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re i «compensi» corrisposti agli amministratori nella nota integrativa al bilancio, impone, ora

come allora, alle società di redigere uno schema in cui siano specificamente riportate le stock option e gli elementi che caratterizzano il piano di assegnazione.

(274) Cfr. in tal senso G.ACERBI, op. cit., p. 1233; C.ANGELICI, Le azioni, in Il Codice Civile. Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 1992, p. 92;B. VISENTINI, Azioni di

società, in Enciclopedia del diritto, vol. IV, Milano, 1959, p. 980; R.WEIGMANN, Azionariato dei dipendenti, in Dig. Disc. Priv., sez. comm., Torino, 1987, p. 123.

dipendenti della società o di società controllata. La norma citata viene infatti unanimemen- te considerata come disposizione (almeno nella sua genesi storica) eccezionale e da ciò si inferisce che l’interpretazione della medesima «deve essere circoscritta al “significato proprio” della parola “dipendente”», escludendo quindi i collaboratori della società che non siano lavoratori dipendenti della medesima (275).

V’è tuttavia da osservare che nell’ambito dell’ampia categoria dei “collaboratori non dipendenti” gli amministratori della società occupano una posizione del tutto peculiare. Difatti, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (276) (seppur disattesa da al- cune Corti di merito) (277) e una parte della dottrina (278), l’attività resa dall’amministratore rientra, quanto meno sul piano processuale, nella categoria dei rappor- ti di collaborazione continuativa e coordinata presi in considerazione dall’art. 409, n. 3, cod. proc. civ. (i cc.dd. rapporti di parasubordinazione). A prescindere da ogni giudizio sulla condivisibilità o meno di questo indirizzo giurisprudenziale (279), si deve qui rileva- re che è proprio da esso che si può trarre lo spunto per sostenere la legittimità dell’inclusione anche degli amministratori nell’ambito dei “dipendenti” che hanno facoltà di beneficiare del regime di favore previsto dall’art. 2349. Siffatta impostazione potrebbe difatti giustificarsi sotto il profilo formale osservando che la norma è stata formulata, e tra- latiziamente ripresa dal legislatore della riforma, in un momento storico in cui la figura del

(275) Così espressamente G.ACERBI, op. cit., p. 1213, e implicitamente gli Autori citati

nella nota precedente.

(276) Ex plurimis cfr. Cass. sez. un. 14 dicembre 1994, n. 10680, in (ex multis) Giur. it., 1995, I, 1, c. 1524, e, da ultimo, Cass. 14 dicembre 2000, n. 1662, in Mass., 2000; contra, prima della pronuncia delle Sezioni Unite, v. Cass. 19 luglio 1991, n. 9788, in Foro it., I, c. 1804, e Cass. 23 agosto 1991, n. 9076, in Mass., 1991.

(277) V. Trib. Roma, 3 giugno 1996, in Società, 1996, p. 1193, e in Foro. it., 1996, I, c. 3205 con nota di R.RORDORF; Trib. Milano 21 novembre 1996, in Società, 1997, p. 221; Trib. Mila- no, 3 novembre 1997, in Corr. giur., 1998, p. 177; Trib. Bologna, 4 luglio 2002, in Società, 2003, p. 1140, con commento diF.COLLIA.

(278) Per una ricognizione critica dei diversi orientamenti in dottrina, e per una rassegna della coposia giurisprudenza in argomento, cfr. F.BUSONI, Il compenso dell’amministratore

tra privilegio e revocabilità, in Nuova giur. civ., 2002, II, p. 265; A.L.BONAFINI, Divagazioni sul credito retributivo dell’amministratore di s.p.a., in Giur. comm., II, 2004, p. 316 ss.

