• Non ci sono risultati.

La disciplina del credito al consumo in Italia

2.5. Le vicende del rapporto contrattuale

2.5.1. L’inadempimento del compratore

Il 1° comma dell’art. 125 del TUB 220 stabilisce che a fronte di un contratto

di credito al consumo per cui sia stato concesso un diritto reale di garanzia

220 La direttiva all’art. 7 stabilisce che «in caso di crediti concessi per l’acquisizione di

beni, gli Stati membri stabiliscono le condizioni alle quali il bene può essere recuperato, in particolare quando il consumatore non abbia dato il suo consenso. Essi curano inoltre che, quando il creditore rientra in possesso del bene, i conteggi fra le parti siano stabiliti in modo che tale recupero non comporti un ingiustificato arricchimento». Rispetto alla previsione

della Proposta del 1984 scompare ogni riferimento all’emanazione di norme volte ad evitare un ingiustificato danno per una delle parti dalla risoluzione anticipata del contratto. Ipotesi questa di gran rilievo vista l’inapplicabilità al credito al consumo dell’art. 1526 cod.civ. (Così G. CARRIERO, Il credito al consumo, in Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, Roma,

1998, p. 133.).

Sembrerebbe dunque essere stata sancita, in sede comunitaria, la liceità per il creditore di procedere all’esecuzione sul bene, trattenendo le rate già riscosse, e di chiedere altresì il versamento dell’eventuale residuo. Il richiamo operato dalla direttiva all’ingiusto arricchimento non troverebbe perciò alcun elemento di specialità nella disciplina garantista del consumatore essendo un rimedio generalmente esperibile proprio ogni qual volta il danneggiato non abbia altra azione idonea a rendere giustizia del pregiudizio subito. Il carattere sussidiario dell’azione, già enunciato dall’art. 2042 cod.civ., non limita infatti il suo àmbito di ammissibilità che, anzi, è generalmente riconosciuto come molto ampio. O piuttosto il richiamo all’ingiustificato arricchimento andrebbe inteso invece in senso lato, e non in quello proprio dell’istituto di cui all’art. 2041 cod.civ., sostanziandosi nell’affermazione di un principio ben noto in ambito esecutivo, potendo il pignorante concorrere sul ricavato della vendita del bene entro il limite del proprio credito.

Trattasi dunque di una norma, l’art. 7 della direttiva, molto meno favorevole al consumatore (G. CARRIERO, Il credito al consumo, in Quaderni di ricerca giuridica della Banca

- 164 -

sul bene acquistato con l’importo finanziato, trovino applicazione le norme dettate dall’art. 1525 cod.civ. in tema di vendita con patto di riserva della proprietà. Mediante il rinvio alla norma del codice civile si vuole perciò escludere l’applicabilità dell’art. 1819 cod.civ. a quei contratti di mutuo che presentano con il contratto di compravendita una forte connessione, data dalla garanzia reale sul bene. In tal caso, il mancato pagamento di una rata che non superi l’ottava parta del prezzo non può quindi dar luogo a risolu- zione del contratto, pur in presenza di un’apposita clausola risolutiva espressa.

Problemi interpretativi si pongono innanzitutto per il riferimento al prezzo quale parametro su cui calcolare l’ottava parte. Nella vendita a rate, infatti, il prezzo assume un significato preciso, inteso a quantificare l’importo dell’obbligazione di pagamento nascente dalla compravendita. Nel trasporre la norma in materia di credito al consumo ci si può chiedere invece se esso vada riferito al prezzo del bene, al solo importo finanziato ovvero al totale del finanziamento comprensivo di quota capitale ed inte- ressi. Da parte della dottrina la maggior parte dei consensi si sono avuti per quest’ultima ipotesi, dato che nella vendita rateale il prezzo è com- prensivo della quota di interessi derivante dalla dilazione 221. Rimarrebbe

abbisognerebbe di alcun esplicito recepimento. Diversa soluzione è stata prospettata leggendo l’espressione in senso atecnico (così G. CARRIERO, Il credito al consumo, in Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, Roma, 1998, p. 134, e sempre G. CARRIERO, Autonomia privata e

