due apparentemente differenti statuizioni, poiché in tanto si può giudicare – in una prospetti- va che si collochi in un momento anteriore all’espressione del voto a priori e non tenga quindi conto della convenienza che la deliberazione ha effettivamente avuto per la società a posterio- ri – un compenso “eccessivo” in quanto risulti “irragionevole” il criterio adottato per la sua determinazione o la sua concreta applicazione. In breve, una valutazione che si concluda ri- tenendo “eccessivo” il compenso non può che discendere dal riscontro del mancato rispetto del parametro di ragionevolezza utilizzato come criterio di valutazione (cfr. in proposito quanto detto infra in questo paragrafo). Se così è, non coglie nel segno l’affermazione, che si incontra in alcuni commenti alle citate sentenze, secondo la quale la giurisprudenza richiede- rebbe, per la sussistenza del conflitto di interesse, che il compenso sia “irragionevole o ecces- sivo”.
(343) Come accennato nel testo, giunge sul piano pratico alla medesima conclusione ma seguendo una diversa impostazione concettuale la dottrina prevalente (P.G. JAEGER, Ancora
sulla determinazione, cit., p. 800; G.CASELLI, op. cit., p. 53; M.CASSOTTANA, L'abuso di po- tere a danno della minoranza, Milano, 1992, p. 63, nt. 7;D.PREITE, Abuso di maggioranza e
conflitto di interessi del socio nelle società per azioni, in Tratt. soc. az. diretto da G.E. Co- lombo e G.B. Portale, vol. 3, II, Torino, 1993, p. 164), la quale osserva che «i giudici tendono a confondere il requisito della pericolosità della delibera con il presupposto della situazione di conflitto d’interessi del socio con la società, che è in re ipsa tra le due parti contrapposte di un contratto» (così P.G.JAEGER, op. loc. ult. cit.) ma – aggiunge – ciò non è sufficiente a rendere
annullabile la deliberazione ex 2373, poiché grava sull’attore l’onere di dimostrare che la retri- buzione è sproporzionata e pertanto sussiste quel danno potenziale per la società che costi- tuisce il secondo requisito che integra la fattispecie del conflitto di interesse.
R.WEIGMANN, Compensi, cit., c. 799, ha auspicato un’inversione dell’onere della prova,
così da da richiedere all’attore solo la dimostrazione della sussistenza della situazione di con- flitto e imporre quindi al convenuto di provare che la deliberazione non comporta alcun dan- no nonostante la partecipazione al voto del socio-amministratore. Per una descrizione del si- stema statunitense che impone al convenuto e non all’attore, in caso di partecipazione alla decisione del consiglio di amministrazione da parte dell’amministratore in conflitto, l’onere di dimostrare che l’operazione è in ogni caso congrua (fair) dal punto di vista sostanziale v. R. WEIGMANN, op. loc. ult. cit., e L.ENRIQUES, Il conflitto, p. 62 ss.
(344) Così P.G.JAEGER, Ancora sulla determinazione, cit., p. 804.
(346) sfoci in un vero e proprio giudizio arbitrario sull’opportunità delle scelte imprendito- riali compiute dalla società (347). L’identificazione di questi parametri assume quindi ri- lievo centrale.
Tra le diverse posizioni che si riscontrano sul punto, convince, sia sul piano formale sia su quello sostanziale, la tesi secondo cui l’elemento di riferimento più significativo per determinare la congruità del compenso debba essere il «compenso corrente nel mercato per analoghe prestazioni, in relazioni a società di analoghe dimensioni» (348). In partico- lare, appare corretto tenere presente che il compenso scaturisce da un processo di negozia- zione tra domanda e offerta che impone pertanto di prendere in considerazione, dal lato della domanda, le caratteristiche finanziarie, dimensionali e merceologiche dell’impresa nonché il tipo di prestazione e di impegno che viene richiesto all’amministratore, e, dal la-
(346) Così P.G.JAEGER, op. ult. cit., p. 805. Già F.CARNELUTTI, Eccesso di potere nelle
deliberazioni delle assemblee delle anonime, in Riv. dir. comm., 1926, I, p. 177, osservava co- me «sarebbe… un errore il credere che il controllo di legittimità non permetta al giudice, in nessun caso, un esame del merito della deliberazione».
(347) Sottolinea come il confine tra dovuto e abusivo possa essere in concreto molto labile R.WEIGMANN, in nota a Trib. Milano, 29 giugno 1992, cit., il quale tuttavia conclude sottoli-
neando come «in questi casi l’intromissione del giudice negli affari privati è un rischio da cor- rere, se si vuole reprimere energicamente la frode e la prepotenza». Per una discussione dei concetti di ragionevolezza, arbitrio, equità e del ruolo del giudice rispetto ad essi, cfr. G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Torino, 1992, p. 179 ss.
