che «fatto salvo il diritto degli Stati membri di imporre sanzioni penali, gli Stati membri sono tenuti a garantire, conformemente al loro ordinamento nazionale, che possano essere adottate le opportune misure amministrative o irrogate le opportune sanzioni amministrative a carico delle persone responsabili del mancato rispetto delle disposizioni adottate in attuazione della presente direttiva».
Tra queste, si è rilevato come la non chiara identificazione degli effetti e dei costi che il ricorso agli incentivi azionari comporta – in altri termini “l’opacità” che li caratterizza – colloca i medesimi tra gli strumenti che si prestano ad essere utilizzati anche in quelle ope- razioni che vengano poste in essere dall’azionista di maggioranza al fine di sottrarre ille- gittimamente risorse dalla società (la c.d. estrazione di benefici privati del controllo di ca- rattere “dissipativo”) (341).
In particolare, ciò può accadere quando vengano attribuite agli amministratori stock
option o restricted stock per importi che, ben superiori a quelli giustificati dalla funzione
svolta dai destinatari, rappresentano in realtà una forma di appropriazione indebita da par- te di quegli azionisti di controllo che rivestono anche la qualifica amministratori ovvero sono ad essi legati da vincoli familiari o patrimoniali.
Ancora, si può immaginare che le stock option su azioni di società controllate o con- trollanti siano concesse agli amministratori al solo fine di indurli a porre in essere opera- zioni che si risolvono a vantaggio di tali società del gruppo e a scapito della società gestita dai suddetti amministratori.
Né infine si deve trascurare che stock option o restricted stock potrebbero essere attri- buite allo scopo esclusivo di alterare l’equilibrio dell’assetto azionario.
Risulta pertanto di interesse prendere in considerazione le condizioni al presentarsi delle quali gli azionisti di minoranza possono ricorrere ad una tutela di carattere “invali- dante” (o “reale” o, ancora, “demolitoria” che dir si voglia) ovvero di carattere “risarcito- rio” rispetto a suddette operazioni, analizzando partitamente il caso in cui sia l’assemblea ordinaria a pronunciarsi sulla retribuzione degli amministratori da quello in cui è il consi- glio di amministrazione a determinare la remunerazione aggiuntiva spettante agli ammini- stratori investiti di particolari cariche.
9.1. La deliberazione assembleare determinativa della retribuzione
dell’amministratore: invalidità per “conflitto di interessi”. ⎯ Con riferimento all’ipotesi
della deliberazione assembleare, l’analisi della casistica giurisprudenziale rivela come il giudizio sulla validità della deliberazione determinativa del compenso degli amministrato-
(341) Come già ricordato (supra, nt. 31), l’espressione “benefici privati del controllo di ca- rattere dissipativo” è utilizzata per distinguere gli stessi da quei vantaggi privati che il socio di controllo può ritrarre senza procurare alcun nocumento patrimoniale ai soci di minoranza (si pensi al riconoscimento sociale ed istituzionale che l’imprenditore si vede tributato in con- seguenza della propria posizione di controllo sull’impresa).
ri verte nel nostro ordinamento fondamentalmente intorno alla dimostrazione da parte dell’attore della “ragionevolezza” della retribuzione attribuita agli amministratori.
Così è a dirsi in primo luogo con riferimento al caso in cui le deliberazione in conside- razione venga impugnata dagli azionisti ai sensi dell’art. 2373 cod. civ.
La giurisprudenza più recente e la dottrina sono invero concordi nel concludere, sep- pure seguendo diversi percorsi argomentativi, che il voto espresso nella deliberazione as- sembleare determinativa del compenso degli amministratori da parte di un socio che sia al contempo amministratore (ovvero risulti nello specifico contesto portatore dell’interesse di quest’ultimo, ad esempio perché legato da rapporti di parentela) rende annullabile la deli- berazione per conflitto di interessi solo nel caso in cui l’attore dimostri – oltre al peso de- terminante che il voto ha avuto per l’adozione della deliberazione (la c.d. “prova di resi- stenza”) – che il compenso concesso all’amministratore è sproporzionato (342) e comporta dunque un danno nella specie dell’ingiustificato depauperamento della società (343).