(279) Una presa di posizione richiederebbe una disamina, che l’economia del presente la- voro non consente di condurre, circa i requisiti che connotano la parasubordinazione in rela- zione al rapporto di amministrazione e alle molteplici configurazioni che quest’ultimo può nella fattispecie concreta assumere. Si consideri peraltro che la soluzione del problema è ora resa ancora più incerta dall’art. 1, co. 1 lett. a) del d.lgs. 5/2003, che definisce l’ambito di ap- plicazione del nuovo rito societario con terminologia ampia, riferendosi a tutte le controversie relative a «rapporti societari»: sulla base di tale formulazione si potrebbe argomentare che an- che la controversia relativa al rapporto tra società e amministratore sia soggetta al nuovo rito societario.

lavoratore parasubordinato non aveva ancora riconoscimento sociale e giuridico e sarebbe pertanto plausibile un’interpretazione adeguatrice dell’art. 2349 che estendesse il campo di applicazione della medesima a soggetti che, sul piano processuale, sono considerati legati alla società da un rapporto di “parasubordinazione” e, sul piano fiscale, sono addirittura assimilati ai lavoratori dipendenti (280). Sotto il profilo sistematico poi l’interpretazione proposta potrebbe ritenersi coerente con la ratio sottesa all’art. 2349, perché le medesime esigenze di fidelizzazione e di incentivazione che sono sottese all’attribuzione di azioni ai lavoratori dipendenti (281) si manifestano – sia sul piano giuridico sia su quello economi- co – anche con riferimento agli amministratori, i quali forniscono alla società una presta- zione che: è diretta a soddisfare un interesse della società durevole nel tempo; presenta una spiccata caratterizzazione “personale”; è strutturalmente e funzionalmente correlata con l’attività e con i fini economico-giuridici per la realizzazione dei quali la società è stata costituita e opera. Né va infine dimenticato, sul piano sostanziale, che il pericolo di abusi che si potrebbe paventare rispetto a tale soluzione da un lato è mitigato dalla necessità di una previsione statutaria ad hoc in ordine alla possibilità di ricorso all’art. 2349, dall’altro non è comunque scongiurato mediante l’esclusione degli amministratori dalla categoria dei dipendenti, atteso che in ogni caso l’amministratore può partecipare ai piani di distri- buzione di azioni ogniqualvolta sia legato alla società anche da un rapporto di lavoro su- bordinato (282).

In conclusione dunque il mutamento del contesto economico e sociale potrebbe indur- re ad un ripensamento dell’esclusione degli amministratori dai potenziali beneficiari dei piani in azioni deliberati ex art. 2349 (283).

(280) V., per un sintetico quadro della disciplina fiscale, F. BONELLI, Gli amministratori,

cit., p. 137.

(281) Attribuzione che non è effettuata per spirito di liberalità, dato l’interesse della socie- tà rispetto all’apporto di lavoro prestato dal destinatario, cfr. G. ACERBI,op. cit., p. 1216. Sulla

non coincidenza tra atti a titolo gratuito e donazione cfr., per tutti, A.PALAZZO, Donazione, in Dig. 4° ed., Disc. Priv., sez. civ., vol. VII, Torino, 1991, p. 138 ss.

(282) V. infra, in questo capitolo par. 5.3.

(283) Sul rilievo che l’evoluzione del contesto sociale ed economico deve assumere nell’interpretazione degli istituti giuridici v. le autorevoli considerazioni di T. ASCARELLI, Funzioni economiche e istituti giuridici,cit., p. 83 ss., e di L.MENGONI, op. loc. ult. cit.

Per quanto concerne le istanze di tutela degli azionisti di minoranza che possono essere compromesse nel caso di un utilizzo abusivo dell’istituto di cui al’art. 2349, si può osservare che tale rischio sussiste in ogni caso, a prescindere cioè dall’inclusione o meno degli ammini- stratori nella categoria dei “dipendenti”, e che sembra opportuno che venga assicurata l’effettiva possibilità di impugnare le delibere assembleari che non siano riconducibili all’interesse sociale (i.e. in ipotesi di conflitto di interesse o di abuso della maggioranza), piut- tosto che escludere aprioristicamente gli amministratori dal procedimento ex art. 2349.

