; cfr. pure di H.WAGNER, Economic Analysis of Cross-Border Legal Uncertainty: The Example

of the European Union, in The Need for a European Contract Law. Empirical and Legal

Perspectives, a cura di J.SMITS, Groningen, p. 25 e ss.

Tuttavia, da parte di alcuni e soprattutto nell’area di common law, vengono minimizzati gli ostacoli che dalla diversità delle regole giuridiche possono derivare allo sviluppo delle relazioni commerciali; per un riassunto di queste posizioni cfr. H.MCKENDRICK,

Harmonisation of European Contract Law: The State We Are In, in S. Vogenauer-S.

Weatherill, a cura di, The Harmonisation of European Contract Law. Implications for

European Private Laws, Business and Legal Practise, Oxford e Portland, 2006, p. 21 e ss.;

non ritiene sufficientemente provato l’argomento secondo cui l’armonizzazione comporterebbe la riduzione dei costi transattivi R. van den Bergh, Forced Harmonization of

Contract Law in Europe: Not to be Continued, in S.GRUNDMANN-J.STUYCK, a cura di, An

Academic Green Paper on European Contract Law, The Hague 2002, p. 249 e ss.; osserva N.

REICH, Competition between Legal Orders: a new Paradigm of EC Law?, in Comm. mark.

law rev., 1992, p. 861, che la diversità di sistemi legali può indurre effetti benefici sulla

concorrenza nel mercato.

14 Cfr. H.SCHULTE-NOLKE, EC law compendium, a comparative analysis, Università di

Bielefeld, 2007 che in modo estremamente analitico e trasversale analizza prima le differenze generali di approccio di ogni legislatore nazionale nei confronti della disciplina comunitaria e poi le divergenze esistenti negli ordinamenti giuridici degli Stati membri con riferimento alla disciplina di recepimento di alcune direttive comunitarie (tra cui però non figura quella sul credito al consumo) e di alcuni concetti ad esse comuni, quali le definizioni di consumatore e professionista, il diritto di recesso e gli obblighi informativi.

Le conclusioni a cui giunge tale rapporto è che spesso lo stesso diritto comunitario a presentare delle incoerenze e ambiguità che rendono difficile la sua corretta trasposizione all’interno dei singoli ordinamenti giuridici. Inoltre, lo studio conferma l’ampia divergenza esistente tra le varie normative nazionali, spesso determinata dalla necessità di colmare lacune lasciate aperte dallo stesso legislatore comunitario attraverso un diffuso ricorso alla clausola minima. Schulte-Nolke suggerisce pertanto di rivedere e uniformare le incongruenze rilevate nelle definizioni impiegate da tutte le direttive e di adottare un approccio di tipo “orizzontale” così da prevedere norme di generale applicazione a tutti i contratti collegati alle esigenze di consumo.

bri, nella tempestività del recepimento medesimo, nell’uso della clausola minima e quindi delle normative vigenti.

La scelta di pervenire ad un’armonizzazione completa risiede allora proprio nella necessità di assicurare un alto, ma soprattutto equivalente, livello di tutela ai consumatori europei così da creare un effettivo mercato unico europeo. È dalla necessità di superare le barriere frapposte agli scambi transfrontalieri dalla diversità delle regole giuridiche che nasce l’impulso all’armonizzazione delle regole di diritto. La differente regola- mentazione dei rapporti giuridici– o, mutuando una locuzione nota in altri contesti, l’ “asimmetria” normativa – esistente tra gli Stati membri viene considerata come un costo, un onere che rende più difficili gli scambi all’interno della Comunità. Con l’armonizzazione massima gli Stati mem- bri vengono quindi privati della facoltà di mantenere o di introdurre norme che si discostino da quelle delineate nella direttiva fin tanto che ciò non sia espressamente autorizzato. Ovviamente, un simile obiettivo solleva problemi di politica e tecnica normativa, che coinvolgono innanzitutto l’elaborazione di disposizioni che vogliano e possano essere efficacemente recepite in tutti i Paesi membri e da cui possano tarsi interpretazioni ed applicazioni sostanzialmente coincidenti, con particolare riguardo alla previsione di vincolanti controlli ed adeguate ed effettive sanzioni.

