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dal computo gli utili dell’anno precedente riportati a nuovo ( contra F C HIOMENTI , op loc.

ult. cit.) e le somme provenienti dallo scioglimento di riserve diverse da quelle legali (conf.F. BONELLI, Gli amministratori, cit., p. 130). Infine, A.MIGNOLI, op. loc. ult.cit., ritiene che –

se la clausola statutaria o la deliberazione che regola le modalità di erogazione del compenso nulla dispone – le sopravvenienze attive e le plusvalenze debbano essere incluse ai fini del calcolo della partecipazione degli amministratori (conf. M.FRANZONI, op. cit., p. 98), poiché di esse si tiene conto nella determinazione degli utili netti annuali, a cui si riferisce il combi- nato disposto degli artt. 2428 e 2432; contra F.BONELLI, op. ult. cit., p. 130, in considerazione della mancanza di un contributo dell’amministratore nella creazione di dette poste.

normativa speciale (238) o a fonti autoregolamentari e clausole statutarie che dispongano specificamente sul punto).

Occorre a tal fine partire dal dato normativo e rilevare che il legislatore, sia nel codice civile sia nel tuf, non tratta esplicitamente il tema della struttura della remunerazione quando delinea le caratteristiche che precludono la qualificazione di «amministratore indi- pendente», ma si limita a richiamare i requisiti elencati rispettivamente dall’art. 2399, co. 1, cod. civ., e dall’art. 148, co. 3, tuf, i quali ricomprendono tra le cause di ineleggibilità e di decadenza i «rapporti di natura patrimoniale» che «compromettano l’indipendenza» de- gli amministratori (v. artt. 2399, co.1, lett. c), cod. civ., e 148, co. 3, lett. c), tuf).

Trattasi di una fattispecie dai contorni del tutto vaghi, che si potrebbe ritenere sussi- stente in presenza di incentivi azionari poiché, come si è già argomentato (239), la parte- cipazione a piani di stock option o di restricted stock può creare una situazione di collu- sione tra gli amministratori indipendenti e gli amministratori “esecutivi” (240) e compro- mettere i compiti di indirizzo strategico e di vigilanza affidati ai primi. Difatti, questi po- trebbero essere indotti ad un atteggiamento compiacente con eventuali politiche gestionali di breve termine che, a discapito dell’obiettivo di creazione di valore per gli azionisti sul medio-lungo termine, consentano rilevanti guadagni con le azioni o le stock option da loro possedute.

Una specifica e distinta riflessione va poi condotta con riferimento alle società con proprietà concentrata, dove sia identificabile un socio o un gruppo di controllo. In presen- za di tali assetti societari, le stock option e le restricted stock possono compromettere l’indipendenza degli amministratori inducendoli a perseguire l’interesse del socio o grup- po di controllo a discapito dell’interesse della generalità degli azionisti alla massimizza- zione dell’investimento azionario. Si pensi alla possibilità, concretizzatasi in alcune socie- tà italiane quotate, di attribuire agli amministratori di una società appartenente ad un grup- po stock option su azioni di altra società del gruppo (o restricted stock della medesima):

(238) Il riferimento è alla recente novella dell’art. 26 del d.lgs. 385/93 e dell’art. 13 del d.lgs. 58/98 che dispongono ora che coloro che svolgono funzioni di amministrazione, dire- zione e controllo di banche, sgr, sim, e sicav, debbano possedere anche i requisiti di indipen- denza stabiliti con regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze che nel momento in cui si scrive non è ancora stato adottato.

(239) V. supra, capitolo III par. 4.

