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CARATTERE E AZIONE

4. Idealismo e compatibilismo kantiani secondo Hudson

Gli studi di Meerbote suggeriscono un’interpretazione compatibilista della posizione kantiana, senza tuttavia considerarla una via obbligata: i risultati ottenuti mostrano in- fatti che, rinunciando al postulato di una realtà noumenica, la posizione incompatibili- sta, pur sempre possibile, sarebbe superflua. Questa lettura viene sviluppata compiuta- mente e sistematicamente da Hud Hudson che, in una monografia dei primi anni Novanta, propone il compatibilismo kantiano all’attenzione del dibattito a lui contem- poraneo su determinismo e libero arbitrio.

Secondo Hudson, nella formulazione della terza antinomia Kant ammetterebbe una concezione incompatibilista della libertà soltanto in modo condizionale: qualora si ab- bracciasse una posizione di realismo trascendentale, si sarebbe costretti ad accettare l’incompatibilità della libertà con la causalità naturale104. Riconoscendo nella risoluzio- ne dell’antinomia l’idealità trascendentale dei fenomeni, si aprirebbe la possibilità di una posizione compatibilista, la cui descrizione dipenderebbe, quindi, in qualche misura da quella del rapporto tra fenomeni e noumeni.

Riprendendo il concetto di «descrizione» introdotto da Meerbote, Hudson lo applica non soltanto alle funzioni del giudizio, per distinguere – cioè – i giudizi determinanti da quelli non-determinanti all’interno della medesima esperienza: Hudson adopera, infatti, il concetto di «descrizione» anche per identificare il ruolo di fenomeni e noumeni nella dottrina dell’idealismo trascendentale. Riferendosi come Beck a una lettura non ontolo- gica dell’idealismo trascendentale, Hudson sostiene che nella cornice kantiana «la me- desima cosa è considerata in sé stessa (sotto una descrizione) ed è considerata come ap- parenza (sotto un’altra descrizione)»105. Interpretando la distinzione trascendentale come valida tra due aspetti di un unico mondo anziché tra due mondi, Hudson ascrive- rebbe alla dottrina kantiana «non soltanto l’associazione ma l’identità numerica»106 di azioni umane libere ed eventi empirici regolati dalla seconda analogia dell’esperienza.

101 R. MEERBOTE, «Kant on freedom and the rational and morally good will», 62. 102 R. MEERBOTE, «Kant on the non-determinate character of human actions», 159. 103 R. MEERBOTE, «Kant on the non-determinate character of human actions», 160. 104 Cf. H. HUDSON, Kant’s compatibilism, 39.

105 H. HUDSON, Kant’s compatibilism, 40. 106 H. HUDSON, Kant’s compatibilism, 41.

Nella prospettiva rappresentata, la distinzione tra ragioni e cause sarebbe riconducibile a quella tra noumeni e fenomeni.

4.1. Il problema della «determinazione» e della «causalità» della ragione

Come nella lettura di Meerbote, anche Hudson intende la «causalità naturale» e la «causalità della ragione» come espressioni di un concetto univoco di «determinazione». In altri termini la prospettiva kantiana non consentirebbe di interpretare la determina- zione in «senso produttivo»107 diversamente da una determinazione causale empirica. Tale significato potrebbe riferirsi in senso forte alla produzione di effetti a partire da cause nel mondo naturale, in base alla seconda analogia dell’esperienza, e in senso de- bole alla produzione di effetti a partire da una «causa intellegibile»108.

Nel secondo caso si tratterebbe della determinazione proposizionale di un’azione tramite la ragion pratica, che per Hudson come per Meerbote avverrebbe secondo il modello «credenza-desiderio». Che r abbia determinato l’azione a significa considerare

r ragione pratica per a, consistente nel desiderio da parte dell’agente di raggiungere il

fine f associato alla credenza che a sia un mezzo adeguato per il raggiungimento di f. A questo tipo di determinazione, Hudson riconduce gli imperativi kantiani109.