Ad ogni modo, esclusa – almeno sulla base dell’interpretazione giurisprudenziale e dottrinale corrente – la possibilità di ricorrere al procedimento di cui all’art. 2349 per que- gli amministratori che non siano legati anche da un rapporto di lavoro subordinato con la società, si prospettano altre vie attraverso le quali la società, previa deliberazione dell’assemblea ordinaria e straordinaria, può corrispondere agli amministratori azioni di nuova emissione a titolo remunerativo.

Ciò può avvenire in primo luogo attraverso un accordo tra società e amministratori nel quale si preveda che la partecipazione agli utili ai quali i secondi abbiano in ipotesi diritto, in conformità di quanto stabilito dall’assemblea o dallo statuto ex art. 2389, co. 2, piutto- sto che essere loro corrisposta direttamente sotto forma di un compenso monetario sia de- stinata alla sottoscrizione di un aumento di capitale deliberato in favore degli stessi ex art. 2441, cc. 5 e 6, cod. civ.

Senza dover esprimere una posizione sulla generale liceità delle diverse fattispecie di compensazione tra credito verso la società e debito da conferimento (284), sembra che in questo caso l’accoglimento del recente indirizzo della Cassazione (285) non comporti al- cun rischio a danno dei creditori della società. L’operazione si risolve infatti in una forma di autofinanziamento della società a vantaggio anche dei creditori, laddove escludendo la liceità di siffatta compensazione si avrebbe solo un deflusso di utili dalla società verso gli amministratori. Né sarebbe pertinente nel caso di specie l’osservazione secondo la quale la compensazione tra credito e debito da conferimento si risolve in un aggiramento del divie- to di conferimento di opere e servizi: le azioni vengono sottoscritte usufruendo di un credi- to per un servizio già prestato dall’amministratore, mentre il conferimento di opere o ser- vizi è fattispecie avente ad oggetto attività che non sono ancora state espletate.

(284) Per un approccio al problema nel quale si sottolinea l’esigenza di distinguere le di- verse fattispecie che si possono in concreto porre v. C.ANGELICI, Appunti sull’art. 2436 c.c.,

con particolare riguardo al conferimento mediante compensazione, in Giur. comm., 1988, I, p. 175 ss.; per una ricostruzione del dibattito, mai sopito, in dottrina, nell’ambito della quale ri- sulta prevalente l’orientamento che giudica legittima la compensazione, G.VIDIRI, op. cit., p. 2822 ss., ove ampi riferimenti bibliografici.

(285) Per la legittimità della compensazione tra debito da conferimento e credito verso la società v. Cass. 24 aprile 1998, n. 4236, in Foro it., 1998, I, c. 2892; Giust. civ., 1998, I, p. 2819, con nota di G.VIDIRI, È consentita la compensazione tra debito di conferimento del socio e

credito verso la società ?; conff. Cass. 5 febbraio 1996, n. 936, in Foro it., 1996, I, c. 2490; Giust. civ., 1996, I, p. 1647; Riv. dir. impresa, 1997, p. 97, con nota di F.DI SABATO, Ancora sulla e-

stinzione per compensazione del debito di conferimento; Trib. Napoli, 1 ottobre 1998, in Giur. it., 1999, p. 2115; Trib. Milano, 9 febbraio 1995, in Giur. it., 1995, I, 2, c. 909. Contra Cass. 10 di- cembre 1992, n. 13095, in Foro it., 1993, I, c. 3100; Giur. comm. 1994, II, p. 202; Riv. dir. comm.

Alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte appena richiamata sembra inoltre legittimo che, anche in mancanza di utili o in assenza di una partecipazione agli utili ex art. 2432 cod. civ., la remunerazione degli amministratori mediante azioni di nuova emis- sione si realizzi, sempre in via indiretta, attraverso il riconoscimento da parte della società a titolo retributivo di una somma di danaro e contestuale accordo che la medesima somma sia destinata ad essere compensata con il debito da conferimento gravante sugli ammini- stratori e derivante dalla sottoscrizione da parte di questi di un aumento di capitale ad essi riservato ex art. 2441, cc. 5 e 6, aumento che gli stessi si impegnano a sottoscrivere alle condizioni specificate nell’accordo.

