LIBERTÀ E FACOLTÀ DELL’ANIMO
4. Appercezione empirica e trascendentale
Quanto detto fin qui costituisce il presupposto per comprendere la distinzione, che Kant introduce già nel §16 dell’Analitica, tra l’appercezione trascendentale e quella empirica. Riferendosi alla prima, il filosofo sostiene infatti che:
Io la chiamo l’appercezione pura, per distinguerla da quella empirica, o anche l’appercezione originaria, poiché essa è quell’autocoscienza che, producendo la rappresentazione io penso – la quale deve poter accompagnare tutte le altre, ed è una e identica in ogni coscienza – non può essere derivata48 a sua volta da nessun’altra rappresentazione (B132).
46 C. A. EWING, A short commentary on Kant’s Critique of Pure Reason, 85.
47 Illuminante, su questo problema, è la discussione che ne fa H. E. ALLISON, Kant’s transcendental
deduction, 339-348. Allison insiste che l’analiticità del principio è da considerarsi tale soltanto in relazio- ne alla premessa (implicita) che si stia qui parlando di un intelletto finito, incapace di intuire il molteplice. L’osservazione circa l’analiticità del principio sintetico dovrebbe essere accuratamente distinta da quella contenuta nella prima edizione della Critica, secondo la quale «der synthetische Satz: dass alle verschie- dene empirische Bewusstsein in einem einigen Selbstbewusstsein verbunden sein müsse, ist der schlecht- hin erste und synthetische Grundsatz unseres Denkens überhaupt» (A117 nota). Quanto qui sostenuto ver- rebbe apparentemente contraddetto dalle dichiarazioni della seconda versione della deduzione. Come si chiarisce dal contesto in cui occorre, questa citazione riguarda tuttavia il rapporto tra atti discreti della co- scienza empirica di rappresentazioni singole e la continuità dell’autocoscienza empirica cui essi si riferi- scono: il carattere temporale degli uni e dell’altra, non il rapporto trascendentale tra di essi, fanno il carat- tere sintetico della proposizione. Ciò non tocca in alcun modo il carattere analitico della proposizione trascendentale che le corrisponde nella seconda edizione della Critica. Cf. H.E.ALLISON, Kant’s tran- scendental deduction, 247-50. Sull’analiticità del principio di unità sintetica cf. anche E. MC CANN, «Skepticism and Kant’s B-Deduction».
48 L’edizione curata dall’Accademia delle Scienze di Berlino riporta «begleitet» (=«accompagnata»).
Cf. I. KANT, Kritik der reinen Vernunft, KGS III, 109. Così anche il testo adottato per la traduzione italia- na in uso. Cf. I. KANT, Critica della ragion pura, 242. Si è tuttavia sollevato il sospetto che si tratti di un errore di trascrizione per «abgeleitet» (=«derivata»). Cf. H. E. ALLISON, Kant’s transcendental deduction,
La «purezza» dell’appercezione trascendentale si riferisce a quella della sintesi cui essa presiede, in quanto distinta dalla sintesi empirica: è emerso nel paragrafo preceden- te che a differenza della sintesi empirica, quella pura si rivolge al molteplice di un’intuizione spazio-temporale, che sia cioè già stato ordinato in funzione delle catego- rie49. Un aspetto leggermente diverso dell’appercezione trascendentale è identificato dalla caratteristica della «originarietà»: mentre la prima si riferisce, infatti, alla capacità di prescindere, la seconda riguarda, invece, la capacità di precedere, ove entrambe sono da intendersi in senso logico. Sotto quest’ultimo aspetto, bisogna distinguere l’appercezione intesa come atto (e la rappresentazione di quest’atto) alla quale si può at- tribuire una originarietà soltanto relativa, e l’appercezione intesa come facoltà, e la rap- presentazione di essa, cui spetta invece una assoluta originarietà50. Le caratteristiche della purezza e della originarietà traducono, in questo modo, la spontaneità che è pro- pria dell’intelletto e, di conseguenza, anche del carattere intellegibile.
