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Milano, 2003, p 274, sottolineano che la disposizione in questione non pone vincoli quanto

«ai modi ed ai destinatari del collocamento».

(211) Sugli oneri procedurali al riguardo cfr. P.MARCHETTI, Gli aumenti di capitale, cit., p. 279 ss.

(212) Con riferimento all’eventualità, distinta dalla fattispecie qui presa in esame, che gli amministratori siano anche dipendenti della società e dunque partecipino in tale veste a piani di stock option approvati ex art. 2441, co. 8, cfr. infra, in questo capitolo par. 5.3.

(213) Sull’intenzione del legislatore come criterio ermeneutico autonomo ovvero ausiliare cfr. R.GUASTINI, L’interpretazione, cit., in Tratt. dir. civ. comm. già diretto da A. Cicu, F.

Messineo, L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano, 2004, p. 150 ss. (214) Art. 2, lett. a) della legge delega 266/2001 (carattere corsivo aggiunto).

cisioni della Corte di Giustizia delle Comunità europee (215) sembrano aprire alla possibi- lità, almeno sul piano giuridico, di un processo di “competizione tra ordinamenti” societari nazionali analogo a quello che sembrerebbe (216) avere luogo negli Stati Uniti.

L’ipotesi del carattere tassativo della disposizione risulta dunque da scartare anche in base a valutazioni di ordine economico, posto che la considerazione delle conseguenze ef- fettive di una norma, se rappresenta in via generale un criterio ermeneutico fondamentale nel diritto degli scambi commerciali (217), è – in virtù del principio di delega sopra ripor-

(215) V. Corte di Giustizia Comunità europee, 9 marzo 1999, n. 212/97, apparsa, ex multis, in Riv. dir. comm., 1999, II, con nota di S.MECHELLI; Corte di Giustizia Comunità europee, 5

novembre 2002, n. 208/00, in Giust. civ., 2002, I, p. 3015; Corte di Giustizia Comunità europee, 30 settembre 2003, n. 167/01, in Società, 2004, p. 373 con nota di F.PERNAZZA.

(216) Il condizionale è d’obbligo considerato che alcuni recenti contributi pongono in dubbio che gli Stati dell’Unione competano effettivamente per indurre le imprese a stabilire la sede legale sul loro territorio: cfr. M.KAHAN e E.KAMAR, The Myth of State Competition in

Corporate Law, in 55 Stanford Law Review 2002, p. 679; una lettura convergente, secondo la quale la “minaccia” di interventi normativi in campo societario da parte del legislatore federa- le incide in maniera decisiva sulle scelte dei legislatori statali, alterando il confronto competi- tivo tra gli stati membri, è proposta anche da M.ROE, Delaware’s Competition, in 117 Har-

vard Law Review 2003, p. 591. Per una ricognizione della vastissima letteratura statunitense in argomento cfr. U.TOMBARI, La nuova struttura finanziaria della società per azioni (Corporate Governance e categorie rappresentative del fenomeno societario), in Riv. soc., 2004, p. 1085, nt. 8.

(217) Con riferimento all’utilità dell’analisi economica come criterio ermeneutico giova ri- chiamare quanto T. ASCARELLI, Funzioni economiche e istituti giuridici nella tecnica dell’interpretazione, in ID., Saggi Giuridici, Milano, 1946, p. 87, scriveva: «non sarà possibile

