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la disposizione potrebbe quindi indurre a pensare che il consiglio di gestione non sia legitti-

mato all’impugnazione perché non espressamente menzionato e correlatamene non abbia al- cuna responsabilità per omessa impugnazione. Tale conclusione, che darebbe luogo ad una discrasia di disciplina ingiustificata e irragionevole, sembra doversi confutare alla luce dell’art. 2380, co. 3, il quale dispone che «le disposizioni che fanno riferimento agli ammini- stratori si applicano a seconda dei casi al consiglio di amministrazione o al consiglio di ge- stione». La disposizione consente quindi di affermare che, nonostante la formulazione lessi- cale dell’art. 2377, anche il consiglio di gestione abbia il potere-dovere di impugnare le delibe- razioni assembleari annullabili. La medesima disposizione rappresenta peraltro un dato te- stuale sulla base del quale si potrebbe asserire che anche gli amministratori non sono legitti- mati individualmente bensì solo collegialmente, coerentemente con quanto esplicitamente previsto per i componenti del collegio sindacale e del consiglio di sorveglianza (cfr. più diffu- samente R.LENER, sub art. 2377, in Aa. Vv., Società di capitali. Commentario, cit., p. 553).

(383) Così G.OPPO, Amministratori e sindaci di fronte alle deliberazioni assembleari in-

valide, in Riv. dir. comm., 1957, I, p. 225 ss., ora in ID., Scritti giuridici. Diritto delle società, Padova, 1992, vol. II, p. 394 (da cui si cita). Conf. F.GALGANO, Diritto commerciale. Le socie-

tà, Bologna, 2004, p. 163. Nel medesimo senso, con specifico riferimento ai sindaci, cfr. G. CAVALLI, I sindaci, in Tratt. soc. az. diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, vol. 5, Torino,

1988, p. 132; ID.,Il collegio sindacale, inG.CAVALLI,M.MARULLI e C.SILVETTI,Le società per

azioni, in Giur. sist. dir. civ. comm. fondata da W. Bigiavi, Torino, 1996, p. 882.

(384) Cfr. V. ALLEGRI, Contributo, cit., p. 218 s.; V. CALANDRA BUONAURA, Gestione

dell’impresa, cit., p. 209 ss.; G. Cavalli, F. DI SABATO, Diritto delle società, cit., p. 269; F. FERRARA jr e F.CORSI, Gli imprenditori e le società, cit., p. 501; P.G. JAEGER, L’interesse so-

ciale, cit., p. 173; G.ZANARONE, L’invalidità delle deliberazioni assembleari, in Tratt. soc. az. diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, vol. 3, II, 1993, Torino, p. 266 ss., ove trovasi una cri- tica delle molteplici giustificazioni addotte in dottrina a sostegno della sussistenza di tale ob- bligo e delle conseguenze che ne conseguono. Una posizione vicina, ma distinta, da quella di questi aa. è assunta da R. RORDORF, Impugnazione dei deliberati assembleari, in Società,

1992, p. 1203, il quale ritiene che «il fondamento logico di siffatta legittimazione non risiede nella tutela dell’interesse dei soci…ma va invece ricercato nell’interesse della stessa società, per i molteplici riflessi che possono derivare nei riguardi dei terzi e del mercato in genere». Riconduce all’interesse

l’invalidità e la dannosità della medesima sia riconoscibile tramite la diligenza richiesta dagli artt. 2392, co. 1, 2381, co. 6 e 2407 cod. civ. (385).

Così è con riferimento alle deliberazioni che attribuiscano un compenso irragionevol- mente sproporzionato: il danno che tali deliberazioni comportano per il patrimonio sociale rende palese l’integrarsi dello specifico obbligo degli amministratori di esercitare i poteri di cui dispongono al fine di evitare il prodursi di «fatti pregiudizievoli» (ex art. 2392, co. 2, cod. civ.) e il corrispondente dovere dei componenti il collegio sindacale (art. 2407, co. 2, cod. civ.) ed il consiglio di sorveglianza (art. 2409-terdecies, co. 3, cod. civ.)