Diversamente dall’appercezione trascendentale, cui il §16 dell’Analitica è interamen- te dedicato, il concetto di «appercezione empirica» riceve soltanto una breve menzione nella citazione sopra riportata. Riferendosi ancora una volta alla distinzione tra una sin- tesi pura e una empirica, ci si potrebbe legittimamente aspettare che l’appercezione em- pirica identifichi l’«io penso», in quanto si rapporta a un molteplice dell’intuizione in generale. A questo tema Kant si riferisce ancora nel §18, che si propone di riflettere sull’unità della coscienza. In questo contesto, la distinzione è tra un’unità oggettiva, quale è quella trascendentale (cf. B139), e un’unità meramente soggettiva (ovvero empi- rica) della coscienza, che ci si aspetterebbe coincida con l’unità dell’appercezione empi- rica. L’unità empirica della coscienza è qui descritta in questi termini:
Che io possa essere cosciente empiricamente del molteplice – se esso sia simultaneo o suc- cessivo – dipende dalle circostanze o dalle condizioni empiriche. Perciò l’unità empirica del- la coscienza, mediante l’associazione delle rappresentazioni, riguarda di per sé quello che ci appare, ed è del tutto contingente (B139-40).
Per questa ragione «l’unità empirica dell’appercezione – […] che d’altronde è sem- plicemente derivata dalla prima [l’unità originaria della coscienza] sotto determinate condizioni in concreto – ha solo una validità soggettiva» (B140). Kant la definisce an- che come una «determinazione del senso interno, con cui quel molteplice dell’intuizione è dato empiricamente, in vista della […] congiunzione» (B139). Individuando un rap-
precedente che la rappresentazione «io penso» deve poter accompagnare tutte le altre rappresentazioni, sarebbe strano che essa non possa «essere accompagnata» da nessuna rappresentazione. La proposta al- ternativa confermerebbe il testo della prima edizione, ove Kant si riferisce a «drei ursprüngliche Quellen […], die die Bedingungen der Möglichkeit aller Erfahrung enthalten, und selbst aus keinem andern Ver- mögen des Gemüts abgeleitet werden können». I. KANT, Kritik der reinen Vernunft, A94.
49 La «purezza» evoca inoltre la prima edizione della Critica, nella quale Kant poneva come fonda-
mento a priori «dem empirischen Bewusstsein die reine Apperzeption, d. i. die durchgängige Identität seiner selbst bei allen möglichen Vorstellungen». I.KANT, Kritik der reinen Vernunft, A116. Se si pre- scinde dai contenuti empirici, l’unità dell’appercezione è di tipo analitico.
50 È significativo che Kant attribuisca la necessità di poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni
e dell’identità numerica non soltanto alla facoltà ma anche all’atto che ne deriva.H. E. ALLISON, Kant’s
transcendental deduction, 337. Anche nella prima versione della deduzione Kant parla della coscienza trascendentale come «das Bewusstsein meiner selbst, als die ursprüngliche Apperzeption». I.KANT, Kri-
porto derivativo tra unità empirica e unità originaria, Kant sembrerebbe confermare l’aspettativa che l’unità di cui qui si parla sia quella dell’appercezione empirica, in quanto applicazione dell’appercezione trascendentale. Derivare l’unità empirica della coscienza a partire da quella originaria «sotto determinate condizioni in concreto» vor- rebbe dire che l’unità dell’appercezione empirica è sottoposta non soltanto alle condi- zioni formali dell’unità dell’appercezione trascendentale, ma anche alle condizioni ma- teriali dell’affezione. Questo tipo di unità sarebbe però tutt’altro che soggettiva, almeno nel senso esplicitato entro il §18, quello cioè di non riferirsi in alcun modo a un oggetto (cf. B139)51. Il riferimento esplicito al senso interno e, più in generale, la descrizione dell’unità empirica sopra riportata sembrerebbero, invece, suggerire che quest’ultima rappresenti qualcosa di distinto dall’unità dell’appercezione empirica. Kant si starebbe qui