(240) Per tali intendendosi «gli amministratori delegati, ivi compreso il presidente quan- do allo stesso vengano attribuite deleghe, nonché gli amministratori che ricoprono funzioni direttive nella società», così si esprime il “Codice di autodisciplina” delle società quotate della Borsa Italiana s.p.a. (§ 2.2.).

situazione che può indurre gli amministratori ad allocare all’interno del gruppo risorse e opportunità di investimento in favore della società sulla quale hanno le stock option, favo- rendo l’interesse di una parte piuttosto che di tutti gli azionisti. Ancora, si consideri l’ipotesi in cui la clausola che anticipa la possibilità di esercizio delle opzioni in caso di trasferimento del controllo della società sia introdotta su impulso di un socio che detiene una quota rilevante della società esclusivamente per indurre gli amministratori a favorire il buon esito di una successiva offerta pubblica promossa dal medesimo socio per l’acquisto del controllo, a discapito degli azionisti di minoranza (241).

Sono, queste, preoccupazioni che, per quanto condivisibili, nondimeno potrebbero es- sere considerate non rilevanti in punto di accertamento giuridico dell’ «indipendenza» de- gli amministratori in tal modo retribuiti, posto che secondo un autorevole interpretazione è quantomeno dubbio che la situazione in cui l’amministratore non sia «indipendente» dal socio di maggioranza (242) possa essere ricompresa nell’art. 2399, co. 1, lett. c), cod. civ. (così come si dovrebbe dire dell’art. 148, co. 3, lett. c), tuf, ove fossero introdotte le norme sopra richiamate).

Rispetto a siffatta argomentazione sembra nondimeno potersi fondatamente obiettare che, se è vero che l’eventuale collegamento tra amministratore e socio di maggioranza non esclude «l’indipendenza» del primo ex art. 2399, co. 1, lett. c), cod. civ., ciò non toglie che proprio ai sensi di questa disposizione possa assumere rilievo un rapporto retributivo tra società e amministratore «indipendente» che sia strutturato in maniera tale da indurre quest’ultimo ad accettare supinamente e passivamente le scelte di gestione compiute dagli amministratori esecutivi nell’interesse esclusivo del socio di maggioranza.

Posto dunque che non si può a priori escludere che, sia nelle società a proprietà diffu- sa sia in quelle con assetti proprietari concentrati, l’attribuzione di incentivi azionari as- suma rilievo decisivo ai fini dell’applicazione dell’art. 2399, co. 1, lett. c), occorre d’altro canto osservare che, nonostante questo quadro a tinte fosche, non è affatto scontato che l’attribuzione di stock option o restricted stock pregiudichi l’autonomia di giudizio degli amministratori indipendenti. Piuttosto, come si è già avuto modo di constatare, l’utilizzo

(241) Cfr. supra, capitolo II par. 4.1.4.

(242) Cfr. G.PRESTI eF.F.MACCABRUNI, Gli amministratori indipendenti: mito e realtà nelle esperienze anglosassoni, in Analisi Giuridica dell’Economia (AGE), n. 1, 2003, p. 112, nt. 11. Interpretazione che appare in effetti corroborata dalla constatazione che anche gli ammi- nistratori indipendenti sono revocabili, come gli altri amministratori, in ogni tempo dall’assemblea dei soci, salvo il diritto al risarcimento del danno in assenza di giusta causa (v. art. 2409 noviesdecies cod. civ.che richiama l’art. 2383, co. 3, cod. civ.).

di tali strumenti di remunerazione può rivelarsi, se opportunamente calibrato per quanto concerne i termini di esercizio, uno strumento capace di creare una virtuosa divergenza di

interessi nei rapporti tra amministratori esecutivi e amministratori indipendenti (243).

Né va dimenticato che la partecipazione di questi ultimi, in misura ridotta, al rischio di impresa può costituire un importante stimolo per l’espletamento dei loro compiti di alta amministrazione e di supervisione (244).

Alla luce di tali considerazioni, sembra corretto concludere che la risposta al quesito posto da principio di questo paragrafo non è univoca, essendo condizionata dalle circo- stanze del caso concreto.

Occorrerà difatti accertare di volta in volta se l’attribuzione di stock option o restric-

ted stock conduce commistione di interessi – come accadrebbe nel caso di identità dei ter-

mini temporali che regolano l’esercizio degli “incentivi” rispettivamente attribuiti – tra amministratori indipendenti ed esecutivi tale da compromettere l’indipendenza dei secondi e comportarne quindi l’ineleggibilità o la decadenza ai sensi del combinato disposto degli artt. 2409 octiesdecies, c. 2, e 2399, comma 1, lett. c).