Più articolato è invece il ragionamento che conduce alla configurazione di un obbligo di impugnazione rispetto all’ipotesi di deliberazioni attributive di incentivi azionari che (pur essendo “congruamente determinati”, anche tenendo in considerazione il valore delle altre componenti del pacchetto retributivo) si rivelino, nelle specifiche circostanze, con- cessi al fine precipuo di ledere la posizione di influenza sulla gestione sociale di un socio rispetto ad altri soci (386). Il dovere di impugnazione rispetto a deliberazioni di questo ge- nere risulta fondato in base alla constatazione che l’ interesse della società non si configu- ra, come si è in precedenza rilevato, solamente come l’interesse alla conservazione dell’integrità patrimoniale, bensì come una pluralità di interessi tra i quali trova colloca- zione anche l’interesse individuale del socio a mantenere inalterata la propria posizione di potere nell’ambito della società (387). Se così è, coerentemente con tale premessa si deve ritenere che l’ambito di estensione dello specifico obbligo “di attivazione” degli ammini- stratori rispetto a «fatti pregiudizievoli» portato dall’art. 2392, co. 2, (così come il corri- spondente dovere di attivazione dei componenti il collegio sindacale, ex art. 2407, co. 2, ed il consiglio di sorveglianza, ex art. 2409-terdecies, co. 3) non può ritenersi circoscritto alla sola ipotesi in cui si prospetta un decremento patrimoniale della società, bensì si deve ritenere esteso a tutte le fattispecie in cui si prospetta un illegittimo “pregiudizio” per uno degli interessi rientranti nella sfera dell’interesse sociale.

(385) Non può essere ovviamente fonte di responsabilità l’omessa impugnazione di una deliberazione consiliare la cui invalidità non poteva essere accertata dagli amministratori as- senti o dissenzienti utilizzando la diligenza ad essi richiesta dalla legge.

(386) Cfr. supra, in questo capitolo parr. 9 ss.

(387) Per riferimenti normativi e di dottrina cfr. supra, in questo capitolo nt. 363. Del re- sto, che si tratti di un interesse sociale lo si coglie già sul piano economico non appena si considera che la sua tutela, garantendo ciascun socio sulla “stabilità delle regole del gioco”, incentiva l’ingresso (vale a dire l’ investimento) nella società e dunque riduce per quest’ultima il costo del capitale di rischio.

Posto dunque che, persino riconducendo il fondamento del dovere di impugnazione all’interesse sociale inteso come interesse dei soci, si rivela sussistente un obbligo di im- pugnazione da parte degli amministratori, del collegio sindacale (ex art. 2407) e del consi- glio di sorveglianza (ex art. 2409-terdecies, co. 3) rispetto ad entrambe le tipologie di deli- berazioni assembleari, occorre notare che la differenza tra le due situazioni insiste sul sog- getto che subisce il danno derivante dall’attuazione della deliberazione.

L’omissione colposa o dolosa di amministratori e sindaci consente il prodursi, nel primo caso, di un danno che viene patito dalla società, nel secondo di un danno che è di-

rettamente subito dal socio il quale vede il ridursi il valore “idiosincratico” della parteci-

pazione complessiva dallo stesso detenuta (388).

Pertanto nel primo caso la società ai sensi dell’art. 2393, o i soci per suo conto ex art. 2393-bis, sono legittimati ad agire nei confronti di amministratori, sindaci e componenti del consiglio di sorveglianza (389) che abbiano omesso di impugnare la deliberazione in- valida. Non sembra infatti più proponibile ad esito della riforma la tesi di quell’autorevole dottrina secondo la quale l’adozione della deliberazione invalida da parte della società

