LIBERTÀ E FACOLTÀ DELL’ANIMO
1. Uso teoretico della ragione
1.2. Origine delle idee trascendental
Iniziando il Libro Primo della Dialettica trascendentale, Kant chiarisce che le idee «non sono dei concetti ottenuti mediante riflessione, bensì ottenuti mediante deduzione» (A310/B367). Secondo le Lezioni di Logica, la «riflessione» costituisce, insieme alla «comparazione» e all’«astrazione», uno dei momenti fondamentali nella formazione, a partire da un’intuizione in generale, dei concetti dell’intelletto (cf. KGS IX, 94). In par- ticolare, l’Analitica trascendentale ha mostrato la corrispondenza tra i concetti puri dell’intelletto e le funzioni logiche del giudizio, tramite la deduzione «metafisica» delle categorie, e la funzione dei concetti puri dell’intelletto nella «determinazione di un og- getto» (A310/B367) in generale e, qualora si applichino al molteplice di un’intuizione spazio-temporale, nella «conoscenza» (A310/B367) di un oggetto dell’esperienza, tra- mite la «deduzione trascendentale» delle categorie. Si è chiarito nei paragrafi precedenti
6 In questo caso, Kant dichiara di intendere Platone «besser […], als er sich selbst verstand»
(A314/B370).
7 Che assumono, cioè, significato in funzione della libertà: ad esempio, l’idea di virtù. Cf. I. KANT,
Kritik der reinen Vernunft, A315/B372.
8 Su questa interpretazione della «spiegazione» e della «scoperta», cf. O. HÖFFE, Kant’s Critique of
che la realtà oggettiva dei concetti puri dell’intelletto riposa, sotto l’aspetto epistemolo- gico, sul fatto «che, costituendo essi la forma intellettuale di ogni esperienza, la loro ap- plicazione deve poter essere sempre mostrata nell’esperienza» (A310/B367): pur rive- lando la spontaneità del pensiero, poiché pensati «a priori, prima dell’esperienza» (A310/B366-7), tali concetti si definiscono, da un punto di vista ontologico, in funzione del molteplice sensibile (cf. A310/B366-7) e «non contengono altro che l’unità della ri- flessione circa i fenomeni, nella misura in cui questi ultimi devono appartenere necessa- riamente a una coscienza empirica possibile» (A310/B367).
Anche i concetti della ragione vengono introdotti a partire da una funzione logica del pensiero, quella deduttiva: Kant annuncia, in questo modo, una corrispondenza tra le i- dee e la forma dei sillogismi e, insieme, un rapporto tra le idee e le categorie9. In quella che sembrerebbe una «esposizione metafisica» (A321/B377-8), Kant mostra la corri- spondenza tra idee e sillogismi in riferimento alla funzione logica della ragione, ma è solo rivelando la funzione reale della ragione che si rende possibile spiegare come, a partire dai sillogismi, si originino le idee (A322/B378-9). A differenza delle categorie, perciò, la questione della validità oggettiva delle idee, per quanto, da una parte, compor- ti una deduzione analoga a quella condotta nell’Analitica (cf. A321/B378 e A329/B386), ha, d’altra parte, come criterio ultimo la sola ragione e si rivela, in questo senso, una questione squisitamente soggettiva (cf. A336/B393)10. Ciò non significa che le idee siano di per sé erronee: alla prima forma di «deduzione trascendentale», fondata su una dinamica illusoria, se ne aggiunge un’altra, nell’Appendice alla Dialettica (A670-1/B698-9), che esprime una funzione regolativa, questa volta legittima, della ra- gione nel suo uso teoretico. Ciascuno di questi tre momenti – quello logico, quello reale e quello regolativo – verrà articolato in quanto segue11.
1.2.1. Inferenze mediate
Definendo i concetti della ragione come concetti dedotti, Kant lascia presupporre che «la forma dei sillogismi […] conterrà l’origine di particolari concetti a priori che pos- siamo chiamare concetti della ragion pura, ossia idee trascendentali» (A321/B378).
9 Nella misura in cui «sie geben […] Stoff zum Schließen» (A310/B367), i concetti puri dell’intelletto
meritano una priorità storico-genealogica rispetto alle idee. Se una deduzione è una composizione di giu- dizi (cf. KGS IX, 114) e ogni giudizio sottostà alle regole categoriali, anche l’origine delle idee, in quanto ricondotta alla forma logica dei sillogismi, riposa sulle categorie. A differenza di quella di un «concetto dell’intelletto», la nozione di «concetto della ragione» rivela «dass er sich nicht innerhalb der Erfahrung wolle beschränken lassen» (A310/B367), nella misura in cui questi concetti «das Unbedingte enthalten» (A311/B367). Kant osserva infatti che «Vernunftbegriffe dienen zum Begreifen, wie Verstandesbegriffe zum Verstehen (der Wahrnehmungen)» (A311/B367). In italiano come in tedesco, «comprendere» [Be- greifen] può essere usato intransitivamente, «intendere» [Verstehen] presuppone un contenuto intenziona- le, implicito o esplicito. La diversa misura della spontaneità dell’intelletto e della ragione in relazione al pensiero è rilevata anche da L. W. BECK, A Commentary on Kant's Critique of Practical Reason, 38. Sot-
to l’aspetto logico ed epistemologico, i concetti della ragione esprimono perciò una apriorità rispetto ai concetti dell’intelletto e, più in generale, all’esperienza.