Del resto per una soluzione ispirata a forte pragmatismo, che rifugge da prese di posi- zione generali ed astratte, ha optato anche il “Codice di Autodisciplina” delle società quo- tate della Borsa Italiana, il quale statuisce che «il compenso di amministratore ed una par- tecipazione azionaria, tale da non permettere il controllo o un’influenza notevole sulla so- cietà interessata, non inficiano il requisito dell’indipendenza» (§ 3.2.).

Sezione II – Competenze e procedimento

4.- Una premessa sul percorso di analisi: competenze e procedimento, tra aumento di

capitale e trasferimento di azioni, nei sistemi di amministrazione tradizionale, monistico, dualistico. ⎯ A differenza di quanto previsto in altri ordinamenti (245), il codice civile

(243) Si pensi al caso previsto dal Combined Code (v. supra capitolo III, par. 4) che con- diziona l’attribuzione di “incentivi azionari” agli amministratori indipendenti alla presenza di una clausola in base alla quale le azionipossano essere cedute solo dopo un anno dalla cessa- zione dalla carica.

(244) Cfr. supra, capitolo III par. 4.

(245) Come si è avuto modo di illustrare sia nel Regno Unito sia negli Stati Uniti sono previste norme ad hoc che disciplinano l’attribuzione di equity-based incentive nei confronti degli amministratori. Cfr. supra, capitolo II par. 5.1. e capitolo III par. 2.

non contiene norme “speciali” che disciplinano in modo specifico a chi spetti decidere l’assegnazione di stock option o di restricted stock in favore degli amministratori.

La ripartizione delle competenze sul punto discende quindi dall’interazione dell’art. 2389 cod. civ. con le regole generali che scandiscono i due procedimenti attraverso cui le

stock option e le restricted stock possono essere in concreto assegnate: l’aumento di capi-

tale con esclusione del diritto di opzione e il trasferimento di azioni già emesse della so- cietà o di società controllate ovvero appartenenti al gruppo.

Per individuare come siano effettivamente ripartite le competenze in materia occorre quindi procedere in maniera analitica, tenendo in considerazione che il quadro normativo di riferimento muta in relazione ai diversi sistemi di amministrazione e controllo e – nell’ambito di ciascun sistema – si differenzia a sua volta a seconda della tipologia di in- centivo (assegnazione di stock option o di restricted stock), degli incarichi affidati a cia- scun amministratore, dell’eventuale rapporto di lavoro dipendente che leghi l’amministratore alla società.

5. Competenze dell’assemblea e del consiglio di amministrazione nella definizione

della retribuzione degli amministratori: la distinzione tra gli amministratori «investiti di particolari cariche in conformità dello statuto» e/o membri del comitato esecutivo, da un lato, e gli altri amministratori, dall’altro; l’inderogabilità della ripartizione. ⎯ Per quan-

to concerne il sistema di amministrazione tradizionale, l’analisi della disciplina deve esse- re condotta distinguendo tra gli amministratori che sono «investiti di particolari cariche in conformità dello statuto» o sono membri del comitato esecutivo e, dall’altro lato, gli am- ministratori che non rientrino in queste due categorie.

La necessità di siffatta ripartizione discende dalla suddivisione tracciata dall’art. 2389 cod. civ. nel definire le competenze dell’assemblea e del consiglio di amministrazione cir- ca la determinazione della retribuzione degli amministratori.

L’articolo per vero non si presenta di immediata chiarezza su questo punto e necessita di più di un chiarimento interpretativo. Esso, come già avuto modo di osservare, al 1° comma dispone che «i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea» mentre al 3° comma prevede che «la rimunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto è stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale».

