lore nominale delle azioni».
(228) «La Corte, in proposito, deve sottolineare con estrema fermezza che un compenso commisurato al fatturato può indurre l’amministratore ad una “allegra” gestione che non ten- ga conto neppure della solvibilità delle eventuali parti contraenti»: così si esprime App. Mila- no, 18 dicembre 1990, cit.
mancato rispetto delle “regole del gioco” in tema di determinazione della remunerazione degli amministratori.
2.2. Dell’equivalenza tra «il compenso» e «la remunerazione» e sulle «partecipazioni
agli utili» come costi di esercizio. ⎯ Come si è accennato, l’art. 2389 cod. civ. nel disci-
plinare la retribuzione spettante in via generale agli amministratori utilizza il termine «compensi» nel 1° comma, mentre nel 3° comma si riferisce alla retribuzione destinata a- gli amministratori «investiti di particolari cariche in conformità dello statuto» mediante il termine «remunerazione» (229).
Tale discrasia impone di chiedersi se anche nel mutato quadro normativo possa essere ribadita l'autorevole interpretazione, formulata con riferimento all’art. 2389 cod. civ. pre- vigente, secondo la quale i «compensi» avrebbero natura e disciplina giuridica diversa dal- la «remunerazione» prevista dal medesimo articolo esclusivamente con riferimento agli «amministratori investiti di particolari cariche in conformità dell’atto costitutivo» (230).
Il quesito è di assoluto rilievo per le conseguenze che potrebbe avere sul tema che qui interessa: si potrebbe infatti muovere da un’eventuale risposta affermativa per sostenere, seguendo il criterio ermeneutico a contrario, che il legislatore abbia implicitamente stabi- lito che solo il compenso, e non anche la remunerazione determinata dal consiglio di am- ministrazione per gli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello sta- tuto, possa consistere in forme di remunerazione aleatoria e/o in incentivi azionari quali le
(229) A dire il vero il comma 3 si esprime nel primo periodo con il termine «rimunerazio- ne» e nel periodo successivo con il termine «remunerazione». Sembra plausibile imputare la distinzione ad una svista del redattore e considerarla priva di conseguenze.
(230) Occorre, seppur brevemente, dare conto dell’articolata e autorevole interpretazione dell’art. 2389 da parte di A.MIGNOLI, Le “partecipazioni agli utili”, cit., p. 104 ss., il quale so- steneva che: (a) poiché il 1° comma dell’art. 2389 indicava separatamente i «compensi» e «le partecipazioni agli utili» e l’art. 2431 (ora 2432) prevedeva (e tuttora prevede) che queste ulti- me dovessero calcolarsi sugli «utili netti risultanti dal bilancio», si doveva concludere che i due termini individuassero due genera distinti sottoposti a diversa disciplina, il primo doven- do qualificarsi come spesa di esercizio, il secondo essendo una forma di impiego degli utili (p. 105 ss.); (b) la diversa terminologia scelta dal legislatore per indicare rispettivamente l’attribuzione patrimoniale nei confronti degli amministratori in generale («compensi e parte- cipazioni agli utili») e quella destinata agli amministratori investiti di particolari cariche («la rimunerazione»), nonché l’attribuzione della relativa competenza decisionale a due diversi organi sociali, fossero indicative di come il legislatore considerasse «il compenso attribuito all'amministratore o al membro di un comitato esecutivo come l'appannaggio, o l'indennizzo, di una carica, e la rimunerazione attribuita all'amministratore investito di particolari cariche come il corrispettivo di un lavoro, o di un servizio, reso alla società» (p. 121) e da ciò l'Autore traeva motivazione per concludere che alla rimunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche non fosse applicabile la disciplina prevista dall’art. 2431 (p. 121).
stock option menzionate (si è detto a titolo esemplificativo) dall’art. 2389, co. 2. Del resto
già con riferimento all’art. 2389 previgente non era mancato chi aveva sostenuto che la remunerazione di cui al 2° comma non avrebbe potuto assumere la forma di partecipazio- ne agli utili (231).