riferendo alla serie temporale degli stati di coscienza di un soggetto pensante: si pensi all’apprensione successiva – menzionata nella discussione della seconda analogia dell’esperienza – delle parti di una casa (cf. A190-1/B235-6). In questo caso, le «condi- zioni» concrete dalle quali quest’unità dipende sarebbero le leggi causali particolari che descrivono l’affezione sebbene, affinché essa possa essere appresa nella coscienza, tali leggi dovrebbero sottostare altresì alle funzioni dell’unità dell’appercezione52. Ma que- sto sarebbe un significato molto povero della nozione di «unità», al punto che si sarebbe tentati di negarle ogni validità, anche soltanto soggettiva. Il §18 riferisce, così, l’unità soggettiva ora all’unità dell’appercezione empirica, ora all’unità empirica dell’appercezione. Quest’ultima, di conseguenza, oscilla tra due poli: da una parte, il le- game di derivazione dall’appercezione trascendentale; dall’altra, la dipendenza dall’affezione tramite il senso interno. La medesima ambiguità, che sembrerebbe rima- nere insoluta all’interno della Critica53, potrebbe essere attribuita al carattere empirico,
51 Occorrerebbe qui nuovamente ricordare la distinzione, esplicitata nel Capitolo IV di questo lavoro,
tra due sensi dell’oggettività, uno debole, che può essere accordato anche ai giudizi di percezione, e uno forte. Cf. p. 145. Nella lettura del §18 seguo H. E. ALLISON, Kant’s transcendental deduction, 355-63.
52 «Through the necessary relation of time (and all that is in time) to the transcendental unity of apper-
ception, the order in which our ideas come to us – whether because of external stimuli or subjective asso- ciation is determined by causal law. It is in this sense that the subjective connexion of ideas in our minds is derived from, or conditioned by, the original synthetic unity of apperception». Cf. H. J. PATON, Kant's metaphysics of experience, 520.
53 Nella prima edizione della Critica, la deduzione trascendentale non offre maggiore chiarezza. Nella
Sezione Seconda, al terzo stadio della deduzione «dal basso» (quello dedicato alla sintesi ricognitiva dei concetti), Kant riporta esplicitamente l’appercezione empirica alla coscienza empirica di sé, ovvero al senso interno. Cf. I. KANT, Kritik der reinen Vernunft, A107. All’inizio della Sezione Terza, Kant descri-
ve invece la funzione empirica dell’appercezione in relazione alla funzione trascendentale della stessa, dando inizio alla deduzione «dall’alto»: «jede derselben [rif. alle le sorgenti soggettive della conoscenza] kann als empirisch, nämlich in der Anwendung auf gegebene Erscheinungen betrachtet werden, alle aber sind auch Elemente oder Grundlagen a priori, welche selbst diesen empirischen Gebrauch möglich ma- chen. Der Sinn stellt die Erscheinung empirisch in der Wahrnehmung vor, die Einbildungskraft in der As- soziation (und Reproduktion), die Apperzeption in dem empirischen Bewusstsein der Identität dieser re- produktiven Vorstellungen mit den Erscheinungen, dadurch sie gegeben waren, mithin in der Rekognition». Ivi, A115. La funzione empirica dell’appercezione consisterebbe così nell’applicazione delle norme trascendentali al molteplice dell’esperienza, ovvero nella ricognizione sul rapporto tra ripro- duzioni dell’immaginazione e percezioni sensibili, sulla base della quale vengono applicati i concetti. Di appercezione empirica si parla anche nell’Antropologia pragmatica, che tuttavia non consente una di- sambiguazione del termine. In una nota al paragrafo sull’osservazione di sé stessi, si legge che: «so kann das Bewusstsein seiner selbst (apperceptio) in das der Reflexion und das der Apprehension eingeteilt
nella misura in cui esso esprime da una parte il carattere intellegibile sul quale è fonda- to, sebbene la sua unità dipenda in qualche modo anche dalla successione contingente delle azioni e dei fenomeni comportamentali del soggetto.
