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trina che riconosce la sussistenza di un obbligo di correttezza cfr supra , nt 360 e infra in

questo stesso paragrafo.

(399) Cfr. già F.CHIOMENTI, La revoca delle deliberazioni assembleari, Milano, 1969, p.

216, il quale sottolinea che «validità e liceità sono problemi distinti. Un atto può essere valido e nello stesso tempo illecito. Così una delibera può essere valida, perché rientra nel potere della maggioranza di imporla… ma costituire un atto illecito nei confronti di determinati soggetti, nel nostro caso, di determinati soci. La sanzione, in questi casi, è quella propria di ogni fatto illecito: l’obbligo di risarcire il danno arrecato». Il tema è sviluppato da D.PREITE,

op. cit., p. 80 il quale, dopo aver individuato una serie di indizi normativi a sostegno della ri- levanza giuridica dei rapporti intersoggettivi tra i soci, rileva come «la coesistenza di due di- stinti soggetti obbligati al risarcimento medesimo non siano inutili duplicazioni, ma effetti che l’ordinamento può in ipotesi ritenere necessari ad una piena deterrenza del comporta- mento vietato e ad assicurare un rimedio adeguato agli interessi lesi» (così a p. 84, nt. 23). Desumono il diritto al risarcimento del socio dalla violazione dell’obbligo di buona fede an- che M.CASSOTTANA, op. cit., p. 72 ss.; F.CORSI, Cassazione e contrattualismo societario: un

incontro ?, in Giur. comm., 1996, II, p. 353; A.FERRARI, op. cit., p. 171; F.GUERRERA, Abuso, cit., p. 283 ss.; P.G.JAEGER, Cassazione e contrattualismo societario, cit., p. 338. Sul rimedio

risarcitorio rispetto ad abusi della minoranza cfr. A.MAZZONI, Gli azionisti di minoranza nel- la riforma delle società quotate, in Giur. comm., 1998, I, p. 503; A.NUZZO, L’abuso della mi-

noranza, cit., p. 226 ss. (con considerazioni di carattere generale sul risarcimento dovuto per violazione dell’obbligo di buona fede); G.B.PORTALE, “Minoranze di blocco” e abuso del vo- to nell’esperienza europea: dalla tutela risarcitoria al “gouvernement des judges” ?, in Europa e dir. priv., 1999, p. 178; R.WEIGMANN, «Società per azioni», in Dig. Disc. Priv., sez. comm., vol. XIV, Torino, 1997, p. 396.

(400) Da tempo la giurisprudenza francese riconosce la responsabilità patrimoniale del socio di minoranza che abbia abusato del proprio diritto di voto, condannandolo al risarci- mento del danno (cfr. le decisioni delle Court d’Appel citate da A.FERRARI, op. cit., p. 173, nt.

10, e Cour de Cassation, 6 giugno 1990, in Rev. Soc., 1990, p. 606, citata da F.LEFEBVRE, So- ciètès Commerciales, Levallois,1996, p. 591).

(401) Cfr. lo stesso C. ANGELICI, Le basi contrattuali della società per azioni, in G.B. FERRI e C.ANGELICI, Studi sull’autonomia dei privati, Torino, 1997, p. 129, nt. 67

(402) In tal senso cfr. C.ANGELICI, op. ult. cit., p. 130, nt. 67, ove si richiama lo spunto analogo di A.GENOVESE, L’invalidità dell’atto di fusione, Torino, 1997, p. 91.