Ebbene, la risposta da dare al quesito è negativa. Difatti, l'articolo 2389, pur mante- nendo una duplice terminologia («compensi» e «remunerazione») con riferimento alle due categorie di amministratori enucleati dalla disposizione (gli amministratori «investiti di particolari cariche in conformità dello statuto» e quelli che non sono chiamati a svolgere tali compiti), nell'ultimo periodo – prevedendo che possa essere definito l’importo com- plessivo della «remunerazione di tutti gli amministratori» – qualifica anche i compensi spettanti agli amministratori “non investiti di particolari cariche” come remunerazione.
Con l’ultimo periodo dell’art. 2389, co. 3, il legislatore mostra quindi di utilizzare in maniera assolutamente fungibile, come puri sinonimi, i termini «remunerazione» e «com- penso»; come parte della dottrina aveva convenuto con riferimento all’art. 2389 cod. civ. previgente (232) e come il “Codice di Autodisciplina” delle società quotate dà per presup- posto, là dove fa riferimento senza alcuna distinzione ora alla remunerazione, ora al com- penso degli amministratori (§ 8).
Se dunque all’eccletismo lessicale che contraddistingue l’art. 2389 non corrisponde alcuna distinzione concettuale, ne consegue che non si può dubitare che anche la «remune- razione» menzionata nel primo periodo del comma 3 dell’art. 2389 possa essere libera- mente strutturata, per quanto concerne retribuzioni variabili e incentivi azionari, alla stessa maniera di quanto espressamente consentito dall’art. 2389, co. 2, con riferimento ai «com- pensi».
Peraltro, sempre con riferimento alla natura giuridica delle diverse componenti retri- butive menzionate dall’art. 2389, è interessante e pertinente rilevare come la nuova formu- lazione dell’art. 2389 sembra aver definitivamente risolto anche i dubbi interpretativi sorti
(231) Così Trib. Roma, 21 dicembre 1953, in Dir. fall., 1954, II, p. 272, e in dottrina C. GIANNATTASIO, Sulla speciale remunerazione dell’amministratore, investito di particolare ca-
riche determinata, ad opera del presidente, in nota a Cass., 12 aprile 1976, n. 1289, in Giust. civ., 1977, I, p. 503. Contra tra i molti A.BARTALENA, Note in tema di compenso degli ammi-
nistratori delegati, in Giur. comm., 1998, I, p. 214; G. CASELLI, Vicende, cit., p. 58; M. FRANZONI, Gli amministratori e i sindaci, in Trattato diretto da F. Galgano, Torino, 2002, p.
94 s.
con riferimento alla natura giuridica della partecipazione agli utili eventualmente assegna- ta agli amministratori.
Occorre al riguardo ricordare che la giurisprudenza teorica pronunciatasi con riferi- mento al previgente art. 2389 risultava divisa tra quanti sostenevano che si trattasse di un costo di esercizio, seppure da computare sulla base del criterio speciale stabilito dall’art. 2432 (allora art. 2431 cod. civ.) (233), e quanti ritenevano invece che la partecipazione a- gli utili dovesse qualificarsi come una forma di impiego degli utili (234).
Orbene, entrambe le ragioni addotte a sostegno di quest’ultima tesi non sembrano po- tersi più proporre con riferimento al novellato art. 2389, co. 2.
Non si può infatti più sostenere né che partecipazione agli utili e compenso siano due
genera distinti (235), né che la prima debba necessariamente trovare la sua giustificazione
causale in una previsione dell’atto costitutivo (236). Ciò in quanto l’art. 2389, co. 2, è ine- quivocabile sia nello stabilire un rapporto di genus a species tra compenso e partecipazio- ne agli utili (237), sia nell’assegnare all’assemblea ordinaria la competenza sulla determi- nazione del compenso.
(233) In tal senso cfr. G.MINERVINI, Partecipazione agli utili e riserva legale nelle società per azioni, in Banca borsa tit. cred., 1965, I, p. 244; C.BRESCIA MORRA, Compenso degli am-
ministratori: commisurazione al fatturato. Brevi note, in Riv. dir. comm., 1988, I, p. 562; G. CASELLI, op. cit., p. 55; M.FRANZONI, Gli amministratori e i sindaci, cit., p. 92, e in giuri-
sprudenza, Trib. Milano, 5 marzo 1984, in Società, 1984, p. 1003.