Il lavoro della Commissione è sfociato, nel settembre del 2002, in una prima proposta di “Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli stati membri in materia di credito ai consumatori” 15.

La proposta così elaborata, pur presentando un ampliamento dell’ambito applicativo rispetto alla precedente direttiva, ha sollevato numerose per- plessità con riferimento ad alcune sue nuove previsioni 16. È stata inoltre

aspramente criticata sia dai rappresenti dell’industria finanziaria, in quan-

15 COM(2002) 443 def. dell’11 settembre 2002, pubblicato in GU C-331 del 31 dicembre

2002. Cfr. A. COSTA, La riforma della disciplina sul credito ai consumatori, in I Contratti, 2005, VII, p. 721 e ss.

16 Per tutti si v. G.CARRIERO, Verso una nuova direttiva sul credito ai consumatori, in

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to poneva a carico del professionista degli oneri ritenuti insostenibili (pri- mo fra tutti quello del “prestito responsabile”) 17, sia dai rappresentanti dei

consumatori, per la scelta della massima armonizzazione (che potrebbe paralizzare l’introduzione di nuove norme a tutela della parte debole) e per il mancato raggiungimento di una disciplina volta ad evitare e a risolvere il problema del sovrindebitamento.

Nondimeno, l’articolato procedimento di codecisione dettato dall’art. 251 del Trattato ha evidenziato posizioni molto distanti anche tra gli organi istituzionali chiamati a esaminare le disposizioni contenute nella proposta di direttiva. Non tutti, infatti, concordavano sulle modalità con cui tradurre le intenzioni espresse dalla Commissione nel testo della pro- posta. Quest’ultima, dunque, dopo essere stata sottoposta ad alcune critiche nel parere redatto dal Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) 18, ha subito una radicale modifica ad opera del Parlamento euro-

peo 19 che, approvando ben 152 emendamenti in prima lettura, ne ha

riscritto gran parte del testo.

Questi, in estrema sintesi, erano i contenuti della proposta.

(i) In via generale, veniva ampliato l’ambito d’applicazione della disci- plina sul credito al consumo. Nella prima versione, infatti, la Commissione aveva deciso di rimuovere quasi tutte le limitazioni previste dalla prece- dente direttiva, che ne circoscrivevano l’àmbito applicativo, relative alle soglie, ai massimali, alle ipotesi di credito erogato a titolo gratuito e così

17 Per un commento della proposta di direttiva del 2002 che mette in luce le

contestazioni mosse dal settore bancario si v. E. GRANATA, La proposta di direttiva sul

credito al consumo: il punto di vista della banche europee, in Bancaria, IV, 2003, p. 46.

18 Il documento, pubblicato in GUCE n. C-234 del 30 settembre 2003, è stato elaborato

dalla sezione “Mercato unico, produzione e consumo (INT)” ed approvato dal CESE pressoché all’unanimità. L’approvazione della direttiva prevede, ex art. 95 del Trattato, che il Comitato Economico e Sociale Europeo formuli un parere in merito alla proposta avanzata dalla Commissione. Tale parere, presentato il 17 luglio 2003, ha espresso commenti generalmente positivi sull’iniziativa, evidenziando tuttavia una serie di incongruenze e di lacune del testo adottato.

19 P5_TA(2004) 297 del 20 aprile 2004, recante la risoluzione legislativa del

Parlamento europeo sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito ai consumatori.

via 20. Gli unici contratti di cui veniva confermata l’esclusione erano quelli

che, per natura, finalità o struttura, non avrebbero giustificato il ricorso alle forme di tutela fissate dalla disciplina di protezione. Restavano quindi fuori da raggio d’azione della proposta i contratti relativi all’acquisto o alla trasformazione di beni immobili, quelli di locazione in cui non fosse previ- sta la facoltà di trasferimento della proprietà a favore del conduttore e, infine, quelli conclusi a titolo gratuito con obbligo di restituzione entro un termine non superiore a tre mesi o rispondenti a precisi requisiti di acces- sorietà. Inoltre, relativamente ai contratti di credito concessi sotto forma di anticipo in conto corrente e ad altri specificamente individuati 21, la

Commissione, pur non disponendo una loro totale esclusione, propendeva per sottoporli ad un regime “leggero” di informazione precontrattuale e contrattuale che, in sostanza, sottoponeva tali fattispecie ai soli artt. 6 e 7 del testo comunitario.

