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li che appaiono altrettanto idonei a realizzare l’interesse sociale all’ingresso in società di un

nuovo socio ma non ledono l’interesse del socio altrimenti pretermesso dall’aumento di capi- tale (cfr., seppure in base ad argomentazioni diverse, R.ROSAPEPE, L’esclusione del diritto di

opzione degli azionisti, Milano, 1988, p. 57 e 70 ss.; F.M.MUCCIARELLI, Interesse sociale ed

esclusione del diritto d’opzione: spunti di riflessione sulla logica dell’argomentazione del giu- dice, in Giur. comm., 2002, I, p. 455 ss., in part. 469). Con riferimento a quanto qui interessa, l’accoglimento di questa seconda lettura – più restrittiva – dell’art. 2441, co. 5, condurrebbe all’invalidità della deliberazione di aumento di capitale strumentale all’attribuzion di stock option o di restricted stock agli amministratori qualora il medesimo risultato potesse essere conseguito, con il medesimo costo, utilizzando azioni acquistate sul mercato secondario piut- tosto che azioni di nuova emissione.

(360) Cfr. infra, capitolo III par. 3.

(361) Perché risultino destinate a chi, detenendo una quota significativa del capitale, già partecipa in misura rilevante al risultato d’impresa, né sussistano esigenze di liquidità che giustifichino tale scelta. Cfr. supra, capitolo II par. 2 ss.

(362) Cfr. P.G. JAEGER, L’interesse, cit., p. 223.

(363) Il riconoscimento da parte dell’ordinamento di tali interessi, sia nelle società “aper- te” sia in quelle “chiuse”, come interessi sociali (se si condivide la concezione contrattualisti- ca: cfr., per tutti, D.PREITE, op. cit., p. 42, e F.GUERRERA, La responsabilità, cit., p. 188 ss.;

289 e 387 ss.) o in ogni caso come situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela (cfr. V. ALLEGRI, L’amministrazione e il controllo, in Aa. Vv., Diritto commerciale, Bologna, 2004, p. 182), si desume – oltre che dalla considerazione sistematica della rilevanza che essi assumono a priori, nel momento in cui il socio decide di investire nella società – anche dal dato positivo: dall’art. 2441 in relazione agli aumenti di capitale (cfr. la dottrina citata supra, in questo capi- tolo nt. 359); dall’art. 2357, 2° co., e 2357-ter, in caso di atti di disposizione su azioni proprie (cfr. F.CARBONETTI,L’acquisto di azioni proprie, Milano, 1988, p. 126; F.GUERRERA, Abuso,

p. 276 ss.;G.PARTESOTTI, Le operazioni sulle azioni, in Tratt. soc. az. a cura di G.E. Colom-

bo e G.B. Portale, Torino, 1991, 2, I, p. 428; D.PREITE, op. cit., p. 150 e 158); dall’art. 2506-bis, co. 4, in caso di scissione con ripartizione non proporzionale delle partecipazioni (cfr. G. SCOGNAMIGLIO, Le scissioni, in Tratt. soc. az. a cura di G.E. Colombo e G.B. Portale, Torino, 2004, 7, II, 2, p. 174 ss.); dall’art. 2376, se si ritiene che la nozione di pregiudizio ivi menziona- ta sia estesa anche al danno indiretto (cfr. in tal senso F. D’ALESSANDRO, Le categorie di a- zioni e gli aumenti di capitale, in Giur. comm., 1990, I, p. 586).

sembra rientrare agilmente nel paradigma dell’ “abuso della regola di maggioranza” (364), sia che con tale formula si faccia riferimento alle ipotesi di violazione del principio di buona fede e correttezza sia che si fondi tale causa di invalidità sulla figura dello sviamen- to di potere sia, infine, che si faccia riferimento ad un’applicazione estensiva dell’art. 2373 (365).

9.1.2. (segue) invalidità per violazione della “parità di trattamento”. ⎯ Se il ricorso al divieto di abuso della maggioranza rappresenta un’opzione percorribile ai fini del con- seguimento della tutela invalidante, non va del resto trascurato che appare quanto meno plausibile una linea argomentativa alternativa, la quale, facendo perno su principi diversi da quello di correttezza e buona fede, consente all’impugnante ex art. 2377 cod. civ. di be- neficiare di una posizione di chiaro favore sul piano probatorio.