Anche della nozione di «senso interno» è, peraltro, difficile delineare i contorni. Essa identifica, infatti, in primo luogo una componente dell’attività intuitiva, nel senso kan- tiano di questo termine. In secondo luogo, Kant sembrerebbe individuare nel senso in- terno la possibilità di riconoscere – ovvero di riappropriarsi riflessivamente, in senso cognitivo – dei propri stati mentali. Nell’Estetica trascendentale, avendo definito lo spazio e il tempo come «forme pure di ogni intuizione sensibile» (A39/B56), Kant con- clude che essi ineriscono «alla nostra sensibilità in maniera assolutamente necessaria» (A42/B60) e, nella Logica trascendentale, egli li identifica come condizioni di possibili- tà della conoscenza in generale (cf. B165-6) 54. Nella misura in cui costituisce la «forma
werden. Das erstere ist ein Bewusstsein des Verstandes, das zweite der innere Sinn; jenes die reine, dieses die empirische Apperzeption» I. KANT, Anthropologie, KGS VII, 134. L’appercezione empirica viene qui
equiparata al senso interno. Qualche pagina oltre, dopo aver distinto la facoltà sensibile da quella intellet- tuale il filosofo aggiunge che: «so wird das Bewusstsein in das diskursive (welches als logisch, weil es die Regel gibt, voran gehen muss) und das intuitive Bewusstsein eingeteilt werden; das erstere (die reine Apperzeption seiner Gemütshandlung) ist einfach. Das Ich der Reflexion hält kein Mannigfaltiges in sich und ist in allen Urteilen immer ein und dasselbe, weil es bloß dies Förmliche des Bewusstseins, dagegen die innere Erfahrung das Materielle desselben und ein Mannigfaltiges der empirischen inneren Anschau- ung, das Ich der Apprehension, (folglich eine empirische Apperzeption) enthält». Ivi, 141-2. Kant sem- brerebbe, qui, delineare una chiara distinzione tra l’appercezione pura come coscienza della propria sog- gettività pensante e il senso interno. In rapporto a quest’ultimo, tuttavia, il testo consentirebbe di interpretare l’appercezione empirica in due modi: sebbene, infatti, a una prima lettura si sarebbe tentati di associare immediatamente appercezione empirica e senso interno, una riflessione più accurata sembrereb- be suggerire che, soltanto nella misura in cui il senso interno implica un’applicazione della funzione em- pirica dell’appercezione, ovvero delle categorie al molteplice dell’intuizione spazio-temporale, esso può essere equiparato all’appercezione empirica, qua distinta dall’appercezione trascendentale. La coscienza interna (senso interno) e la funzione empirica dell’appercezione (in relazione all’appercezione trascen- dentale) costituirebbero così due facce della stessa medaglia: la prima presuppone che intendiamo il tem- po come forma dell’intuizione, la seconda come intuizione formale. Pur distinguendo tra coscienza empi- rica e funzione empirica dell’appercezione, Allison sembra lasciare aperta la questione del loro rapporto: cf. H. E. ALLISON, Kant’s transcendental deduction, 359 nota 44. Diversamente, Keller interpreta l’unità propria dell’appercezione, trascendentale oltre che empirica, non come univocamente oggettiva, ma og- gettiva e soggettiva insieme (l’unità soggettiva non sarebbe soltanto quella della semplice associazione di idee): in questo senso, il giudizio che esprimesse un’unità soltanto soggettiva rappresenterebbe un’autentica esperienza del sé. Cf. P.KELLER, Kant and the demands of self-consciousness, 83-4 e 92-4.