È peraltro opportuno sottolineare che la remunerazione sotto forma di azioni perché risulti idonea a indurre gli amministratori a rinnovare il rapporto con la società (il c.d. “ef- fetto fidelizzazione”) e mantenga nel tempo l’effetto incentivante derivante dalla parteci- pazione al “rischio d’impresa” – e non si risolva quindi in una mera tecnica finanziaria di- retta a superare carenze di liquidità della società – deve essere accompagnata dall’assunzione da parte degli amministratori/sottoscrittori di una serie di vincoli alla di- sponibilità delle azioni, come avviene nei piani statunitensi concernenti restricted stock. A tale scopo, le azioni, pur divenendo di proprietà degli amministratori sin dal momento del- la loro sottoscrizione, possono essere trasferite ad una società fiduciaria, la quale riceve da ciascun amministratore un mandato irrevocabile a norma dell’art. 1723, co. 2, cod. civ. – in quanto conferito anche nell’interesse della società – ad amministrare (286) fiduciaria- mente le azioni e ritrasferirle secondo tranche che hanno diverse scadenze temporali, pre- stabilite nel piano di incentivazione, e condizionatamente alla permanenza nella società dell’amministratore. Il ritrasferimento delle azioni agli amministratori (la c.d. “liberazio- ne”) può peraltro essere del tutto eventuale, potendo essere condizionato anche al raggiun- gimento di obiettivi di performance predefiniti (287).

1994, II, p. 221; Giur. it. 1994, I, 1, c. 1883; A. Firenze, 27 ottobre 1999, in Riv. not., 2000, p. 471; Trib. Milano, 20 novembre 1995, in Notariato, 1996, p. 312; Fall., 1996, p. 573.

(286) La società fiduciaria provvede dunque a incassare i dividendi e, sulla base delle i- struzioni ricevute, a esercitare i diritti d’opzione (o alternativamente cederli in borsa e incas- sarne il prezzo) nonché a rappresentare in assemblea l’amministratore.

(287) Il regolamento del piano (cfr. supra nt. 268) può prevedere che in caso di dimissioni o di revoca per giusta causa anteriori alle date di scadenza del vincolo di indisponibilità, o an- cora in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di performance, l’amministratore si impegna a rivendere le azioni alla società o ad altro soggetto indicato dal piano ad un prezzo pari a quello di sottoscrizione ovvero ad altro prezzo determinato in base ad un criterio pre- stabilito.

Infine, per quanto concerne la determinazione del prezzo di emissione delle azioni de- stinate agli amministratori, non si deve trascurare che la prevalente dottrina risulta concor- de nel riconoscere che nella determinazione del sopraprezzo ai sensi dell’art. 2441, co. 6, cod. civ., si possano prendere in considerazione fattori correttivi dei parametri individuati dalla medesima disposizione (i.e. la situazione patrimoniale della società e il valore di bor- sa della società) (288). Se così è, e se in particolare si condivide la posizione di chi da ul- timo ha concluso che «le valutazioni richieste dalla fissazione del prezzo di emissione non potranno non tener conto dell’interesse della società all’operazione, anche in funzione del- le aspettative dei terzi» (289), sembra allora legittimo che le azioni siano emesse ad un prezzo determinato tenendo in considerazione sia i vincoli di indisponibilità assunti dagli amministratori, sia il minor valore che gli amministratori attribuiscono alle azioni in quan- to soggetti tendenzialmente più avversi al rischio (290).

5.1.4. (segue) competenza e procedimento per l’attribuzione di azioni (restricted stock) già emesse. ⎯ Rispetto a quanto illustrato nel paragrafo precedente, differenti sono le competenze assembleari e i vincoli procedimentali che devono essere osservati là dove vengano attribuite a titolo di remunerazione azioni della società (o di società controllate o controllanti) acquistate sul mercato secondario.