Ci si riferisce alla possibilità di sostenere che la clausola di salvaguardia del “principio di parità di trattamento” dei soci portata dall’art. 42 della seconda direttiva comunitaria in materia societaria (366) si estenda non solo alle ipotesi di aumento e riduzione di capitale ma a tutte le operazioni disciplinate dalla direttiva, e dunque anche alle transazioni della società su azioni proprie, si tratti di acquisto dai soci o di vendita agli stessi.

(364) È da escludere che la delibera in questione possa ritenersi viziata per contrasto con il “principio di parità di trattamento” portato dall’art. 2348. La norma stabilisce difatti un di- ritto alla parità di trattamento dei diritti collegabili a ciascuna azione, non dispone un diritto alla parità di trattamento degli azionisti (ma sull’applicazione del principio di parità di trat- tamento in applicazione della seconda direttiva societaria si veda anche quanto detto nel pa- ragrafo successivo). Con riferimento alla distinzione elaborata nella dottrina tedesca tra Glei- chberecthigung (parità di trattamento dei diritti) e Gleichbehandlung (parità di trattamento degli azionisti), cfr. C. ANGELICI, Parità di trattamento degli azionisti, in Riv. dir. comm., 1987, I, p. 1 ss.; ID., Le azioni, in Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 1992, p. 79, e

D.PREITE, op. cit., pp. 43 e 93, i quali peraltro qualificano la disparità di trattamento degli a- zionisti come un indice sintomatico utilizzabile ai fini della valutazione di buona fede. In ar- gomento cfr. anche F. D’ALESSANDRO, La parità di trattamento degli azionisti, in Riv. soc.,

1987, I, ora confluito in ID., Scritti di Floriano d’Alessandro, Milano, I, 1997, da cui si cita, p. 467, e M.CASSOTTANA, L'abuso di potere, p. 105.

(365) Cfr. per riferimenti bibliografici supra, nt. 358. La medesima facilità di accesso alla tutela invalidante per abuso di maggioranza non sembra invece configurabile nel caso sopra ipotizzato di attribuzione di stock option su società del gruppo: ben più ardua, se non impos- sibile, appare infatti la dimostrazione (ex ante) che nel caso concreto l’operazione sia finaliz- zata ad indurre gli amministratori a gestire la società a vantaggio esclusivo delle altre società del gruppo a cui si riferiscono le stock option. La tutela degli azionisti delle società compo- nenti il gruppo non può allora che essere rimessa (ex post) all’applicazione della nuova disci- plina sull’ «attività di direzione e coordinamento».

(366) L’art. 42 della direttiva dispone che «per l’applicazione della presente direttiva le le- gislazioni degli Stati membri salvaguardano la parità di trattamento degli azionisti che si tro- vano in condizioni identiche».

L’assunto, per vero non del tutto pacifico (367), ha una portata applicativa di assoluto rilievo per quanto qui concerne.

Discenderebbe infatti da esso un’importante inversione dell’onere della prova nel giu- dizio di impugnazione ex art. 2377: incomberebbe alla società, e non al socio che impu- gna, dimostrare che la deliberazione assembleare attributiva a soci-amministratori di stock

option o di restricted stock mediante utilizzo di “azioni proprie” (368) è effettivamente

motivata da una giustificata finalità di incentivazione degli amministratori e dunque non si è in presenza di una disparità di trattamento di soci «che si trovano in condizioni identi- che», ché i soci non sono controparti della società in quanto tali ma in quanto amministra-

tori.

Qualora invece la dimostrazione in considerazione non fosse fornita, la deliberazione dovrebbe ritenersi annullabile per «non conformità ad un principio generale dell’organizzazione dell’attività comune» (369) quale è il principio di parità di trattamento se, si ripete, si condivide l’assunto di partenza circa l’estensione della portata programma- tica (370) dell’art. 42 anche alla materia delle operazioni su azioni proprie.