La riconduzione della responsabilità del socio votante ad un generale «vincolo di cor- rettezza» o «dovere fiduciario di protezione», piuttosto che all’art. 2377, co. 4, consente peraltro di delimitare opportunamente il rischio di un eccessivo disincentivo all’esercizio del voto. La responsabilità in questione non si estende invero indiscriminatamente nei con- fronti di tutti i soci, per il solo fatto che essi abbiano concorso all’adozione della delibera- zione annullabile: la dottrina risulta difatti sostanzialmente concorde nell’affermare che il vincolo assume contenuto e caratteri diversi in relazione alla specifica situazione in cui si trova ciascun azionista nell’ambito della società e al comportamento in concreto tenuto dallo stesso, così che – si giunge a concludere – la responsabilità per esercizio abusivo del diritto di voto può essere fatta valere solo nei confronti di quei soci che abbiano avuto un peso determinante nell’adozione della deliberazione ed abbiano esercitato il proprio diritto di voto con il fine precipuo, ovvero nella consapevolezza, di realizzare un interesse (extra- sociale) personale o di terzi in danno (dell’integrità patrimoniale) della società o di un in- teresse (sociale) individuale dei soci (403).

Per quanto poi concerne la natura del danno risarcibile mediante l’azione in conside- razione, il socio potrà chiedere la riparazione del danno derivante dalla lesione del proprio interesse alla massimizzazione del valore della sua partecipazione, anche nel caso in cui si tratti di un danno riflesso del decremento patrimoniale della società. È questa una conclu- sione che discende dalla constatazione che l’interesse del socio in quanto “investitore” as- sume rilievo assoluto e pieno riconoscimento nella disciplina della società per azioni, pe- raltro già da prima della recente riforma (404). E che significativo riscontro testuale a tale conclusione si trova anche nell’attuale disciplina sull’attività di direzione e coordinamen- to, in particolare nell’art. 2497 il quale può essere letto come norma speciale che definisce i presupposti di applicazione, in presenza di attività di direzione e coordinamento, di un

generale principio secondo il quale l’esercizio delle prerogative sociali da parte di un a-

zionista “di comando” assurge a fattispecie generatrice di responsabilità direttamente nei

(403) Cfr., per tutti, F. GUERRERA, La responsabilità, p. 155 ss., 363 ss.; A. NUZZO,

L’abuso, cit., p. 198 ss.; M.STELLA RICHTER jr, op. ult. cit., 271 ss.

(404) Cfr. gli Autori citati supra, nt. 379, e la decisione di Cass., 13 gennaio 1999, n. 294, in Foro it., 1999, I, c. 2287, con nota di C.M.BARONE (ove si dà conto dell’inedito precedente –

Cass. 11059/95 – al quale la decisione della Suprema Corte ha fatto riferimento), la quale ha riconosciuto al socio di società di capitali, «in quanto titolare di una situazione giuridica di- stinta da quella dell’ente», la legittimazione «a tutelare autonomamente il complesso di poteri e di diritti amministrativi e patrimoniali costituenti il contenuto della sua partecipazione so- cietaria». Il fatto che nel caso di specie si trattasse di un’azione nei confronti di terzi, e non nei confronti di soci, non sembra mutare il rilievo dell’affermazione di principio.

confronti degli altri soci per la lesione del loro interesse alla redditività ed al valore della

partecipazione, ogniqualvolta esso sia preordinato alla realizzazione di un interesse pro-

prio che esula dalla sfera degli interessi comuni dei soci (405).

10. Tutela “reale” e tutela “risarcitoria” rispetto alla deliberazione del consiglio di

amministrazione che stabilisce la remunerazione degli amministratori investiti di partico- lari cariche in conformità dello statuto (o dei componenti il comitato esecutivo). ⎯ Nelle

pagine che precedono si è proposta una ricostruzione del quadro normativo dal quale e- merge che il medesimo non solo prevede in numerose ipotesi un contributo deliberativo del consiglio di amministrazione nel procedimento che conduce all’attribuzione di incenti- vi azionari, ma contempla anche fattispecie in cui il consiglio di amministrazione può de- cidere, autonomamente, di assegnare stock option o restricted stock agli amministratori investiti di particolari incarichi ex art. 2389, co. 3 (406).