(348) Così F.BONELLI, Gli amministratori, cit., p. 126, nt. 168, osservando che il riferi-
mento ai compensi “di mercato” è giustificato dal richiamo agli “usi” di cui all’art. 1374 in tema di integrazione del contratto, dall’art. 2233 in tema di compenso delle professioni intel- lettuali, e dall’art. 1709 in tema di mandato. Per l’adozione di un criterio analogo nel caso in cui le parti non abbiano determinato alcun compensoL.NAZZICONE, sub art. 2389, cit., p.
135. Una posizione a favore del riferimento al mercato è manifestata da Cass., sez. trib., 9 maggio 2002, in Dir. prat. trib., II, p. 921, con nota di F.M. GIULIANI, la quale, statuendo (con
un netto revirement rispetto a Cass., sez. trib., 30 ottobre 2001, n. 13478, in Dir. prat. trib., 2002, II, p. 21) che l’amministrazione finanziaria non dispone più (in seguito all’abrogazione dell’art. 59 d.p.r. 597/1973) del potere di valutare la congruità dei compensi deducibili liquida- ti agli amministratori nelle società di persone, ha precisato che «l’eliminazione (in sede di re- dazione del t.u.i.r.) del riferimento del limite delle “misure correnti per gli amministratori non soci” ha… tolto all’amministrazione (verosimilmente in maniera innovativa e senza che ve ne fossero ragioni convincenti e condivisibili) il potere di ricondurre ai prezzi di mercato previsti per gli amministratori non soci (prezzi facilmente individuabili nel concreto) i compensi sproporzionati» (carattere corsivo aggiunto).
Per una rassegna dei vari criteri e delle norme di riferimento indicate dalla giurispruden- za che si è interessata del problema (e che in taluni casi ha sostenuto l’applicabilità dell’equità, in altri si è richiamata all’art. 1709 in tema di mandato, in altri ancora ha deciso basandosi sui principi portati dall’art. 2233 in tema di compenso) cfr. F.BONELLI, op. loc. ult. cit.; A.DI AMATO, op. cit., p. 223
to dell’offerta di lavoro, le caratteristiche specifiche (quali la preparazione e la reputazione professionale) dell’amministratore (349).
Non risulta invece condivisibile, se applicata alla lettera, l’affermazione, tratta da al- cune pronunce, secondo cui ai fini della valutazione occorra fare riferimento alla situazio- ne patrimoniale e all’andamento economico della società (350). Tali dati possono a ragio- ne essere utilizzati in funzione ancillare, come elementi sintomatici di un compenso che si asserisce essere irragionevolmente sproporzionato per il divario che presenta rispetto ai parametri di mercato, ma non possono essere impiegati come un criterio di valutazione a sé stante della legittimità del compenso. Di ciò si ha contezza non appena si considera che:
(a) una situazione di perdite di esercizio può comunque giustificare un importante com-
penso all’amministratore quando questi presenti le qualità necessarie per il rilancio dell’impresa (351); (b) nella fase iniziale dell’impresa, in cui tipicamente il fatturato è modesto e gli utili assenti, l’amministratore viene chiamato a svolgere un compito partico- larmente impegnativo compito per il quale la stessa giurisprudenza gli riconosce il diritto ad una congrua remunerazione (352).
Particolare cautela impone inoltre il riferimento alle tariffe professionali, contenuto in diverse decisioni che hanno affrontato il problema della determinazione del compenso de- gli amministratori (353). L’adozione acritica della tariffa professionale può difatti condur- re alla definizione di un compenso del tutto avulso da quello che si determinerebbe nella realtà di una contrattazione paritetica tra società e potenziale amministratore, poiché la ta- bella tariffaria – al di là della sua rigidità e staticità – si rivela un parametro del tutto ina- deguato, sia rispetto alle mansioni in concreto svolte dall’amministratore (che sono solo in
(349) Cfr. in tal senso anche G.CASELLI, op. cit., p. 60, che sottolinea come si debba «tro-
vare il giusto punto di equilibrio tra prestazione e controprestazione».
(350) Cfr. da ultimo Trib. Milano, 17 settembre 1987, cit.; Trib. Milano, 27 aprile 1989, cit.; Trib. Milano, 6 febbraio 1992, cit.; Trib. Milano, 29 giugno 1992, cit. In ambito tributario v. Cass. 30 ottobre 2001, n. 13478, cit., la quale ha ritenuto legittima la valutazione di congruità da parte dell’amministrazione finanziaria dei compensi deducibili corrisposti agli ammini- stratori, asserendo che tale valutazione va condotta in rapporto ai ricavi e all’oggetto dell’impresa (contra, sia per quanto concerne l’illegittimità in base al diritto positivo di una valutazione di congruità da parte dell’amministrazione, sia per quanto riguarda il metodo di valutazione eventualmente adottabile v. Cass. sez. trib., 30 ottobre 2001, n. 13478, cit.).