(342) La giurisprudenza meneghina, da cui provengono la gran parte delle pronunce in argomento, ha in un primo tempo assunto una rigida posizione (cfr. Trib. Milano, 20 marzo 1980, in Giur. comm., 1980, II, p. 396 con nota di P.G.JAEGER, Determinazione del compenso
dell’amministratore e conflitto di interessi) affermando che il conflitto ex art. 2373 fosse da ri- tenersi sussistente in re ipsa in caso partecipazione determinante del socio-amministratore alla deliberazione determinativa del compenso dell’amministratore e che pertanto non fosse necessario per l’attore dimostrare la sussistenza del danno potenziale.
Un deciso révirement hanno segnato le pronunce successive, le quali – in base alla consi- derazione che l’interesse del socio-amministratore e della società non sono necessariamente confliggenti ma possono piuttosto essere nei fatti convergenti in quanto la seconda può avere interesse ad incentivare il primo mediante un’adeguata politica retributiva – hanno nel corso degli anni ribadito che per potersi ritenere integrato il conflitto di interessi nella deliberazione in questione è necessario che l’impugnante dia prova del fatto che la remunerazione stabilita sia nello specifico contesto sproporzionata rispetto alla prestazione dovuta (Trib. Milano, 5 marzo 1984, s.r.l., in Società, 1984, p. 1003; Trib. Milano, 17 settembre 1987, cit.; Trib. Napoli, 24 gennaio 1989, in Giur. comm., 1989, II, p. 592 con Osservazioni di S.ROSSI; Trib. Milano,
27 aprile 1989, in Giur. comm., 1991, II, p. 92 con nota di F.GIULIANI, Interesse sociale e de- terminazione del compenso dell’amministratore-socio; Trib. Milano, 29 giugno 1989, in Socie- tà, 1989, 1285, con nota diR.AMBROSINI; Trib. Milano, 26 aprile 1990, in Giur. it., 1991, I, 2, c.
108; Trib. Milano, 29 giugno 1992, in Giur. it., 1993, I, 2, 234, con nota di R.WEIGMANN, e, con data 6 febbraio 1992, in Giur. comm. 1993, II, p. 416; App. Milano, 29 marzo 1991, in Giur. it., 1991, I, 2, c. 794 con nota di R.WEIGMANN, Compensi esagerati, cit., e in Giur. comm., 1992, II, p. 462, con nota di M.A.LEOZAPPA; App. Milano, 12 aprile 1994, in Società, 1994, p.
1209; App. Milano, 5 gennaio 1996, in Giur. it., 1996, I, 2, c. 739; App. Milano, 8 novembre 1996, in Società, 1997, p. 547, con nota di B.IANNELLO; Cass., 21 marzo 2000, n. 3312, in Foro
it., 2000, I, c. 2330, con nota di M.BRAGANTINI, e in Giust. civ., 2000, I, p. 1953, con nota di G.
VIDIRI).
Alcune di tali decisioni si esprimono in termini di accertamento della “irragionevole sproporzione” (o di sproporzione “oltre il limite della ragionevolezza”) della retribuzione (App. Milano, 5 gennaio 1996, cit.; Trib. Milano, 29 giugno 1992, cit.; Trib. Milano, 27 aprile 1989, cit.; Trib. Milano, 17 settembre 1987, cit.; Trib. Milano, 26 aprile 1990, cit.) laddove altre parlano solo di compenso “eccessivo” (Cass., 21 marzo 2000, n. 3312, cit.; App. Milano, 12 a-
Si è dunque in presenza di un giudizio che sconta inevitabilmente un certo grado di di- screzionalità poiché si fonda su una valutazione, piuttosto che sulla dimostrazione di un fatto.
Si tratta tuttavia – occorre sottolinearlo – di una valutazione che non è diretta ad ac- certare l’opportunità dell’operazione alla luce dei risultati a cui essa ha condotto, bensì «ad identificare un vizio di illegittimità che si desume dall’ “irragionevolezza” delle scelte in questione» (344), prese in considerazione in una prospettiva che si colloca in un mo- mento anteriore all’espressione del voto e che non tiene quindi conto della convenienza a
posteriori che la deliberazione ha effettivamente avuto per la società (345).
La ragionevolezza è un concetto di carattere relazionale, che richiede l’identificazione dei parametri rispetto ai quali una determinata scelta può dirsi ragionevole, se si vuole evi- tare il pericolo che quello che deve essere un «giudizio di legittimità attraverso il merito»