Rispetto a quest’ultimo tipo di decisioni, si è visto, l’assemblea può essere del tutto esclusa dal procedimento (407) ovvero può essere coinvolta per deliberare una modifica statutaria, ex art. 2443, co. 2 (408), che deleghi il consiglio di amministrazione a delibera- re il relativo aumento di capitale (ferma la competenza dell’organo amministrativo per la definizione del contenuto del regolamento del piano e dell’individuazione degli ammini- stratori che ne sono destinatari) (409)o, ancora, per autorizzare ex art. 2357-ter l’impiego di “azioni proprie” a tal fine.

(405) Cfr. in questi termini G.GUIZZI, Partecipazioni qualificate e gruppi di società, in AA. VV., Diritto delle società, cit., p. 340-343. Per considerazioni simili, seppur con diverse

sfumature, V.CARIELLO,Direzione e coordinamento di società e responsabilità: spunti inter- pretativi iniziali per una riflessione generale, in Riv. soc., 2003, p. 1242 ss.; F.GUERRERA, La

responsabilità, cit., p. 153 ss., 311 s.; M. RESCIGNO, Eterogestione e responsabilità nella rifor- ma societaria fra aperture e incertezze: una prima riflessione, in Società, 2003, p. 334.

(406) E agli amministratori che compongono il comitato esecutivo, se si accetta l’interpretazione prospettata supra, in questo capitolo par. 5.

(407) Come esposto, ciò si verifica quando vengono assegnate agli amministratori “dele- gati” azioni di società controllate o stock option su di esse ovvero lo statuto (ex art. 2443, co. 1) già deleghi il consiglio di amministrazione a porre in essere aumenti di capitale, con esclu- sione del diritto di opzione, destinati agli amministratori (cfr. supra in questo capitolo parr. 5. ss.).

(408) Poiché gli amministratori ai fini della disposizione in considerazione non sono e- quiparabili per giurisprudenza e dottrina unanimi ai dipendenti, la delega deve essere attri- buita con le maggioranze previste dall’art. 2441, co. 5, cod. civ.

(409) Lo statuto, prescrive l’art. 2443, co. 1, deve contenere «i criteri a cui gli amministra- tori si devono attenere». La giurisprudenza teorica risulta concorde nel ritenere che i criteri si riferiscono alle ragioni che giustificano l’esclusione del diritto di opzione: cfr., tra le Massime della commissione società del consiglio notarile di Milano approvate il 15 giugno 2004, quella

Siffatto assetto di competenze rende opportuno svolgere una disamina degli strumenti “invalidanti” o “risarcitori” di cui gli azionisti dispongono qualora la deliberazione consi- liare attributiva di incentivi azionari risulti illegittimamente lesiva dei loro interessi, ana- logamente alla riflessione appena condotta con riferimento alle deliberazioni assembleari in tema di remunerazione degli amministratori.

Le norme rilevanti sotto tale profilo sono sia l’art. 2388, co. 4, cod. civ., sul generale regime di validità della deliberazione consiliare, sia l’art. 2391 cod. civ., recante la nuova disciplina degli “interessi degli amministratori”. Si ritiene tuttavia opportuno di seguito ri- volgere l’attenzione esclusivamente sulla prima delle due norme, sia perché l’analisi della disposizione sugli “interessi degli amministratori” non presenta problemi interpretativi specifici con riferimento alla deliberazione determinativa dei compensi degli amministra- tori, sia perché sul piano pratico appare piuttosto marginale e remota l’ipotesi di un’applicazione dell’art. 2391 rispetto alla deliberazione consiliare determinativa del compenso dell’amministratore (410).

Occorre peraltro precisare che l’oggetto del presente scritto non richiede, e piuttosto sconsiglia per la linearità del discorso, di fornire una risposta esauriente e completa su un tema così vasto e articolato quale il regime dell’invalidità delle deliberazioni consiliari ri- sultante dalla riforma dell’art. 2388, in particolare con riferimento al problema dell’applicabilità della disciplina portata dall’art. 2379 in ipotesi di deliberazioni consiliari con oggetto impossibile o illecito (411).

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