Iniziando dai profili che non presentano incertezze interpretative, si può asserire che la disposizione attribuisce all’assemblea ordinaria (sorvolando per un momento su cosa si intenda con la locuzione «all’atto della nomina») la competenza generale a definire la re- tribuzione degli amministratori (246), mentre assegna al consiglio di amministrazione il compito di determinare l’ulteriore compenso eventualmente spettante agli amministratori che svolgano alcune particolari funzioni, le quali avremo modo di individuare specifica- mente in prosieguo. Che il novellato art. 2389 cod. civ. renda definitivamente superata quell’interpretazione secondo la quale la norma, nella formulazione previgente, avrebbe attribuito all’assemblea la competenza a determinare il compenso globale di tutti gli am- ministratori, mentre avrebbe assegnato al consiglio di amministrazione il solo compito di ripartire la remunerazione in relazione alla diversità delle funzioni espletate da ciascun amministratore (247), lo si desume dall’ultimo periodo del comma 3 dell’art. 2389. La di- sposizione rende oggi del tutto implausibile tale lettura poiché attribuisce allo statuto la possibilità di stabilire «un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli ammini- stratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche» e quindi implicitamente chiarisce che, al di fuori di tale ipotesi eccezionale che deve essere statutariamente prevista, l’art. 2389 stabilisce, seppur con norma statutariamente derogabile, che il consiglio di ammini- strazione non si limita a ripartire la remunerazione complessiva stabilita dall’assemblea,

(246) E’ opinione pressoché pacifica che l’incarico di amministratore sia naturalmente oneroso e sia dunque dovuto dalla società un compenso (determinato dal giudice se non sta- bilito a norma dell’art. 2389), salvo rinuncia espressa dell’amministratore o esclusione espres- sa del compenso da parte dello statuto vigente al momento della nomina, cfr. F.BONELLI, Gli

amministratori, cit., p. 126; G.CASELLI, op. cit., p. 62; A. DI AMATO, Questioni in tema di compensi agli amministratori, in Riv. dir. impr., 1994, p. 220; M.FRANZONI, op. cit., p. 83 ss.

E’ dubbio se l’approvazione da parte dell’assemblea del bilancio di esercizio, nel quale risulti iscritta la voce relativa al compenso percepito dall’amministratore, sia sufficiente a costituire approvazione e ratifica del compenso spettante all’amministratore: in senso affermativo cfr. Cass. 27 febbraio 2001, n. 2832, in Foro it., 2002, I, c. 880 con nota di M.BRAGANTINI; contra

Cass. 30 marzo 1995, n. 3774, in Società, 1995, p. 1180 con nota diF.ZUCCONI. Per ulteriori ri-

ferimenti e precisazioni cfr. F.BONELLI, Gli amministratori di s.p.a., cit., p. 128, nt. 174. (247) Per questa impostazione v. in giurisprudenza App. Milano, 5 gennaio 1996, in Giur. it., 1996, I, 2, 739; Trib. Bologna, 20 aprile 1995, in Società, 1995, p. 1224, e in dottrina A. BARTALENA, op. cit., p. 212; G.BIANCHI, Gli amministratori di società di capitali, Padova,

1998, p. 128; P.CECCHI, Gli amministratori di società di capitali, 1999, Milano, p. 55.

Contra, per l’interpretazione secondo la quale l’art. 2389 ante riforma faceva riferimento ad un compenso ulteriore la cui determinazione era di competenza esclusiva del consiglio di amministrazione cfr., da ultimo, Trib. Firenze 18 marzo 2002, in Riv. crit. dir. lav., 2002, p. 667; Trib. Milano, 5 novembre 2001, in Giur. it., 2002, p. 1443, con nota diP.RAINELLI, e in

Società, 2002, p. 729 con commento di L.SALVATO; Trib. Palermo, 26 maggio 2000, in Società, 2000, p. 1235, e, in dottrina, G.CASELLI, op. cit., p. 51;A.DI AMATO, op. cit., p. 229 e 232 ss.;

M.FRANZONI, op. cit., p. 93; A.MIGNOLI, op. cit., p. 120; G.MINERVINI, Gli amministratori, cit., p. 306.

ma può definire in maniera del tutto autonoma una retribuzione aggiuntiva a quella stabili- ta dall’assemblea (248).