54 Il tempo si mostrerebbe portatore di un’asimmetria rispetto allo spazio. Sotto un certo aspetto il
concetto del tempo sembrerebbe meno esteso del concetto spazio, nella misura in cui «kann keine Be- stimmung äußerer Erscheinungen sein». I.KANT, Kritik der reinen Vernunft, A33/B49. Senz’altro la tesi
dell’idealità trascendentale del tempo rivela che la dimensione temporale di un fenomeno dipende dal suo essere oggetto dell’intuizione sensibile in una coscienza in generale. Ma consideriamo un fenomeno che abbia soltanto una dimensione spaziale, che di conseguenza non sia nulla per la coscienza: se il fenomeno si definisce come l’oggetto di un’intuizione sensibile, esso a ben vedere non sarebbe affatto un fenomeno. Sarebbe dunque più ragionevole, nella cornice del ragionamento kantiano, interpretare l’esistenza di fe- nomeni soltanto spaziali come un’ipotesi contro-fattuale, introdotta per soddisfare l’esigenza «strategica» di esplicitare la distinzione del tempo dallo spazio. Sotto un altro aspetto, il concetto del tempo sembre- rebbe più esteso del concetto di spazio, nella misura in cui il tempo «ist die formale Bedingung a priori aller Erscheinungen überhaupt». Ivi, A34/B50. Lo spazio, invece, «ist als Bedingung a priori bloß auf äu- ßere Erscheinungen eingeschränkt». Ibidem. Sembrerebbe qui profilarsi l’ipotesi di fenomeni a una sola dimensione, questa volta temporale invece che spaziale. Senz’altro è possibile ammettere che la coscienza epistemica contenga in sé delle rappresentazioni temporali, cui non corrisponde direttamente una contro-
del senso interno» (A33/B49), il tempo è anche il modo in cui «intuiamo noi stessi e il nostro stato interno» (ibidem). Più avanti nell’Estetica trascendentale, Kant lo definisce «il modo in cui l’animo viene affetto dalla sua propria attività, vale a dire da questo porre la sua rappresentazione, quindi da se stesso» (B67-8, corsivo mio)55. Il riferimento sembra qui essere a una forma di auto-affezione, sebbene – nella misura in cui si parla ancora di senso interno – ciò che il soggetto percepisce di sé è la propria dimensione fe- nomenica:
o non si dovrà assolutamente ammettere un senso interno, oppure il soggetto – che è l’oggetto di questo senso – potrà essere rappresentato da quest’ultimo soltanto come feno- meno, e non come esso giudicherebbe se stesso, se la sua intuizione fosse semplice sponta- neità, e cioè fosse un’intuizione intellettuale (B68)56.
Nel §24 dell’Analitica trascendentale, nella seconda parte della deduzione trascen- dentale delle categorie, Kant – riflettendo sul lavoro dell’intelletto in rapporto a quello della sensibilità – offre ancora qualche indicazione sul tema dell’auto-affezione. Egli definisce la facoltà di immaginazione come «la capacità di determinare a priori la sensi- bilità» (B152) e la sintesi del molteplice dell’apprensione, che essa realizza in base a re- gole a priori, come «un effetto dell’intelletto sulla sensibilità, e […] la prima applica- zione dell’intelletto agli oggetti dell’intuizione possibile per noi (un’applicazione che è
parte spaziale: ad esempio, quelle della memoria. La psicologia sarebbe in grado di ampliare enormemen- te questo insieme. Affinché tuttavia le rappresentazioni possano essere considerate come rappresentazioni di un oggetto dell’esperienza, affinché cioè diano luogo a una conoscenza nel senso proprio del termine, è necessario che siano almeno direttamente o indirettamente, tramite leggi empiriche, riconducibili a una percezione (nello spazio oltre che nel tempo: cf. ivi, A226/B273). Lo spazio includerebbe in questo senso anche l’interno del corpo: la distinzione trascendentale, non psicologica né fisica, tra senso interno e sen- so esterno si riferisce infatti al soggetto pensante, ovvero alla sua coscienza epistemica (ad esempio la rappresentazione di un processo biologico). D’altra parte, il discorso trascendentale si riferisce a tutto quanto possa essere considerato una rappresentazione (e abbia pertanto un contenuto intenzionale). In questo senso, anche quella di fenomeni esclusivamente temporali costituisce un’ipotesi fittizia per distin- guere il tempo dallo spazio. In entrambi i casi presi in considerazione, dunque, l’estensione dei concetti di tempo e di spazio cui ci si riferisce non deve essere considerata in senso empirico, materiale e numerico ma in senso trascendentale, formale e concettuale. La maggiore soggettività e universalità formale dello spazio rispetto al tempo si chiariscono definendo quest’ultimo «die unmittelbare Bedingung der inneren (unserer Seelen) und eben dadurch mittelbar auch der äußern Erscheinungen». Ivi, A34/B50. Sulla distin- zione del senso interno dal senso esterno riposa fra l’altro la funzione delle categorie relazionali e modali, oltre che dei principi dinamici dell’intelletto.
