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cettuale del sistema I significati normativi non possono cogliersi se non nel, e attraverso il,

sistema normativo e quindi sono esplicabili solo dogmaticamente…».

(218) Cfr. sul punto infra, in questo capitolo par. 5.1.2. (219) V. al riguardo infra, nelle Considerazioni conclusive.

la quale le due ipotesi specifiche di compenso – partecipazione agli utili e compenso sotto forma di stock option – previste dalla norma avrebbero carattere tassativo (220).

Ciò peraltro a tacere del fatto che la flessibilità operativa che l’articolo concede alle società non esclude affatto la possibilità di un sindacato di “legittimità attraverso il meri- to” sul processo di determinazione della retribuzione (anche sotto forma di incentivi azio- nari) che sia diretto a reprimere, al ricorrere dei presupposti che si avrà modo di esporre, gli abusi che vengono perpetrati per tale tramite ai danni di tutti gli azionisti ovvero dei so- li azionisti di minoranza.

2.1.1. (segue) l’irrilevanza dell’art. 2432 cod. civ. rispetto ai compensi monetari

commisurati a grandezze diverse dagli utili ⎯ L’affermazione del carattere solo esempli-

ficativo dell’elenco contenuto nell’art. 2389, co. 2, cod. civ. non dissolve di per sé tutti i dubbi prospettabili, potendo le limitazioni dell’autonomia delle s.p.a. nella determinazione delle forme di remunerazione degli amministratori essere tratte da una lettura coordinata dell’art. 2389, co. 2, con altre norme dell’ordinamento della s.p.a.

Con specifico riferimento alla retribuzione monetaria aleatoria diversa dalla partecipa- zione agli utili si potrebbe invero riproporre quell’interpretazione, già accolta dalla giuri- sprudenza prima della riforma (221), secondo la quale il combinato disposto dell’ art. 2432 cod. civ. (il quale stabilisce che la partecipazione agli utili degli amministratori deve essere calcolata previa deduzione della quota destinata alla riserva legale) e dell’art. 2389 preclude la possibilità di ancorare la retribuzione monetaria dell’amministratore ad una grandezza diversa dagli utili, quale ad esempio il fatturato, la variazione del valore di bor- sa dell’azione (come nel caso degli stock appreciation right) o un’altra grandezza utilizza-

(220) Per il carattere meramente esemplificativo dell’art. 2389, co. 2, si esprime anche G.D.MOSCO, sub art. 2389, cit., p. 640. Muove da tale premessa B.LIBONATI,L’impresa e le

società, cit., p. 250, là ove, in tema di remunerazione degli amministratori mediante stock op- tion, precisa che «non è illecita nemmeno la stock grant, quando la società promette un pre- mio in proprie azioni nel caso di raggiungimento di certi risultati».

(221) App. Milano, 18 dicembre 1990, in Giur. it., 1991, I, 2, c. 793 con nota di R. WEIGMANN, Compensi esagerati agli amministratori di società a base ristretta, e in Soc., 1991,

p. 620 con Commento di R. AMBROSINI. La pronuncia ha confermato la decisione di Trib. Milano, 17 settembre 1987, in Giur. comm., 1987, II, p. 797, con nota diP.G.JAEGER, Ancora

sulla determinazione del compenso degli amministratori: conflitto d’interessi, commisurazio- ne al “fatturato”, principio di ragionevolezza; in Riv. dir. comm., 1988, II, p. 281, con nota di F.CHIOMENTI, Compenso degli amministratori mediante partecipazione agli utili e clausole di compenso mediante partecipazione al fatturato.

ta nella prassi aziendalistica come indicatore della creazione di valore, ad esempio l’Economic Value Added (EVA) (222).

Tale interpretazione non risulta tuttavia oggi condivisibile, così come non sembrava esserlo già prima della novella.

Per comprendere le ragioni di tale affermazione occorre innanzitutto ripercorrere l’iter argomentativo seguito dalle pronunce alle quali si è accennato e considerare che esse muovevano dall’assunto secondo il quale l’art. 2389 (allora il comma 1 dell’art. 2389) consentisse due sole forme di remunerazione, definite dai giudici come «ontologicamente diverse»: (a) il «compenso», avente le caratteristiche della certezza, fissità e costanza; (b) la «partecipazione agli utili», avente le caratteristiche dell’aleatorietà e della variabilità. Da tale bipartizione discendeva consequenzialmente – secondo le decisioni in questione – che, non potendo per le sue caratteristiche intrinseche essere ascritta al genus dei «com- pensi», la retribuzione aleatoria diversa dalla partecipazione agli utili sarebbe stata legitti- ma solo nei limiti in cui fosse risultata compatibile con la disciplina della partecipazione agli utili portata dall’art. 2432. Compatibilità che, concludeva la giurisprudenza in consi- derazione, doveva essere esclusa poiché una remunerazione aleatoria parametrata a gran- dezze diverse dagli utili, «non scontando i costi di esercizio», si sarebbe risolta in un’elusione del limite imperativamente posto dall’art. 2432 a tutela del «superiore interes- se della società» alla conservazione del patrimonio sociale.

