medesime.
(443) Cfr. S.FORTUNATO, I controlli nella riforma delle società, in Società, 2003, p. 314, il
quale afferma, seppur in termini dubitativi, che i soci sono legittimati ad impugnare quando le deliberazioni del consiglio di sorveglianza siano lesive dei loro diritti.
CONSIDERAZIONICONCLUSIVE
L’esigenza di incentivare, tramite la partecipazione al risultato d’impresa, chi è prepo- sto alla gestione delle società di capitali non è certo stata avvertita per la prima volta in questa fase della storia di tali strutture imprenditoriali.
Già Adam Smith osservava che «siccome gli amministratori di tali compagnie sono gli amministratori del denaro altrui piuttosto che del loro, non ci si può aspettare che lo sor- veglino con la stessa accurata vigilanza che i soci di una società privata (444) spesso dedi- cano all’amministrazione del loro denaro. Così come i sovraintendenti di un ricco, essi so- no inclini a considerare l’attenzione alle piccole cose come non degna dell’onore del loro padrone, e quindi molto facilmente si dispensano dal prestarla. Perciò la negligenza e la prodigalità devono sempre prevalere, in misura più o meno grande, nell’amministrazione degli affari di queste compagnie» (445).
Specularmente, non è di questi giorni la consapevolezza dei rischi che può comportare il collegamento tra remunerazione e valore delle azioni della società, atteso che già Carlo Cattaneo, commentando le legislazioni che imponevano agli amministratori di possedere azioni delle società da loro amministrate, rilevava criticamente che «finché gli amministra- tori avran parte nel giuoco di Borsa, essi non guarderanno mai che alle cose d’apparenza, le quali possono sostenere per un certo tempo il corso attuale delle azioni e lasciar agio a rivendere con guadagno. Essi avranno il buon senso di non perdere mai tempo a prevedere qualsiasi evento lontano. L’esito finale dell’impresa sarà per essi come un affare dell’altro mondo…e l’effetto si vede nel cattivo andamento di tante imprese» (446).
Oggi come allora dunque la formula retributiva di cui ci occupiamo mostra luci e om- bre.
(444) In tale contesto la locuzione «società privata » indica una società a responsabilità il- limitata.
(445) A.SMITH, An inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, origi-
nariamente pubblicato nel 1776. La citazione è tratta dall’edizione italiana, La ricchezza delle nazioni, Roma, 1995, p. 609-610.
(446) La citazione è tratta da M.VITALE, America. Punto e a Capo, Milano, 2002, p. 33, e risale ad uno scritto di Cattaneo del 1839.
Da un lato, non si può porre in dubbio che le stock option sono state uno dei fattori propulsivi del successo dell’economia statunitense negli ultimi due decenni, come di re- cente ribadito da autorevoli economisti (447).
Dall’altro lato, l’ambiguo utilizzo che è stato fatto da parte di molti manager statuni- tensi tra il 1999 e il 2002 ha mostrato come una serie di fattori – quali l’eccessivo incre- mento dei corsi azionari, l’assenza di presidi di corporate governance adeguati nel proce- dimento che conduce alla determinazione dei compensi degli amministratori esecutivi, il trattamento contabile non adeguato e foriero di distorsioni nella scelta del “tipo” di stock
option, la mancanza di un’adeguata supervisione sulle transazioni dei manager sui titoli
della società – può compromettere i presupposti sui quali si fonda il corretto funzionamen- to degli incentivi in esame (448).
La lezione che se ne deve trarre è che l’utilizzo degli incentivi azionari deve essere at- tentamente ponderato, piuttosto che essere demonizzato e ostracizzato o, all’estremo op- posto, acriticamente raccomandato.