(351) Conf. App. Milano, 5 gennaio 1996, cit., ove si precisa che la sproporzione del com- penso è da valutare non tanto in relazione all’andamento economico della società quanto so- prattutto in relazione alla qualità e quantità delle prestazioni richieste o fornite dagli ammini- stratori.
(352) Cfr. in tal senso R.WEIGMANN, in nota a Trib. Milano, 29 giugno 1992, cit., c. 236, e
P.G.JAEGER, Ancora sulla determinazione, cit., p. 805. (353) V. per riferimenti A.DI AMATO, op. cit., p. 223.
parte, o non sono affatto, attinenti alla categoria professionale alla quale egli appartiene), sia in rapporto alle responsabilità assunte dall’amministratore (che sono ben diverse da quelle tipiche della categoria professionale alla quale si faccia riferimento).
9.1.1. (segue) invalidità per “abuso della regola di maggioranza”. ⎯ Quanto appena detto circa la necessità che il giudizio di legittimità del compenso si arresti ad un controllo (pur sostanziale ma pur sempre e solo) sul procedimento e non scivoli sul piano dell’opportunità economica e gestionale della scelta assembleare, deve ribadirsi a maggior ragione rispetto all’ipotesi in cui l’annullamento della deliberazione assembleare determi- nativa della retribuzione degli amministratori si fonda sulla sola irragionevolezza del suo contenuto, senza nulla richiedere in ordine alla dimostrazione di un interesse extrasociale in capo alla maggioranza (354). Non mancano invero nella casistica giurisprudenziale pronunce che hanno statuito che le deliberazioni che qui interessano sono annullabili, ex art. 2377, per “eccesso di potere” sulla base della sola constatazione dell’irragionevole
sproporzione del compenso attribuito all’amministratore (355) (356).
(354) In termini generali, sul ruolo della ragionevolezza come criterio di valutazione della legittimità delle deliberazioni assembleari cfr., oltre alla dottrina citata infra in nt. 150, F. GUERRERA, Abuso del voto e controllo di «correttezza» sul procedimento deliberativo assem-
bleare, in Riv. soc., 2002, passim e in part. p. 215, 255, 268, 278; ID., La responsabilità “delibe- rativa” nelle società di capitali, Torino, 2004, p. 156 ss. e 188 ss.
(355) Trib. Milano, 5 marzo 1984, in Società, 1984, p. 1003; Trib. Milano, 2 maggio 1988, in Società, 1988, p. 832; Trib. Napoli, 30 luglio 1994, in Giust. civ., 1995, I, p. 1678; Trib. Mila- no, 20 novembre 1995, in Giur. comm., 1996, II, p. 825; App. Milano, 29 marzo 1991, cit. (obiter dictum). Riconosce che «a fronte dell’attribuzione di compensi sproporzionati, con o senza il voto dell’amministratore interessato, è possibile impugnare la deliberazione per eccesso di potere o, meglio, per abuso di potere o violazione del dovere di buona fede» anche L. NAZZICONE, op. ult. cit., p. 134.
(356) È interessante in proposito osservare che persino negli Stati Uniti, nello stato del Delaware – nel quale le Corti, in ossequio alla regola che preclude al giudice di sindacare il merito delle scelte imprenditoriali (la c.d. business judgment rule,sulla quale v., per tutti,F. BONELLI, Gli amministratori, cit., p. 183 ss.), tradizionalmente si astengono dal porre in di- scussione le determinazioni del consiglio di amministrazione che non presentino indizi di conflitto di interesse – è riconosciuta la possibilità di un’azione di risarcimento nei confronti dei componenti il consiglio di amministrazione (a prescindere dalla sussistenza di un conflit- to di interessi) quando questi abbiano approvato l’assegnazione di un pacchetto remunerativo che si rivela irragionevole (così da ultimo la decisione della Suprema Corte del Delaware, Brehm v. Eisner, 746 A.2d 244, Del. Sup. 2000). Particolare attenzione merita inoltre la recente decisione In re Walt Disney Co. Derivative Litig., 825 A.2d 275, Del. Ch. 2003, con la quale i giudici, nell’autorizzare la prosecuzione di una derivative action nei confronti di amministra- tori indipendenti convenuti in giudizio per aver approvato un compenso del tutto sproporzio- nato a favore di un amministratore esecutivo, hanno ricordato che la business judgment rule non può essere invocata in presenza di fatti che indicano che i consiglieri, seppur non in con- flitto di interessi, sono stati così inerti da non aver esercitato «any business judgment» e da
A prescindere dalla condivisibilità o meno della scelta, compiuta in tali decisioni, di rifarsi a formule di estrazione pubblicistica (357) come l’ “eccesso di potere” nell’ambito delle diverse e numerose ricostruzioni che la giurisprudenza teorica e quella pratica hanno ad oggi proposto per definire il perimetro dell’ “abuso della regola di maggioranza” (358),