La razionalizzazione dell’azione, ovvero la sua riconduzione a pertinenti ragioni pra- tiche, consentirebbe di rendere conto in modo non riduttivo della causalità della ragione. Quest’ultima spiegherebbe così le azioni della volontà, secondo la tesi dell’olismo del mentale avanzata da Davidson e implicitamente sostenuta da Meerbote.

Che tuttavia la causalità della ragione possa essere considerata effettiva nel mondo fisico, ovvero che determinati eventi fisici siano riconducibili alla causalità della ragio- ne in termini di azioni, è garantito soltanto dall’identità token-token tra azioni ed eventi fisici, ragioni e cause, che Hudson riconduce alla coincidenza numerica dei noumeni con i fenomeni. Esplicitando la tesi di Meerbote per cui una causa intellegibile non de- termina alcunché, Hudson precisa che la determinazione proposizionale è necessaria ma non sufficiente per l’azione che le corrisponde, poiché «il fatto che l’agente abbia delle ragioni pratiche per realizzare un’azione non è invariabilmente seguito dalla realizza- zione di quell’azione»110. Questa connessione necessaria sarebbe garantita soltanto nel mondo naturale e, tra le azioni, soltanto nella misura in cui ciascuna di esse è identica a un evento fisico ed entra, per questo, nella connessione naturale.

Nella misura in cui applichiamo una descrizione delle azioni secondo la causalità della ragione, dobbiamo abbandonare la pretesa di una conoscenza di esse nel senso for- te del verbo «conoscere»: limitatamente a questo punto di vista, sarà infatti impossibile rintracciare la connessione necessaria richiesta dalle conoscenze scientifiche oggettiva- mente valide. Si tratterebbe in questo caso di una descrizione «intellegibile», che ha come proprio criterio regolativo l’ordine in cui le cose dovrebbero essere, piuttosto che quello in cui le cose effettivamente sono. Il significato del «dovere» non viene qui ulte- riormente specificato. D’altra parte, la conoscenza scientifica delle medesime azioni è possibile nella misura in cui si considera ciascuna occorrenza corrispondente a un even- to della natura, a un fenomeno che possa essere sussunto sotto i principi trascendentali

107 H. HUDSON, Kant’s compatibilism, 43. 108 H. HUDSON, Kant’s compatibilism, 42. 109 Cf. H. HUDSON, Kant’s compatibilism, 44. 110 H. HUDSON, Kant’s compatibilism, 42-3.

dell’intelletto111. Si tratterebbe in questo caso di una descrizione «sensibile», il cui crite- rio regolativo è l’ordine naturale delle cose in base alle leggi dell’intelletto.

4.2. Descrizioni non-determinanti e principi regolativi

Nella cornice di una descrizione intellegibile, non è possibile stabilire una relazione inferenziale tra le azioni né identificarle tramite coordinate spazio-temporali. Alla luce di ciò, Hudson assume il termine suggerito da Meerbote di «descrizione non- determinante» (e quello, corrispondente, di «carattere non-determinato»). Il giudizio ri- flettente studiato dalla terza Critica costituirebbe l’occasione per questo tipo di descri- zioni delle azioni, in termini finalistici anziché esclusivamente meccanici. Il principio regolativo della finalità consentirebbe di cogliere un aspetto dell’attività umana incom- prensibile nella concezione in termini causali delle medesime azioni.

Hudson riconosce che la classe delle descrizioni non-determinanti è più ampia rispet- to a quella delle azioni umane: la comprensione della struttura e del comportamento de- gli organismi in generale, anche di quelli non razionali richiede una spiegazione finali- stica oltre che meccanica. Nella misura in cui possono essere ricondotte al modello «credenza-desiderio», le descrizioni delle azioni rappresentano un sottoinsieme di que- sto insieme più ampio112. Avendo ricondotto la distinzione tra ragioni e cause, azioni ed eventi, a quella tra noumeni e fenomeni, Hudson può parlare di questo caso di «deter- minazione proposizionale» senza correre il rischio che questa si sovrapponga alla de- terminazione di tipo causale.