(248) Sulla ragione della ripartizione di competenze che emerge dall’art. 2389, è stato os- servato che «il nostro ordinamento parte dal presupposto che quando l’atto costitutivo preve- de delle cariche, queste corrispondano ad esigenze costituzionali dell’impresa, cosicché la fis- sazione del compenso deve avvenire non già mediante una valutazione lato sensu “politica”, quale quella che può esprimere l’assemblea, bensì mediante una valutazione eminentemente “tecnica”, quale solo il consiglio è in grado di formulare, essendo per l’appunto il consiglio l’organo chiamato alla determinazione di tutti i compensi, anche di quelli al vertice operativo, nell’ambito dell’impresa sociale» (cosìA.MIGNOLI, op. cit., p. 119). A prescindere dalle opi- nioni divergenti sull’opportunità di siffatta scelta giuspolitica (in senso negativo v. F. FERRARA jr e F.CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 2001, p. 524, e G. MINERVINI, Cronache della grande impresa, in Giur. comm., 2004, I, p. 889), la motivazione ad essa sotte- sa appare chiara: è l’organo amministrativo che può apprezzare, in relazione sia alle caratteri- stiche qualitative e al prezzo dell’offerta sul mercato del lavoro sia alle esigenze dell’impresa, la prestazione manageriale offerta dall’amministratore impegnato nella gestione, e non nella sola supervisione, della società. Se questa è la ratio della competenza del consiglio di ammi- nistrazione in materia, non sembra condivisibile la soluzione adottata dalla giurisprudenza teorica e pratica maggioritaria secondo la quale tra «gli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto» menzionati dall’art. 2389, co. 3, rientrano – a prescindere dagli incarichi ad essi assegnati – anche il presidente (e secondo alcuni il vice presidente) del consiglio di amministrazione (cfr. ex plurimis G.FRÉ, sub art. 2389, in G.FRÉ eG.SBISÀ, So-

cietà per azioni, in Comm. Cod. Civ.Scialoja-Branca a cura di F. Galgano, Bologna – Roma, t. I, 1997, p. 829;G.CASELLI, op. cit., p. 52; e in giurisprudenza Trib. Modena, 21 maggio 1957, in Bbtc, 1957, II, p. 302, con nota di G.MINERVINI, Questioni in tema di computo della mag-

gioranza assembleare e di determinazione della remunerazione degli amministratori «investiti di particolari cariche»; Trib. Torino, 3 marzo 1987, in Società, 1987, p. 726; Trib. Firenze, 18 marzo 2002, in Riv. crit. dir. lav., 2002, p. 667). Sembra piuttosto corretta quell’interpretazione, rimasta per vero isolata (G.MINERVINI, Gli amministratori, cit., p. 449), secondo la quale la

possibilità di includere il presidente o il vicepresidente dipende dall’accertamento, nella fatti- specie concreta, dell’assegnazione a costoro di particolari incarichi in conformità dello statu- to.

Va peraltro precisato che secondo l’interpretazione prevalente (cfr. per tuttiG. CASELLI, op. cit., p. 52, nt. 12, ove ulteriori riferimenti, e F.CORSI, Le nuove società di capitali, Milano,

2003, p. 73; contraA.MIGNOLI, La partecipazione, cit., p. 125) del co. 2 dell’art. 2389 cod. civ. previgente, riprodotto senza variazioni (ad eccezione della sostituzione del termine «atto co- stitutivo» con «statuto») dal primo periodo del 3° comma dell’art. 2389, non compete al consi- glio di amministrazione ma all’assemblea la determinazione del compenso degli amministra- tori titolari di una delega in conformità di una deliberazione dell’assemblea e non dello statu- to (sulla motivazione di tale distinzione cfr. infra, nt. 259). Se si accetta tale interpretazione, se ne deve desumere che la competenza circa la remunerazione dei componenti i comitati inter- ni al consiglio di amministrazione, ad es. quelli previsti dal “Codice di Autodisciplina” delle società quotate della Borsa Italiana s.p.a., spetta al medesimo consiglio solo ove la loro costi- tuzione, se non anche la competenza del consiglio di amministrazione circa la relativa retri- buzione, sia prevista dallo statuto (conf.G.D.MOSCO, sub art. 2389, in AA.VV., Società di ca-