In primo luogo, è da rilevare che siffatta conclusione, anche a voler concedere per un momento che fosse costruita su argomentazioni condivisibili, risultava in ogni caso ecces- siva nel suo rigore prescrittivo, poiché l’esigenza di preservazione del patrimonio sociale non implica l’esclusione tout court della possibilità di parametrare la remunerazione dell’amministratore ad una grandezza diversa dagli utili, ma, tutt’al più, impone di circo- scrivere la legittimità di tale retribuzione al solo caso in cui essa sia condizionata alla sus- sistenza di «utili netti risultanti dal bilancio, fatta deduzione della quota legale».

In secondo luogo, e in maniera ben più radicale, a non risultare convincente è la pre- messa su cui si fondava l’iter argomentativo sopra descritto, consistente nell’ assunto se- condo il quale il perimetro semantico del termine «compensi», portato allora dall’art.

(222) Si tratta di una misura del valore creato da un’impresa, diffusamente utilizzata nella prassi aziendalistica, che consiste nella differenza tra il reddito operativo, rettificato al netto delle imposte, e il costo del capitale investito: v. E.MONTI, Manuale di finanza per l’impresa.

Teoria e pratica, Torino, 2005, p. 549 ss.; AA.VV., Nuovo Dizionario di Banca Borsa e Finan- za, Roma, 2002, p. 809.

2389, co. 1 ed ora dall’art. 2389, co. 2, potesse ricomprendere la sola retribuzione fissa e certa, ma non la retribuzione variabile e aleatoria parametrata a grandezze diverse dagli utili, la quale doveva pertanto ritenersi illegittima per incompatibilità con l’art. 2432.

Era questa – e sarebbe tuttora ove fosse riproposta rispetto al novellato art. 2389, co. 2 – un’affermazione arbitraria e apodittica, che non trova riscontro nella norma attuale (che, come visto, utilizza il termine «compensi» in senso onnicomprensivo delle diverse com- ponenti della retribuzione delle quali fornisce un elenco esemplificativo) e che risultava addirittura controintuitiva rispetto alla lettera dell’art. 2389, co. 1, previgente: in assenza di altri indizi normativi sarebbe stato infatti più plausibile concludere che una retribuzione parametrata ad una grandezza diversa dagli utili dovesse essere ricompresa, in base «al si- gnificato delle parole» (ex art. 12, co. 1, disp. prel. cod. civ.) (223), nella categoria dei «compensi» piuttosto che in quella della «partecipazione agli utili».

Se si condivide dunque che l’interpretazione dell’art. 2389, co. 1, cod. civ. previgente, da cui muovevano le decisioni citate non fosse già allora corretta, e non lo sarebbe in ogni caso oggi rispetto all’art. 2389, co. 2, non si può non convenire con la tesi secondo la qua- le l’art. 2432 assume rilievo solo per individuare la “base di calcolo” sulla quale deve es- sere misurata la «partecipazione agli utili» degli amministratori, non esprimendosi in alcun modo sul problema dell’attribuzione agli stessi di retribuzioni commisurate a parametri diversi dagli utili (224).

Né, in opposizione a tale conclusione, sembra si possa addurre l’argomento sollevato da autorevole dottrina, la quale a sostegno della conclusione a cui erano giunte le decisioni citate – ma non dell’argomentazione dalle stesse adottate – ha rilevato che «la composi- zione degli interessi voluta dalla legge nell’ipotesi di retribuzione partecipativa verrebbe… facilmente elusa se l’autonomia privata fosse libera di scegliere il parametro (giro d’affari, fatturato, utili lordi, utili netti) di riferimento della percentuale e cioè cambiare il parame- tro adottato dalla legge» (225) mediante l’art. 2432. L’ argomento è sicuramente suggesti- vo, ma, come detto, non persuade.

Innanzitutto perché, quand’anche si convenisse che la remunerazione parametrata a grandezze diverse dagli utili può condurre ad un’elusione della composizione di interessi che si attribuisce all’art. 2432, non si dovrebbe da tale rilievo desumere che tale remunera-

(223) Sull’individuazione del «significato proprio delle parole» in relazione alla specifica tipologia a cui esse appartengono cfr.R.GUASTINI, L’interpretazione, cit., p. 148.

zione è proibita tout court, bensì si dovrebbe circoscriverne la legittimità al solo caso in cui essa sia condizionata alla sussistenza di «utili netti risultanti dal bilancio, fatta dedu- zione della quota legale».

Ma, al di là di tale precisazione, la tesi in considerazione non sembra potersi condivi- dere perché in realtà, e a prescindere dai dubbi posti circa l’imperatività della norma (226), non è affatto chiara la ratio a cui è ispirato l’art. 2432 e tale incertezza impedisce di potere ritenere la disposizione di per sé sufficiente a rendere vietate – in mancanza di alcuna in- dicazione in tal senso da parte dell’art. 2389 – forme di remunerazione aleatoria diverse dalla partecipazione agli utili.