4.3. La teoria dei caratteri nel «compatibilismo» kantiano

La distinzione tra descrizioni determinanti e non-determinanti consente di interpreta- re il rapporto tra fenomeni e noumeni, come quello tra il carattere empirico e il carattere intellegibile, che Hudson ascrive all’agente oltre che all’agire razionale. In questo sen- so, un’azione è riconducibile al carattere empirico di un soggetto, ovvero alla causalità empirica che esso esercita nel mondo naturale, intendendo il binomio «credenza- desiderio» identico a un evento neuro-fisiologico; la medesima azione può tuttavia ri- condursi al carattere intellegibile tramite la sua razionalizzazione in senso pratico. Il ca- rattere empirico svolgerebbe un ruolo esplicativo, quello intellegibile un ruolo giustifi- cativo, che stia a fondamento dell’imputazione113. Alla luce di quanto detto, non potrebbe esservi determinazione di effetti nel mondo sensibile da parte di un agente se non per il tramite di una facoltà causale empirica, rispetto alla quale quella intellegibile costituirebbe tuttavia una descrizione non riducibile e una componente egualmente ne- cessaria per la comprensione delle azioni in quanto tali.

Nell’interpretazione di Hudson la distinzione tra fenomeni e noumeni e la teoria dei caratteri consentirebbero così di garantire il requisito fondamentale della libertà, rintrac- ciato all’interno della prospettiva kantiana non in un potere causale assolutamente spon- taneo che cada fuori dall’esperienza ma piuttosto nella riconducibilità delle azioni alla causalità della ragione, tramite l’incontro di credenze e desideri negli imperativi, in ac-

111 H. HUDSON, Kant’s compatibilism, 45.

112 Cf. H. HUDSON, Kant’s compatibilism, 46 nota 60. 113 Cf. H. HUDSON, Kant’s compatibilism, 47.

cordo con le leggi empiriche114. Hudson riscontra una continuità tra questa concezione della libertà e quella sostenuta da Kant negli scritti pre-critici, assegnando a entrambe una valenza compatibilistica.

4.4. Il rapporto tra volontà [Wille] e arbitrio [Willkür]

Allo scopo di chiarire il rapporto tra autonomia, eteronomia e spontaneità secondo il modello «credenza-desiderio» anche Hudson si riferisce al rapporto tra volontà e arbi- trio. Riguardo alla funzione esecutiva, egli distingue la caratterizzazione positiva dell’arbitrio come spontaneità, dalla caratterizzazione negativa dello stesso come indi- pendenza dalle necessitazioni patologiche. Riguardo alla funzione legislativa, egli defi- nisce la libertà della volontà positivamente come l’autonomia che è propria della ragion pura pratica e negativamente come l’autonomia soltanto parziale propria della ragione empirica. Come nel caso dell’interpretazione precedente, anche Hudson riconosce nel testo kantiano la tesi che l’eteronomia costituisca anch’essa una forma di libertà e di- stingue sostanzialmente la funzione di proclamare la legge morale da quella di fornire una credenza empirica per un desiderio contingente, senza però sviluppare questa di- stinzione. Secondo Hudson, la libertà della funzione esecutiva (intesa sia come sponta- neità che come indipendenza da necessitazioni patologiche) implica almeno una delle due forme di libertà della funzione legislativa, sia essa l’autonomia in senso proprio o l’autonomia eteronoma della ragione empirica. D’altra part, ogni forma di libertà della funzione legislativa – sia quella dell’autonomia suprema o quella dell’autonomia soltan- to parziale – implica entrambe le forme di libertà dell’arbitrio: in entrambi i casi, infatti, il comando della volontà all’arbitrio sarebbe comprensibile solo presupponendo che l’arbitrio sia effettivamente in grado di determinarsi sulla base di quel comando, ovvero che l’agente sia capace di agire in base a fondamenti razionali indipendentemente da stimoli sensibili.

4.5. Una visione di insieme sull’interpretazione compatibilistica di Hudson

L’interpretazione compatibilista suggerita da Hudson consentirebbe di affrontare al- cune questioni decisive per la concezione kantiana della libertà.