(388) Circa la prospettazione di un danno diretto rispetto alla deliberazione determinativa del compenso degli amministratori, si è già esposto (cfr. supra, in questo capitolo par. 9 ss.) che esso è configurabile nel caso in cui la remunerazione in stock option e restricted stock è quantitativamente congrua per valore, e dunque non danneggia il patrimonio sociale, ma è diretta ad alterare la distribuzione di potere tra le contrapposte compagini sociali e comporta pertanto un deprezzamento del valore di mercato della partecipazione complessiva del socio posto in una situazione di minoranza. Per quanto concerne la possibilità di commisurare il danno tenendo in considerazione il valore della partecipazione nel suo complesso, giova ri- chiamare le considerazioni di G.FERRI, Le società, in Tratt. dir. civ. it., fondato da F. Vassal-

li, vol. X, t. 3, 1987, p. 464: «la suddivisione del capitale in azioni non esclude che anche la par- tecipazione complessiva di una persona nella società possa in talune situazioni assumere rile- vanza giuridica. Vi sono diritti, poteri e responsabilità che non sono inerenti alle azioni, ma che sono funzione della partecipazione complessiva del capitale sociale… ». Amplius su que- sto profilo cfr. A.NUZZO, L’abuso, cit. p. 233 s.

(389) Si osservi che l’art. 2409-quaterdecies non menziona l’art. 2407, co. 3, tra le norme del collegio sindacale direttamente applicabili al consiglio di sorveglianza. Si potrebbe dun- que da ciò desumere l’inesperibilità dalle azioni previste dagli artt. 2393, 2393-bis, 2394, 2394- bis e 2395 (e richiamate per l’appunto dall’art. 2407-ter, co. 3) nei confronti dei componenti di tale organo. Tuttavia, l’azione sociale di responsabilità nei confronti dei componenti il consi- glio di sorveglianza è espressamente prevista dall’art. 2364-bis, n. 3, mentre le rimanenti azio- ni possono ritenersi consentite ai sensi del più volte citato art. 223-septies disp. att., che rende applicabili al consiglio di sorveglianza, in quanto compatibili, le norme previste per il collegio sindacale e dunque anche l’art. 2407, co. 3 (così F.CORSI, Le nuove società di capitali¸ cit., p.

105; A.GUACCERO, sub artt. 2409-octies/2409-quinquiesdecies, in AA.VV., Società di capitali. Commentario, cit. p. 901; L.PANZANI, sub art. 2409-terdecies, inAA.VV., Codice commentato

delle nuove società, cit., p. 626; in via dubitativa M.C.BREIDA, sub art. 2409-terdecies, cit., p. 1193; per l’inapplicabilità dell’art. 2393-bis si esprime V.CALANDRA BUONAURA, I modelli di

amministrazione e controllo nella riforma del diritto societario, in Giur. comm., 2003, I, p. 533)

comporterebbe, in conseguenza del divieto di venire contra factum proprium, la carenza di legittimazione della medesima società all’azione di risarcimento (390). Il divieto appena evocato, e il principio sul quale esso si fonda, non sono invocabili nell’ipotesi in questione sia perché non è riferibile alla società una volontà che si è invalidamente formata (e dun- que non è sul piano giuridico imputabile alla società quel “comportamento incoerente” che è fondamento del divieto di venire contra factum proprium) (391), sia e soprattutto perché il legislatore compiendo una netta scelta di politica del diritto volta a valorizzare ed intensificare il ruolo degli amministratori quali responsabili – e garanti nei confronti dell’intera compagine sociale – di una gestione indirizzata al conseguimento dell’interesse di sociale, ha riconosciuto (secondo l’interpretazione prevalente dell’art. 2364, n. 5, cod. civ.) il diritto della società di agire nei confronti degli amministratori persino per quegli atti di gestione che siano specificamente autorizzati dall’assemblea (392). Se dunque il le- gislatore esclude esplicitamente che il divieto di venire contra factum proprium possa es- sere utilizzato per esonerare gli amministratori dalla responsabilità per l’esecuzione di de- liberazioni valide e specificamente autorizzate dell’assemblea che risultino pregiudizievoli per la società, a maggior ragione si deve ritenere inapplicabile il divieto in questione in re- lazione a deliberazioni assembleari che, oltre che essere dannose per la società, siano an- che invalidamente assunte.

I termini del problema, e la conclusione, cambiano nella seconda eventualità in prece- denza prospettata, nella quale sono i singoli soci direttamente danneggiati dalla delibera- zione invalida ad essere legittimati ad agire nei confronti di amministratori e sindaci, ai sensi dell’art. 2395 e dell’art. 2407, co. 2 e 3, cod. civ., per il danno conseguente all’illegittima omissione del loro dovere di impugnazione.