55 Il testo adottato per la traduzione italiana riporta «ihrer Vorstellung», ma il traduttore segnala di
leggere «seiner», riferendolo a «Gemüt». Cf. C. ESPOSITO, «Note al testo», in I. KANT, Critica della ra-
gion pura, 1323 nota 54. Anche l’edizione curata dall’Accademia delle Scienze riporta «seiner». Cf. I. KANT, Kritik der reinen Vernunft. 2. Auflage, KGS III, 70. D’altra parte, «ihrer» potrebbe essere ri- ferito a «Tätigkeit». In questo caso («ihrer» riferito a «Tätigkeit»), «rappresentazione» [Vorstellung] po- trebbe essere inteso in senso attivo (il rappresentare l’attività) o in senso passivo (la rappresentazione prodotta dall’attività). La prima opzione porrebbe l’accento sulla dimensione riflessiva del senso interno, dando luogo però a una perifrasi inutilmente complessa (per quale ragione «porre una rappresentazione» [eine Vorstellung setzen], invece che «rappresentare» [vorstellen]?), mentre la seconda opzione rendereb- be equivalente la versione originale («ihrer Vorstellung») e la sua correzione («ihrer»=«seiner»): una rap- presentazione, prodotto dell’attività dell’animo, è anche prodotto dell’animo. Anche la lettura «seiner» confermerebbe dunque la riflessività di questa specifica attività dell’animo.
56 La fenomenicità del sé che si percepisce nel senso interno viene argomentata in maniera ambigua.
Su questo punto cf. H. E. ALLISON, Kant’s transcendental idealism, 275-85. Cf. inoltre M.
al tempo stesso il fondamento di tutte le altre applicazioni)» (B152, corsivo mio). Tra- mite la sintesi trascendentale della facoltà di immaginazione, in altri termini, «l’intelletto esercita sul soggetto passivo – di cui essa è, appunto, una facoltà [si ricordi la modifica nella suddivisione delle facoltà dell’animo, tra la prima e la seconda edizio- ne] – quell’operazione a proposito della quale noi possiamo dire a buon diritto che da essa viene affetto il senso interno» (B153-4). In altri termini «una siffatta congiunzione del molteplice […] l’intelletto non la trova già pronta nel senso interno, bensì la produ- ce, esercitando con ciò un’affezione su di esso» (B155). Nel riferirsi a una «prima» ap- plicazione dell’intelletto alla sensibilità, il filosofo suggerisce esplicitamente la possibi- lità di una seconda applicazione. A cosa alluda, sembrerebbe rivelarlo il riferimento al fenomeno dell’attenzione collocato in una nota conclusiva all’intero paragrafo:
«io non vedo come si possa trovare tanta difficoltà che il senso interno venga affetto da noi stessi. Ogni attenzione può offrirci un esempio a tal riguardo. Nell’attenzione l’intelletto de- termina sempre il senso interno - conformemente alla congiunzione che esso pensa - in vista dell’intuizione interna che corrisponde al molteplice nella sintesi dell’intelletto. Ciascuno