(367) Pur riconoscendo che il principio di parità di trattamento si applichi, ex art. 42 della citata direttiva, anche alle operazioni sulle azioni proprie, si potrebbe in ipotesi obiettare che esso è vincolante solo per gli acquisti di azioni proprie e non per la loro alienazione poiché la direttiva nulla dispone circa questo secondo tipo di operazioni (di recente sull’art. 19 della di- rettiva e sul suo recepimento v. B.POZZO, L’acquisto di azioni proprie, Milano, 2003, p. 199 ss.). Tuttavia, l’obiezione ipotizzata non convince nella misura in cui si fonda su un approccio affatto formale e risulta avulsa dall’assetto di interessi che la direttiva intende tutelare con la disciplina delle operazioni su azioni proprie. In tal senso depongono le considerazioni di F.

D’ALESSANDRO, La seconda direttiva, cit., p. 471, il quale pone in termini generali il problema

di come il principio di parità di trattamento degli azionisti sancito dall’art. 42 possa essere ef- fettivamente garantito nelle ipotesi in cui la società compra o vende a soci azioni proprie, e di M.CASSOTTANA, op. cit., p. 101, il quale sottolinea come «la garanzia di trattamento paritario tra gli azionisti, imposta ai Paesi aderenti alla CEE, corrisponda all’ambito della disciplina dettata dalla direttiva». Si deve peraltro ricordare che autorevole dottrina ha, seppur inciden- talmente, notato che il preambolo della direttiva circoscrive il principio alla sola «materia di aumento e riduzione del capitale» e sembrerebbe dunque confinare l’ambito di applicazione del principio portato dall’art. 42 a tali fattispecie: così C.ANGELICI, Inquadramento della di- rettiva negli ordinamenti dei paesi CEE, in Riv. dir. civ., 1986, I, p. 553 e G.OPPO, Il decreto

di attuazione in Italia. Rilievi sistematici, ibid., p. 577. Da ultimo, per un’applicazione dell’art. 42 della direttiva estesa a tutte le materie ivi disciplinate si sono espressi M.BIONE, sub art.

2357, inAA.VV., Società di capitali. Commentario, cit., p. 353, e F.M.MUCCIARELLI,Sulla pa- rità di trattamento nelle società quotate, in Riv. soc., 2004, p. 180 ss.

(368) Si è già osservato (v. supra, in questo capitolo nt. 359) come tale onere gravi già sul- la società nel caso vengano attribuite stock option mediante un aumento di capitale delibera- to ex art. 2441, co. 5.

(369) Così P.FERRO-LUZZI, La conformità delle deliberazioni assembleari alla legge ed all’atto costitutivo, Milano, 1976, rist. inalt. 1993, p. 166.

(370)G.MARASÀ, La seconda direttiva CEE in materia di società per azioni, in Riv. dir. civ., 1978, p. 679, ove si sottolinea che «l’art. 42…pur redatto in termini non direttamente pre-

9.2. L’azione di risarcimento prevista dall’art. 2377, co. 4, cod. civ. ⎯ Esposti i pre- supposti di fatto e le ragioni di diritto in base alle quali l’azionista di minoranza può im- pugnare ora per conflitto di interesse, ora per abuso della maggioranza, ora per violazione della parità di trattamento, le deliberazioni assembleari qui prese in considerazione, resta da ultimo da ricordare che la riforma ha limitato l’accesso alla tutela invalidante ex art. 2377 alle sole “minoranze qualificate”.

L’articolo appena citato consente infatti l’impugnazione solo ai soci che, anche con- giuntamente, rappresentino una certa percentuale del capitale sociale (371) – salvo che lo statuto riduca o elimini tale requisito ex art. 2377, co. 2 – e riconosce ai soci che non rag- giungano detta quota (372) il “diritto al risarcimento del danno loro cagionato dalla non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto” (art. 2377, co. 4) (373).

Tale restrizione nel ricorso alla tutela invalidante impone di domandarsi, per quanto qui interessa, se i soci che non possiedano una partecipazione pari a quella indicata dall’art. 2377, co. 2, (o dalla statuto) possano agire ai sensi dell’art. 2377, co. 4, nei con- fronti della società per il risarcimento del danno loro cagionato dalla non conformità (a se- conda dei casi sopra presi in considerazione: per conflitto di interesse o per abuso della maggioranza o per violazione della parità di trattamento) alla legge o allo statuto della de-

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