In primo luogo, si pone il problema di considerare la medesima azione come frutto dell’indipendenza dell’agente da necessitazioni patologiche e insieme come causalmen- te determinata. L’indipendenza sarebbe garantita dalla descrizione proprosizionale, la quale sarebbe determinante solo in senso analogo ovvero non-determinante in senso empirico-fisico: tale forma di determinazione consentirebbe di ricondurre l’azione a una ragione pratica («credenza-desiderio») e alla determinazione dell’arbitrio da parte di un imperativo della volontà. L’azione sarebbe tuttavia la stessa cosa di un evento naturale e, come tale, entrerebbe in una catena di concatenazioni causali.

Un’altra questione riguarda il problema di un assoluto inizio del tempo e quello della atemporalità, che Kant sembra identificare entrambi quali requisiti della libertà: in altri termini, il problema è quello della possibilità di considerare un’azione come fondata in una causalità non soggetta alle condizioni del tempo, che dunque non consegua da uno stato precedente in base a leggi, ma insieme membro di una serie temporale, dunque strettamente conseguente a un qualsiasi altro membro, preso insieme a una legge natura-

le. Oltre a richiamare l’attenzione sulla distinzione kantiana tra un assoluto inizio in senso logico e temporale (cf. ad esempio A450/B478), Hudson precisa che l’atemporalità sarebbe garantita dal fatto che la relazione tra l’azione e la ragione non è temporale. Il fatto che la ragione costituisca un primo inizio, che dunque l’azione, in quanto tale, sia atemporale, non precludono che l’evento corrispondente all’azione, in quanto tale, sia riconducibile a un inizio determinato e a una serie causale temporale.

L’ultima questione riguarda il problema della conoscenza: le medesime azioni sareb- bero ultimamente fondate su ragioni non comprensibili (cf. A557/B585) e, d’altra parte, dovrebbero poter essere spiegate completamente e predette con certezza sulla base di leggi naturali (cf. A549-50/B577-8). Rispetto a questo problema, bisogna osservare che da una parte la conoscenza implica una intuizione e di conseguenza non essendo intuibi- le, il potere causale intellegibile non è nemmeno conoscibile: esso può essere soltanto postulato, a partire dalla razionalizzazione dell’azione. D’altra parte, soltanto nella mi- sura in cui le azioni costituiscono descrizioni non-determinanti di eventi fisici, esse rien- trano, quali eventi fisici e descritte questa volta in termini empirici, fra gli oggetti dell’esperienza e della conoscenza in generale115.

Hudson elabora una visione complessa del compatibilismo kantiano, che nel riferire la distinzione tra descrizioni determinanti e non-determinanti a quella tra fenomeni e noumeni si mostra rispettosa delle intenzioni kantiane proclamate nella risoluzione dell’antinomia (forse meno di quelle della terza Critica, ove il giudizio riflettente non

sembrerebbe immediatamente riferito alle realtà noumeniche). Mentre

nell’interpretazione di Meerbote, volendo garantire la disponibilità di descrizioni deter- minanti e non-determinanti per la medesima esperienza, diventava un problema la natu- ra a priori del ragionamento pratico, nell’interpretazione di Hudson, avendo ricondotto le descrizioni non-determinanti alla realtà noumenica si rende necessario ribadire l’identità tra noumeni e fenomeni per garantire il potere causale della ragione. Conser- vando la nozione del «noumeno», l’interpretazione di Hudson sottrae la causalità me- diante libertà al determinismo naturale causale. Ma tale interpretazione rimane nel solco del compatibilismo, nella misura in cui esplicita la nozione di «noumeno» – nel caso delle azioni – in termini di una descrizione non-determinante. Rimane il problema di stabilire cosa sia, in fondo, una rappresentazione non deterministica, se non una incom- patibilistica, della libertà e se, in ultima analisi, la persistenza nell’alveo della tradizione compatibilistica non comporti inevitabilmente una rinuncia alla «spontaneità».