disciplina del mercato. Il credito al consumo, Torino, 2002 p. 34) e quindi vincolando il

legislatore nazionale alla precisazione di un contenuto di tutela più specifico rispetto al generico rinvio all’arricchimento senza causa e più somigliante alle disposizioni già esistenti in materia di vendita con riserva di proprietà, in particolare agli artt. 1525-1527 cod.civ. Altra questione è il valore da attribuire all’inciso «quando il consumatore non abbia dato il suo

consenso», che sembrerebbe un richiamo a prefigurare un diverso regime giuridico a seconda

della presenza o meno dell’assenso al recupero del bene. La disposizione resta tuttavia oscura sia che la si interpreti nel senso che il consenso, quale condizione al recupero del bene, debba essere preventivo all’ipotesi di inadempimento sia che avvenga solo in un momento successivo (Così G. CARRIERO, Il credito al consumo, in Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, Roma, 1998, p. 134 e ss.). Giova in ogni caso ricordare che, per gli autoveicoli, l'art. 2, 2° comma, del r.d.l. 15 marzo 1927 n. 436 prevede l’ipoteca legale, a favore del finanziatore che abbia versato in tutto o in parte il prezzo al venditore di autoveicoli (c.d. privilegio automobilistico).

221 v. G. DE NOVA, Disposizioni varie, in La nuova legge bancaria (a cura di P.FERRO-

LUZZI e G.CASTALDI), Milano, 1996, p. 1877; G. CARRIERO, Autonomia privata e disciplina del

escluso quindi solo l’eventuale acconto pagato dal consumatore e non rientrante nell’importo finanziato.

Nell’accogliere favorevolmente la norma in commento appare tutta- via discutibile la prevista limitazione ai soli casi in cui sia stato concesso un diritto reale di garanzia. Certamente tali ipotesi si presentano come situa- zioni in cui il compratore potrebbe subire un pregiudizio maggiore in relazione al mancato versamento di una sola rata.

Ma la norma appare ingiustamente restrittiva nel non riconoscere simile protezione anche ad altre fattispecie. Si tenga presente che alcuni contratti prevedono che la decadenza dal beneficio del termine si verifichi in presenza di inadempimento ad uno qualsiasi degli obblighi derivanti dal contratto né è concesso al consumatore il diritto di evitare la decadenza regolarizzando i pagamenti dovuti. Spesso, inoltre, è previsto che la deca- denza dal beneficio del termine nell’ambito di un determinato rapporto di finanziamento si estenda anche ad eventuali altri rapporti che intercorrano con il medesimo finanziatore, benché nessun inadempimento si sia verifi- cato rispetto a questi ultimi. Tale condotta potrebbe avere delle conseguenze estremamente pregiudizievoli per il consumatore che, chia- mato a rimborsare immediatamente e in un solo versamento tutte le linee di credito aperte, rischia per un singolo ritardo di essere messo economi- camente in ginocchio.

La validità di queste considerazioni è confermata soprattutto se si osserva la maggior ampiezza del precetto contenuto nell’art. 7 della diretti- va comunitaria 222 che, in tal senso, non deve ritenersi recepito

pienamente 223. In ogni caso, poiché tali disposizioni creano un significati-

222 Secondo il quale «in caso di crediti concessi per l'acquisizione di beni, gli Stati

membri stabiliscono le condizioni alle quali il bene può essere recuperato, in particolare quando il consumatore non abbia dato il suo consenso. Essi curano inoltre che, quando il creditore rientra in possesso del bene, i conteggi tra le parti siano stabiliti in modo che tale recupero non comporti un ingiustificato arricchimento».

223 V. G. ALPA, L’attuazione della direttiva sul credito al consumo, in Contratto e

Impresa, 1994, p. 13;G.CARRIERO, Autonomia privata e disciplina del mercato. Il credito al

- 166 -

vo squilibrio nel rapporto tra le parti, esse potranno essere sottoposte al vaglio dell’art. 33, 1° comma, cod.cons.

2.5.1. Le garanzie e le clausole attinenti alla responsabilità del