In tal caso è difatti richiesta semplicemente una delibera dell’assemblea ordinaria che, approvando il regolamento del piano retributivo in azioni, stabilisca ai sensi del combinato disposto degli artt. 2389, co. 1, e 2357-ter, cod. civ., le modalità e i termini in base ai quali le azioni sono trasferite in capo agli amministratori.

Peraltro, anche in questa ipotesi le finalità di incentivazione e di fidelizzazione richie- dono la predisposizione di vincoli di indisponibilità sulle azioni, analogamente a quanto descritto nel paragrafo precedente.

5.2. Competenza all’attribuzione di stock option ovvero di azioni (restricted stock) nei

confronti degli «amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto»

(288) Cfr. G.GRIPPO e A.CERRAI, Le modificazioni dell’atto costitutivo, in AA.VV., Dirit- to Commerciale, Bologna, 2004, p. 254; F. FERRARA jr eF. CORSI, op. cit., p. 575, nt. 8; P.

MARCHETTI, Commento, cit., p. 185; G.B.PORTALE, Opzione e sopraprezzo, cit., p. 219 s.; B. QUATRARO eS.D’AMORA, Le operazioni sul capitale, Milano, 1994, p. 168.

(289) CosìG.MUCCIARELLI, Il sopraprezzo delle azioni, Milano, 1997, p. 212. (290) V. supra,in questo capitolo par. 3

e dei componenti il comitato esecutivo. ⎯ Come già esposto, l’art. 2389 prevede, al terzo

comma, che sia il consiglio di amministrazione a determinare, «sentito il parere del colle- gio sindacale», la remunerazione degli «amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto», laddove il periodo successivo del comma in questione introduce la possibilità di circoscrivere l’autonomia del consiglio di amministrazione, prevedendo che lo statuto possa consentire all’assemblea di stabilire «un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche».

Concentrando l’attenzione sulla prima parte del comma testé riportato, e rinviando ad un secondo momento l’analisi delle conseguenze di un eventuale “tetto assembleare” alla remunerazione globale, sembra opportuno – in considerazione del rilievo che si è visto doversi annettere nella materia de qua all’assetto di corporate governance e in particolare alle misure idonee a tutelare gli interessi degli azionisti – verificare se, in virtù di disposi- zioni ulteriori rispetto a quella appena citata, l’assemblea sia titolare di un potere di carat- tere “inibitorio” rispetto all’eventuale decisione del consiglio di amministrazione di attri- buire incentivi azionari nei confronti degli amministratori delegati ovvero, giusta l’interpretazione in precedenza proposta, dei componenti il comitato esecutivo.

Il quesito trova risposta positiva con riferimento al caso in cui il consiglio di ammini- strazione intenda attribuire stock option servendosi di azioni di nuova emissione.

L’assemblea straordinaria è difatti necessariamente coinvolta nel procedimento che qui interessa, vuoi per deliberare l’aumento di capitale a servizio del piano ex art. 2441, cc. 5 e 6 (291), cod. civ., vuoi per delegare al consiglio di amministrazione, ex art. 2443, co. 2, cod. civ., la facoltà di porre in essere gli aumenti di capitale strumentali alla realiz- zazione di suddetto piano (292).

Nell’ipotesi in cui la società intenda invece utilizzare azioni già emesse per far fronte all’esercizio di stock option, il coinvolgimento dell’assemblea è necessario solo quando le

stock option si riferiscono ad azioni della medesima società. In tal caso infatti il consiglio

di amministrazione deve richiedere, ai sensi dell’art. 2357-ter cod. civ., l’assenso dell’assemblea ordinaria a disporre delle medesime, laddove nessuna approvazione as-

(291) Ferma per le società quotate la possibilità di ricorrere alla fattispecie di aumento di capitale con esclusione portata dall’art. 2441, co. 4, ultimo periodo (v. supra,in questo capito- lo par. 2.1.).