Rispetto a questo tipo di azione il divieto di venire contra factum proprium, e la con- seguente preclusione all’azione di risarcimento, sembra assumere rilievo sia per i soci che abbiano votato a favore della deliberazione sia per i soci assenti o dissenzienti che possie-

(390) Cfr. G.OPPO, Amministratori e sindaci, cit., p. 394.

(391) Sull’applicabilità di questo principio all’esecuzione di delibere invalide cfr., con ar- gomentazioni diverse, G.SCORZA, Gli amministratori di società per azioni di fronte alle deli-

bere invalide dell’assemblea, in Riv. soc., 1963, p. 521; A.PATRONI GRIFFI, Il controllo giudi-

ziario sulla società per azioni, Napoli, 1971, p. 178 ss.; V.CALANDRA BUONAURA, Gestione, cit., p. 209, ntt. 144 e 145.

(392) Così V. CALANDRA BUONAURA, I modelli, cit., p. 538;F.GALGANO, op. ult. cit., p. 269; B.LIBONATI, L’impresa,cit., p. 217; B.PETRAZZINI, sub art. 2364, in AA.VV., Il nuovo

diritto societario. Commentario, cit., p. 474; D.U.SANTOSUOSSO,La riforma del diritto socie- tario, Milano, 2003, p. 102.

dano una partecipazione superiore alla soglia stabilita dall’art. 2377, co. 4, (o dallo statuto) per l’impugnazione della deliberazione. Difatti, il comportamento attivo, per i primi, e l’eventuale acquiscienza alla deliberazione assembleare dai medesimi impugnabile, per i secondi, dovrebbero precludere a tali soggetti, che con il loro comportamento hanno im- plicitamente accettato le conseguenze della deliberazione assembleare, il ricorso all’azione

ex art. 2395 (393). Essa si prospetta pertanto un’opzione accessibile esclusivamente per gli

azionisti che detengano una partecipazione sociale tale da non consentire l’impugnazione della deliberazione assembleare ex art. 2377, co. 4.

9.4. L’azione di risarcimento nei confronti del socio di controllo. ⎯ Constatate dun- que le condizioni al ricorrere delle quali la società ex artt. 2393 e 2393-bis e, dall’altro la- to, i singoli azionisti ex art. 2395, possono ricorrere nei confronti di amministratori e sin- daci per la colposa omissione dell’esercizio del loro potere di impugnazione di una delibe- razione assembleare invalida attributiva di incentivi azionari, va altresì rilevato che si può fondatamente sostenere che il socio può, e siamo qui alla seconda delle due opzioni a cui si è da principio accennato, agire per il risarcimento del danno anche nei confronti di una parte dei soci.

A tale conclusione si potrebbe in primo luogo giungere sostenendo che il silenzio dell’art. 2377, co. 4, consenta di includere nel novero dei legittimati passivi non solo la società ma anche i soci che abbiano votato a favore della deliberazione annullabile.

Il problema è stato invero già posto dalla dottrina, la quale ha sottolineato come dalla soluzione positiva derivi il pericolo di un eccessivo disincentivo all’esercizio del voto, in particolar modo qualora la responsabilità fosse indiscriminatamente estesa a tutti coloro che hanno votato a favore della deliberazione, anche agli azionisti inconsapevoli che non ne abbiano tratto alcun vantaggio (394).

Pertanto, onde evitare tale epilogo, questa stessa dottrina si è espressa a favore dell’adozione di un criterio applicativo che, in analogia a quello portato in tema di “abuso”

(393) Cfr. V.CALANDRA BUONAURA, Gestione dell’impresa, cit., p. 210. È da ritenersi le-

gittimo che i soci che abbiano impugnato la deliberazione agiscano anche ex art. 2395 per la reintegrazione del danno che essi eventualmente subiscano nonostante la proposizione dell’azione di annullamento.

nell’attività di direzione e coordinamento dall’art. 2497, co. 2 (395), circoscriva la respon- sabilità ai soci a cui è imputabile «un comportamento ulteriore rispetto alla mera parteci- pazione alla delibera illegittima, in sostanza un’attiva partecipazione alle anomalie su cui si fonda la sua invalidità» (396).