Difatti, l’esperienza dell’ultimo decennio insegna che gli incentivi azionari:
(a) devono essere opportunamente calibrati, prestando in particolare attenzione a mec-
canismi di indicizzazione del prezzo di esercizio all’andamento del mercato, al costo del capitale di rischio, al raggiungimento di obiettivi di performance (449);
(b) devono essere scaglionati nel tempo al fine di evitare una concentrazione eccessiva
di interessi patrimoniali degli amministratori rispetto al livello di quotazione dei titoli del- la società in uno specifico momento (450);
(c) non possono essere considerati come un beneficio aggiuntivo per i manager senza
alcun onere economico per la società, ragion per cui il loro costo deve essere coerente- mente rappresentato in bilancio e deve indurre la società a valutare se ridurre le altre com- ponenti del pacchetto remunerativo (451);
(447) B. HOLSTROM e S.K. KAPLAN, The State of U.S. Corporate Governance: What’s
Right and What’s Wrong ?, ECGI Finance Working Paper N° 23, 2003, passim; B.HALL, Six Challeges in Designing Equity-Based Pay, NBER Working Paper, 2003, p. 6, testo e nt. 9. Anche L.BEBCHUK e J.FRIED, op. cit, p. 137, testo e nt. 2, riconoscono il contributo che gli “incentivi azionari” possono avere nella creazione di valore, se opportunamente calibrati.
(448) V. supra capitolo II. Per un resoconto dell’impiego distorto degli “incentivi aziona- ri” nei recenti dissesti di imprese statunitensi v. J.C.COFFEE, What Caused Enron ? A Cap- sule Social and Economic History of the 1990s, in 89 Cornell Law Review, 2004, p. 294 ss.; B. HOLSTROM e S.K.KAPLAN, op. cit., nt. 18; M. VITALE,op. cit., p. 39 s.
(449) V. supra, capitolo II parr. 2 e 5 (450) V. supra, capitolo II par 4.1.
(d) devono essere concessi dietro adeguata e consapevole valutazione da parte di or-
gani indipendenti dai soggetti che ne sono destinatari (vale a dire su proposta del “comita- to sulla remunerazione” che deve essere dotato delle adeguate competenze tecniche);
(e) devono essere calibrati in modo da evitare una pericolosa convergenza di interessi
tra amministratori esecutivi e non (piuttosto, potrebbero essere utilizzati per creare una
virtuosa divergenza tra le due categorie di amministratori) (452).
Ancora, l’esperienza statunitense suggerisce che i riflettori vanno puntati non solo sul- la procedura con cui vengono attribuiti ma anche sulla condotta degli amministratori e de- gli altri manager nel momento successivo alla loro assegnazione. In particolare, di cruciale importanza risulta a tal fine essere la presenza di un sistema di disclosure delle transazioni effettuate dagli amministratori (il c.d. internal dealing) che:
(i) agisca ex ante da deterrente nei confronti degli amministratori che potrebbero al-
trimenti alterare i dati contabili o il flusso informativo nei confronti del mercato al fine di realizzare il guadagno potenziale connesso alle stock option e alle restricted stock da loro possedute (453);
(ii) impedisca agli amministratori di effettuare transazioni di “copertura” (il c.d. he- dging) del rischio connesso alle stock option e alle restricted stock loro concesse, così da
vanificare sostanzialmente la funzione di incentivo che tali strumenti sono diretti a realiz- zare (454).
In questa ricerca, dopo aver svolto l’analisi del fenomeno economico, imprescindibile per il suo corretto inquadramento giuridico, ed aver esaminato le misure regolamentari a- dottate a tal riguardo negli Stati Uniti e quelle promosse dalla recente iniziativa di armo- nizzazione della Commissione Europea (alla quale si ricollega anche lo standard contabile internazionale IFRS 2 redatto dallo IASB) (455), si è posto in luce come in Italia il rischio che l’utilizzo degli incentivi azionari pone è del tutto peculiare.
Il fenomeno si inserisce invero in un contesto di “assetti proprietari” tale per cui la de- terminazione dei compensi degli amministratori può sì implicare, nelle società ad aziona- riato diffuso, un problema di “autoreferenzialità” degli amministratori rispetto all’intera compagine sociale ma in altri casi, vale a dire nelle società – quotate e no – in cui si regi-