(292) In tale contesto l’assemblea è chiamata a definire i criteri generali – quali lo strike price o il criterio di determinazione del medesimo – ai quali il consiglio di amministrazione dovrà attenersi nell’esercizio della delega, mentre l’approvazione del regolamento del piano di stock option nella sua completezza è rimessa al consiglio stesso.

sembleare deve essere richiesta quando le stock option conferiscono un’opzione all’acquisto di azioni di società controllata.

Infine, qualora il diritto di opzione si riferisca ad azioni di società controllante, l’approvazione dell’assemblea si impone solo se la società non possieda già dette azioni, posto che il mancato richiamo dell’art. 2357-ter, co. 1, da parte degli artt. 2359-bis e ss. cod. civ. sembra doversi interpretare nel senso che l’atto di disposizione, da parte della so- cietà controllata, delle azioni della società controllante è subordinato alla preventiva auto- rizzazione dell’assemblea ordinaria solo nel caso in cui detto assenso sia specificamente contemplato e imposto nella delibera dell’assemblea che abbia autorizzato l’originario ac- quisto.

Una ripartizione delle competenze analoga a quella appena presentata si configura nel caso in cui il consiglio di amministrazione decida di remunerare gli amministratori delega- ti mediante azioni (restricted stock).

Difatti, per poter porre in essere un piano di remunerazione che preveda l’attribuzione di azioni (restricted stock) di nuova emissione, il consiglio di amministrazione deve sotto- porre l’aumento di capitale all’assenso dell’assemblea straordinaria ai sensi dell’art. 2441, co. 5 e 6, ovvero ottenere da quest’ultima una delega all’aumento di capitale ex art. 2443, co. 2.

Diversamente, nel caso in cui si tratti di azioni (restricted stock) acquistate dalla socie- tà sul mercato secondario il coinvolgimento dell’assemblea ordinaria è richiesto ex art. 2357-ter cod. civ., ove il consiglio decida di attribuire azioni della medesima società, men- tre nessun coinvolgimento dell’assemblea è richiesto nel caso di impiego di azioni di so- cietà controllata ovvero di azioni di società controllante che la società già possieda (293).

Se questo è, nei suoi tratti essenziali, l’assetto di competenze tra assemblea e consi- glio di amministrazione con riferimento all’impiego di incentivi azionari in favore degli amministratori delegati e dei componenti il comitato esecutivo, non si deve peraltro di- menticare che nelle società quotate il procedimento interno al consiglio di amministrazio- ne è specificamente disciplinato da una ulteriore fonte regolamentare di natura privata. Come noto infatti il “Codice di Autodisciplina” delle società quotate alla Borsa Italiana raccomanda alle medesime società di costituire all’interno dei loro consigli di amministra-

(293) Come appena sottolineato l’autorizzazione assembleare sembra doversi ritenere ob- bligatoria ex lege solo per l’acquisto delle azioni di società controllante, non per la loro alie- nazione.

zione un apposito “comitato per le remunerazioni”, composto in prevalenza di amministra- tori non esecutivi (art. 8) (294), con il compito di proporre al consiglio le decisioni con- cernenti la remunerazione degli amministratori “delegati”, decisioni che peraltro il Codice invita ad adottare in assenza dell’amministratore direttamente interessato (295).

5.2.1. (segue) determinazione da parte dell’assemblea «di un importo complessivo per

la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche».

⎯ Si è già esposto che l’art. 2389, co. 3, ultimo periodo, riconosce espressamente la licei- tà di una clausola statutaria che demandi all’assemblea la facoltà di stabilire «un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di par- ticolari cariche» (296).

Come accennato, dalla collocazione della disposizione nell’ambito del 3° comma si deve desumere che essa non modifica la ripartizione di competenze tracciata dalle previ- sioni che la precedono nel medesimo articolo – rimanendo quindi l’assemblea in ogni caso competente per la remunerazione degli amministratori “non delegati” (297) – bensì con-

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