pitali. Commentario a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, p. 636 nt. 7; assegna siffatta competenza al consiglio di amministrazione, ma senza specificare se ritenga necessario che lo statuto contempli la costituzione del comitato, L. NAZZICONE, sub art.

2389, in L.NAZZICONE e S.PROVIDENTI, Società per azioni. Amministrazione e controlli, in La riforma del diritto societario a cura di G. Lo Cascio, vol. 5, Milano, 2003, p. 139). Per la di- versa conclusione a cui si deve pervenire per il comitato di controllo sulla gestione nel sistema monistico cfr. infra, in questo capitolo par. 6.

Ben più complessa è invece l’individuazione della portata prescrittiva della formula- zione disgiuntiva utilizzata dal legislatore nel 1° comma dell’articolo, là dove afferma che i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti «all’atto della nomina o dall’assemblea».

Si potrebbe, in un primo approccio alla questione, supporre che il legislatore menzio- nando l’«atto della nomina» in alternativa all’assemblea abbia voluto implicitamente stabi- lire che, quando gli amministratori non sono nominati mediante delibera dell’assemblea ordinaria (i.e. per designazione da parte dei portatori di strumenti finanziari ex art. 2351, co. 4, cod. civ.; per nomina da parte dello Stato o di ente pubblico ex artt. 2449 e 2450 cod. civ.), il compenso possa essere determinato da quegli stessi soggetti, diversi dall’assemblea, ai quali spetta la designazione.

Sebbene tale eventualità fosse unanimemente ritenuta illegittima dalla giurisprudenza teorica ante riforma (249), il dubbio ha ragione di essere con riferimento al mutato quadro normativo: la formulazione letterale della norma (a dire il vero grammaticalmente oscura: la disgiuntiva «o» collega un complemento di tempo con un complemento d’agente) lascia spazio a tale ipotesi e il radicale cambiamento di prospettiva imposto in termini generali dalla riforma, che in questa materia specifica ha introdotto una nuova fattispecie di nomina

extra assembleare (designazione di un amministratore «indipendente» da parte dei titolari

di strumenti finanziari ex art. 2351, co. 4 (250) cod. civ.), impone di sottoporre a verifica anche le tesi più consolidate nel precedente regime.

L’ipotesi sembra comunque da scartare per ragioni di ordine sia formale sia sostanzia- le. Essa non appare accettabile sul piano formale, poiché l’art. 2364, co. 1 n. 3, cod. civ., continua, anche dopo la riforma, a statuire chiaramente che è l’assemblea a determinare in via generale il compenso degli amministratori, salvo che esso non sia stabilito dallo statu- to. E lascia altresì perplessi sul piano sostanziale, poiché risulterebbe in contrasto con o- biettivi di efficienza economica: non sembra avere senso escludere dalla decisione quella categoria di finanziatori dell’impresa sociale, gli azionisti, che in quanto soggetti titolari della pretesa su ciò che residua dopo la soddisfazione delle altre categorie di finanziatori

(249) Cfr. per tutti M.FRANZONI, op. cit., p. 85 ss.

(250) Peraltro secondo G.FERRIjr, Fattispecie societaria e strumenti finanziari, in Riv.

dir. comm., 2003, p. 827, i titolari di strumenti finanziari potrebbero nominare anche un am- ministratore non indipendente, se così prevedesse lo statuto.

dell’impresa sociale (251) hanno il maggior incentivo ad assumere le decisioni corrette in relazione all’obiettivo di massimizzazione del risultato dell’impresa sociale.

Si deve dunque concludere che l’art. 2389, co. 1, quando menziona la determinazione

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