A prescindere dalla legittimità di siffatta delimitazione, occorre osservare che, in sé, l’inclusione dei soci nell’ambito dei legittimati passivi ex art. 2377, co. 4, appare una scel- ta di politica del diritto non condivisibile se ci si prefigge di offrire un’effettiva tutela ri- sarcitoria ai soci che non siano legittimati all’impugnazione ex art. 2377, co. 4.

Ciò in quanto l’estensione del novero dei legittimati passivi ex art. 2377, co. 4, nel senso appena prospettato introdurrebbe nell’ordinamento una forma di tutela “tipica” e “speciale”, tale da escludere il ricorso alla tutela risarcitoria per esercizio illegittimo del diritto di voto (attraverso quindi un’azione di responsabilità priva di termini di decadenza) che i soci non legittimati all’impugnazione della deliberazione assembleare altrimenti po- trebbero far valere (nei confronti di una parte dei soci che abbiano votato a favore delle deliberazioni annullabili) facendo riferimento al generale dovere di correttezza (o dovere «fiduciario» di protezione che dir si voglia) (397) che nel nostro ordinamento presiede an- che allo svolgimento dei rapporti tra i soci, come riconosciuto dalla stessa Suprema Corte (398).

Difatti, non sembra si possano sollevare obiezioni circa la legittimità del ricorso alla tutela risarcitoria nella fattispecie in considerazione: appare risolutivo in tal senso consta-

(395) La disposizione circoscrive la relativa responsabilità solidale a «chi abbia comun- que preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consape- volmente tratto beneficio»

(396) C.ANGELICI, op. ult. cit., p. 109.

(397) Riconosce la sussistenza di un obbligo di correttezza sia nei rapporti endosocietari sia con riferimento ad attività (formalmente) esterne all’azione sociale ma riconduce tale ob- bligo («fiduciario») alla posizione di potere «anche sugli interessi altrui (oltre che sui propri)» in cui si viene a trovare il socio di controllo (il che non esclude, come osserva lo stesso Autore, che il vincolo di correttezza si applichi anche con riferimento ad eventuali “abusi del socio di minoranza”) M. STELLA RICHTER jr, “Trasferimento del controllo”, cit., p. 268 ss., in part.

278, il quale sviluppa l’impostazione diC.ANGELICI, Parità, loc. cit., e ID., Rapporti sociali, cit., p. 1013 ss.

(398) Cfr. Cass., 26 ottobre 1995, n. 11151, cit., ove si legge che «l’esistenza di un dovere di lealtà e di correttezza a carico dei soci, nei loro reciproci rapporti, è desumibile, oltre che dalla disciplina generale del diritto delle obbligazioni anche dalle norme che più direttamente ri- guardano il diritto delle società. A differenza di quanto avviene nei contratti di scambio, nei quali l’avvenimento che soddisfa l’interesse di uno dei contraenti è diverso da quello che sod- disfa l’interesse dell’altro, in questo caso la realizzazione dell’interesse dipende, per ognuno, dal conseguimento di una finalità mediata, comune per tutti» (corsivo in orginale). Per la dot-

tare come la stessa, autorevole, tesi che in passato ha espresso parere ostativo rispetto alla possibilità di configurare un’azione risarcitoria per esercizio del voto da parte di un socio in violazione del dovere di correttezza (diversamente dalla soluzione sostenuta da altra parte della nostra dottrina (399) e già accolta nell’ordinamento francese) (400) si fonda principalmente su un asserito rapporto di «reciproca esclusione» tra la tutela invalidante e quella risarcitoria (401).

Siffatto rapporto oggi – ad esito della novella dell’art. 2377 – non solo non può essere richiamato come ragione preclusiva dell’azione risarcitoria rispetto a soci non legittimati all’impugnazione della deliberazione assembleare, ma piuttosto conferma, sul piano logi- co, la necessità dello strumento risarcitorio a fronte dell’inaccessibilità al rimedio invali- dante, come del resto è stato già rilevato con riferimento all’art. 2504-quater, co. 2402.

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