intendere un istituto giuridico senza rendersi conto della funzione che è destinato a compiere, né valutarlo criticamente senza rendersi conto della funzione effettivamente compiuta. Non sarà possibile l’utilizzazione dei concetti giudici come strumenti euristici per l’applicazione del diritto, senza rendersi conto della funzione dei corrispondenti istituti e cioè in sostanza del significato di quei concetti, né sarà possibile il loro apprezzamento critico indipendente- mente dalla valutazione della loro effettiva portata e della loro reale funzione nella pratica. Questo apprezzamento non è del resto indifferente né pel legislatore né pel cittadino... Né questo apprezzamento può riuscire indifferente all’interprete che, appunto nel compimento della sua missione, non rimane estraneo alla funzione reale assolta dall’istituto giuridico, vuoi per quel valore normativo che pur finiscono per assumere le regolarità sociali, vuoi, e ancor prima, perché la stessa opera di interpretazione, nella ricostruzione della norma come nella ricostruzione della fattispecie, importa un margine, sia pur minimo, di discrezionalità dentro il quale l’interprete è sempre un poco legislatore, non potendo perciò trascurare l’effettiva por- tata della norma e la reale funzione dell’istituto nella realtà sociale». Il che, avverte magi- stralmente L. MENGONI, L’argomentazione, cit., p. 1 ss., non significa affatto che l’argomentazione orientata alla conseguenze assuma una posizione di preminenza nel pro- cesso ermeneutico, poiché «nel ragionamento giuridico l’argomento consequenzialista, oltre che alle regole metodiche dell’argomentazione pratica in generale, è soggetto a specifiche re- gole di metodo e a specifici vincoli normativi». Con riferimento a questi ultimi, in particolare, l’Autore sottolinea come «l’argomentazione orientata alle conseguenze è un procedimento eu- ristico di ricerca di ipotesi di soluzione razionalmente fondate, non per sé sola un procedi- mento di verifica. La decisione deve essere giustificata verificandone la congruenza sistema- tica, ossia l’universalizzabilità come principio integrabile a un certo livello di astrazione con-

tato – a maggior ragione dotate di particolare valore cogente nel contesto della riforma so- cietaria.

In conclusione, dunque, si deve sottolineare che, seguendo l’interpretazione della no- vella dell’art. 2389, co. 2, che si è qui proposta, risulta consentita la prassi, diffusa in altri ordinamenti societari a capitalismo avanzato e riscontrata anche in diverse società italiane quotate già prima della riforma, in base alla quale gli amministratori vengono retribuiti non già con stock option che conferiscono il diritto di acquistare «azioni di futura emissio- ne», bensì con stock option che attribuiscono un’opzione di acquisto – a prezzo predeter- minato o indicizzato – di azioni della società o di una sua controllata già emesse. Così co- me risulta altresì lecita l’attribuzione di restricted stock, mediante l’utilizzo di azioni di nuova emissione o di azioni proprie.

Trattasi, come si avrà modo di esporre, di ipotesi che in alcuni casi implicano l’approvazione non dell’assemblea straordinaria bensì di quella ordinaria (chiamata a pro- nunciarsi ai sensi dell’art. 2357 bis cod. civ.) e che possono persino richiedere l’approvazione del solo consiglio di amministrazione, nel caso in cui vengano assegnate – agli amministratori «investiti di particolari cariche in conformità dello statuto» (ex art. 2389, co. 3, cod. civ.) – stock option su azioni di società controllate (218). Si potrebbero dunque manifestare perplessità in relazione al più ridotto quorum assembleare richiesto e all’eventuale completa estromissione dell’assemblea dal procedimento attributivo.

Orbene, per quanto appaia condivisibile l’esigenza di assicurare un’adeguata tutela degli azionisti, nondimeno essa non sembra poter avere alcuna portata decisiva nell’interpretazione dell’art. 2389, co. 2.

Il problema può invero essere richiamato a sostegno di considerazioni de iure conden-

do, dirette a sostenere l’opportunità di introdurre una regolamentazione specifica della re-

munerazione aleatoria – in generale e mediante incentivi azionari per gli amministratori (219) – che la subordini in ogni caso ad una specifica deliberazione assembleare. Ma non può rappresentare un argomentazione idonea a superare le considerazioni di carattere for- male e sostanziale che inducono a ritenere preferibile la lettura che si è appena proposta rispetto all’unica interpretazione alternativa possibile dell’art. 2389, co. 2, quella secondo

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