Tuttavia, a seguito della riformulazione dell’art. 3 sulla base degli emen- damenti approvati dal Parlamento europeo, le limitazioni elencate nel 2° comma del medesimo articolo aumentavano nuovamente, venendo reinse- riti – e quindi esclusi dalla disciplina del credito al consumo – oltre alle fattispecie sopra esposte, anche i contratti di credito certificati da un’autorità pubblica, quelli conclusi con agenzie di prestiti su pegno e quelli di importo superiore a € 100.000.

(ii) Da un punto di vista soggettivo, una vera innovazione era rappre- sentata dall’esplicita estensione della disciplina di tutela anche a favore del fideiussore di un contratto di credito al consumo. Con tale previsione veni- va infatti a colmarsi una lacuna resasi evidente in seguito alla sentenza della Corte di giustizia del 23 marzo 2000. Quest’ultima, pronunciandosi

20 Si tratta dell’elenco descritto analiticamente nel paragrafo a p. 84 (cfr. § 2.2.3. Le

fattispecie escluse).

21 Precisamente quelli di importo inferiore a € 300, o concessi a un pubblico limitato ad

un tasso d’interesse inferiore a quello abitualmente proposto sul mercato o a tasso zero quando il creditore adempie un obbligo istituzionale con finalità di interesse generale, da talune associazioni senza fini di lucro o destinati a rifinanziare i debiti esistenti di un consumatore al fine di evitare un’azione giudiziaria e che non abbiano la conseguenza di peggiorare la situazione del consumatore.

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nella causa C-208/98, aveva escluso che all’interno della nozione di con- tratto di credito prevista dall’attuale normativa potesse essere ricompreso il contratto di fideiussione con cui un consumatore garantisce il beneficia- rio del finanziamento. Una simile interpretazione della precedente direttiva 87/102/CEE comprometteva gravemente la posizione del fideius- sore, che pur venendosi a trovare esposto ai medesimi rischi gravanti sul debitore principale, non usufruiva dello stesso tipo di tutela prevista dalla direttiva per il contratto garantito.

Riprendendo le argomentazione svolte dinanzi alla Corte, la Commissione aveva quindi esplicitamente previsto tale fattispecie all’interno della pro- posta, disegnando una tutela specifica per quelle persone che, prestando garanzia o impegnandosi come condebitori, avessero partecipato al con- tratto di credito al fianco del mutuatario e, quindi, in una posizione del tutto analoga a quella di quest’ultimo. Va inoltre precisato che con il ter- mine “contratto di fideiussione” si voleva in realtà ricomprendere qualsiasi forma di garanzia, sia di natura personale che reale, e tutte le transazioni di credito, anche quelle concluse per finalità professionali, a patto che fosse il fideiussore ad agire per finalità non inerenti alla professione even- tualmente svolta.

(iii) Altro aspetto a cui il legislatore comunitario dedicava particolare attenzione era la correttezza e trasparenza delle comunicazioni commer- ciali e delle informazioni precontrattuali. Oltre alla necessità di rendere realmente informativo il messaggio promozionale, in modo da definire con chiarezza le effettive condizioni del contratto di credito prima del sorgere del vincolo contrattuale, l’imposizione di obblighi informativi di natura precontrattuale risultava preordinata a rendere comparabili le diverse offerte e quindi a promuovere la concorrenza all’interno di un mercato transfrontaliero del credito al consumo.

Pertanto, in tema di pubblicità, l’art. 4, denominato “informazioni di base”, prevedeva che ogni comunicazione commerciale relativa a contratti di credito indicasse in forma chiara, concisa e graficamente evidenziata con l’impiego di un esempio rappresentativo, l’importo totale del credito, il