Non è invero possibile desumere se la prededuzione della quota di riserva legale che l’articolo impone: (a) sia una cautela che il legislatore ha ritenuto opportuno imporre in considerazione del carattere non predeterminato, di tale remunerazione, il che consenti- rebbe di applicare l’art. 2432 anche alle altre forme di remunerazione aleatoria; (b) sia piuttosto una misura prescritta dal legislatore in considerazione del pericolo di un’insufficiente ponderazione da parte degli azionisti del costo di una forma di retribuzio- ne che apparentemente “si paga da sé”, nel senso che viene sostenuta dalla società nel solo caso in cui vi siano ricavi sufficienti a pagare i costi degli altri fattori di produzione (227), profilo quest’ultimo che le altre forme di remunerazione aleatoria commisurate a grandez- ze diverse dagli utili non presentano. Detto in altri termini, non è possibile stabilire se la

ratio dell’art. 2432 non sia da ricondurre alle differenze, piuttosto che alle analogie, che la

«partecipazione agli utili» presenta rispetto alla remunerazione aleatoria commisurata a grandezze diverse dagli utili. Pertanto non vi sono elementi sufficienti per concludere che l’ambito di applicazione della disposizione si estenda ad altre forme di remunerazione ale- atoria diverse dalla partecipazione agli utili.

(225) Così F.CHIOMENTI, op. ult. cit., p. 289.

(226) La ritengono derogabile A.MIGNOLI, op. ult. cit., p. 130-131; L.ANSELMI, Alcune

osservazioni in tema di «compenso» degli amministratori mediante «partecipazione agli uti- li», in Giur. comm., 1992, II, p. 935; F.BONELLI, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma

delle società, Milano, 2004, p. 130, nt. 177.

(227) In questo senso G.CASELLI, Vicende del rapporto di amministrazione, in Tratt. soc.

az. diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, vol. 4, Torino, 1991, p. 56. Come ricorda G.B. PORTALE, Compenso quotativo del consiglio di amministrazione e delibere assembleari mo-

dificative del criterio di remunerazione, in Ctr. impr., 1987, p. 797, il timore di abusi era all’origine di una norma nel c.d. “Progetto Ascarelli” del 1956 (presentato al Parlamento dagli onn. La Malfa e Lombardi) la quale disponeva che «non possono essere corrisposte parteci- pazioni agli utili ai membri del consiglio di amministrazione di una società per azioni se non

In conclusione dunque si deve rilevare che le forzature interpretative mediante le quali la remunerazione aleatoria non collegata agli utili è stata condotta nell’alveo della «parte- cipazione agli utili», e dunque dell’art. 2432, appaiono a ben vedere dettate da un atteg- giamento di sfavore, espressamente palesato dai giudici (228), nei confronti di siffatta forma di compenso; atteggiamento motivato dalle controindicazioni che essa può presenta- re per gli azionisti di minoranza e per la stabilità dell’impresa sociale.

Anche in questo caso occorre osservare che, per quanto possa apparire condivisibile tale preoccupazione, la soluzione interpretativa che è stata adottata in rapporto ad essa non solo non trova rispondenza nella legge, ma si risolve in un rigido ostracismo che non risul- ta suffragato da considerazioni di efficienza economica o di equità.

Da un lato, infatti, siffatta limitazione impedirebbe l’adozione di formule retributive variabili, ma ancorate a grandezze diverse dagli utili, che possono, se opportunamente ca- librate, ben assolvere la loro funzione di incentivo alla creazione di valore per la società, come attesta il frequente ricorso ad esse che si riscontra non solo negli altri ordinamenti a capitalismo avanzato ma anche nel nostro, nonostante la dichiarazione di illegittimità ma- nifestata da una parte della giurisprudenza. Del resto tale prassi è persino incoraggiata dal c.d. “Codice di Autodisciplina” delle società quotate, il quale raccomanda, al § 8.2., che una parte della remunerazione sia «legata ai risultati economici conseguiti dalla società ed, eventualmente, al raggiungimento degli obiettivi specifici preventivamente indicati dal consiglio stesso».

Dall’altro lato, una simile restrizione non sarebbe in alcun modo risolutiva rispetto al pericolo di eccessi nella determinazione della remunerazione degli amministratori, poiché anche un compenso fisso e costante può essere determinato in misura così elevata da risul- tare sproporzionato ed incidere sul patrimonio sociale, favorendo illegittimamente gli amministratori (il più delle volte anche soci di maggioranza) a danno dei soci (di minoran- za) e dei creditori. Come si è già accennato e come si avrà modo di approfondire, non è tramite la limitazione delle opzioni negoziali a disposizione della società, bensì attraverso più flessibili strumenti legali che possono essere tutelati gli interessi che sono travolti dal

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