(234)A.MIGNOLI, op. ult. cit., p. 108; G.FERRI, Partecipazione agli utili, in Enciclopedia
del diritto, XXXII, Milano, 1982, ora riprodotto in ID., Scritti giuridici, Napoli, 1990, vol. III, 1,
p. 700 (da cui si cita). Da ultimo in tal senso anche V.ALLEGRI, L’amministrazione e il con- trollo, inAA.VV., Diritto commerciale, Bologna, 2004, p. 208.
(235) Come riteneva A.MIGNOLI, op. ult. cit., p. 106 ss.
(236) G.FERRI, op. ult. cit., p. 702, ove si precisava che «con riferimento alla partecipa-
zione agli utili degli amministratori l’art. 2389 comma 1 prevede che la determinazione sia fat- ta nell’atto costitutivo come il solo atto nel quale possa essere data agli utili di bilancio una destinazione diversa da quella propria».
(237) Partendo dal postulato che, «mentre per i dipendenti l’utile è assunto quale criterio di calcolo della loro partecipazione, per gli amministratori l’utile è ripartito in concorso con gli azionisti»A.MIGNOLI, op. ult. cit., p. 137 ss., conclude che «si deve trattare di un utile non solo accertato, ma anche distribuibile. Il che, evidentemente, non accade quando l’utile di e- sercizio sia destinato a reintegrare le perdite del capitale sociale»; conf., da ultimo, F. BONELLI, Gli amministratori, cit., p. 130; in senso dubitativo M.FRANZONI, op. cit., p. 98. La
conclusione può essere tenuta ferma, anche rispetto alla diversa qualificazione della parteci- pazione come costo di esercizio, se si condivide l’affermazione di F.CHIOMENTI, op. ult. cit.,
p. 290, secondo il quale gli «utili netti risultanti dal bilancio», ai quali si riferisce l’art. 2432, non sono tali (i.e. «netti») se non vengono previamente coperte le perdite di bilancio ex art. 2433, co. 3. Per quanto concerne le somme derivanti dal fondo sovrapprezzo azioni, la dottrina prevalente (cfr., per tutti,A.MIGNOLI, op. loc. ult. cit.; F.BONELLI, op. loc. ult. cit.) li esclude dalla base di calcolo della partecipazione degli amministratori poiché non possono qualificar- si utili in senso tecnico e perché non può agli amministratori essere imputato alcun contribu- to nella creazione di suddette poste. A.MIGNOLI, op. cit., p. 143 altresì esclude (ex art. 2432)
3. Attribuzione di incentivi azionari e indipendenza degli amministratori. ⎯ La recen- te riforma del diritto societario impone che nel caso si adotti il modello di amministrazione monistico, almeno un terzo dei componenti il consiglio di amministrazione debba essere «in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci dall’art. 2399, primo com- ma, e, se lo statuto lo prevede, di quelli al riguardo previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di gestione di mercati regolamentati» (art. 2409-septiesdecies cod. civ.) e tutti i componenti del comitato per il controllo sulla gestio- ne debbano in possesso «dei requisiti di indipendenza di cui all’art. 2409-septiesdecies» (art. 2409-octiesdecies cod. civ.). Particolare enfasi sugli amministratori indipendenti è al- tresì posta nel disegno di legge contenente «disposizioni per la tutela del risparmio e la di- sciplina dei mercati finanziari», ove si prevede (nella versione approvata dalla Camera il 3 marzo 2005 e attualmente sottoposta all’esame del Senato) l’inserimento nel d.lgs. 58/1998 (in prosieguo tuf) di disposizioni secondo le quali qualora il consiglio di ammini- strazione sia composto da più di sette membri, o il consiglio di gestione sia composto da più di quattro membri, «almeno uno di essi deve possedere i requisiti di indipendenza sta- biliti per i sindaci dall’articolo 148, comma 3, nonché, se lo statuto lo prevede, gli ulteriori requisiti previsti da codici di comportamento redatti da società di gestione di mercati rego- lamentati o da associazioni di categoria».
A fronte dell’enfasi già posta nell’ordinamento vigente sulla figura dell’ «amministra- tore indipendente», e del rilievo crescente che essa sembra destinata ad assumere, risulta di interesse domandarsi se nel nostro ordinamento l’attribuzione di stock option o di re-
stricted stock ad un amministratore comprometta la sua eventuale qualifica di «indipen-
dente» ai sensi di legge (a prescindere dunque dal significato della nozione in base alla