10 Su questo aspetto insiste M. GRIER, Kant’s doctrine of transcendental illusion, 132.
11 Mi rifaccio in particolare agli studi di H. ALLISON, Kant’s transcendental idealism, 307-332 e 423-
Come è stato detto, l’Analitica trascendentale ha mostrato un «isomorfismo»12 tra for- me logiche del giudizio e categorie: in un’unica e medesima funzione, l’intelletto rela- ziona, giudicando, rappresentazioni date (logica generale) e organizza, tramite le cate- gorie, i concetti (logica trascendentale) (cf. A79/B105). Anche in questo caso, una e medesima sarebbe l’attività della ragione nel determinare, inferendo, un giudizio (logica generale) e nell’organizzare questo lavoro sintetico secondo un’idea (logica trascenden- tale). Avendo descritto l’intelletto come «facoltà di giudicare» (A69/B94), nell’Introduzione alla Dialettica Kant definisce la funzione logica della ragione come quella di «inferire mediatamente» (A299/B355). Il concetto di «mediazione» si chiari- sce come segue.
In ogni inferenza vi è una proposizione che sta a fondamento, e un’altra, ossia la conseguen- za dedotta da quella precedente, e infine vi è la conseguenza conclusiva, secondo la quale la verità della conclusione finale risulta indissolubilmente connessa con la verità della prima proposizione. Qualora il giudizio dedotto si trovi già nella prima, cosicché possa essere infe- rito senza la mediazione di una terza rappresentazione, l’inferenza si chiama immediata (consequentia immediata); io preferirei chiamarla inferenza dell’intelletto [Verstandes- schluss]. Qualora invece, oltre alla conoscenza posta come fondamento, si richieda ancora un altro giudizio per ottenere la conseguenza, l’inferenza si chiama inferenza della ragione, o sillogismo [Vernunftschluss] (A303/B360).
La medesima distinzione si ripete nelle Lezioni di Logica: avendo descritto il ragio- namento come «quella funzione del pensiero tramite la quale un giudizio viene dedotto da un altro» (KGS IX, 114), Kant definisce una conseguenza immediata «la deduzione (deductio) di un giudizio dall’altro senza un giudizio mediante (iudicium intermedium)» (ibidem) e definisce una conseguenza come mediata allorché, «per dedurre una cono- scenza da un giudizio, oltre al concetto che quel giudizio già contiene, se ne aggiunge un altro» (ibidem). Egli attribuisce altresì le prime all’intelletto e le seconde alla ragio- ne. Nella misura in cui Kant attribuisce la capacità di dedurre anche all’intelletto, divie- ne importante distinguere la deduzione compiuta dall’intelletto da quella della ragione13. Se il filosofo stesse qui facendo un rilievo fenomenologico, più precisamente psicologi- co, sul numero di premesse necessarie per raggiungere una conclusione, sarebbe corret- to obbiettare che si tratta di una distinzione contingente, relativa ai singoli soggetti em- pirici: ciascuno potrebbe necessitare di un differente numero di premesse per raggiungere una conclusione14. Nel dirimere la questione, possiamo rifarci all’esempio fornito dal filosofo.
Nella proposizione: tutti gli uomini sono mortali, sono contenute già le proposizioni: alcuni uomini sono mortali, alcuni mortali sono uomini, nulla di ciò che è immortale è un uomo, e dunque queste proposizioni sono conseguenze derivate immediatamente dalla prima propo- sizione. Di contro, nel giudizio che sta alla base non si trova la proposizione: tutti i dotti so-
12 H. E. ALLISON, Kant’s transcendental deduction, 170 nota 16 e 172. Per una discussione
dell’isomorfismo tra idee e forme logiche del sillogismo, in relazione a quello tra categorie e forme logi- che del giudizio, cf. M. GRIER, Kant’s doctrine of transcendental illusion, 133-7.
13 La traduzione italiana cui mi riferisco sembra distinguere tra derivazione (dell’intelletto) e deduzio-
ne (della ragione). Accolgo volentieri questa soluzione, sebbene Kant utilizzi in entrambi i casi il mede- simo verbo [ableiten o herleiten, alternati indifferentemente] e definisca, nelle Lezioni di Logica, anche la derivazione immediata con il termine latino «deductio». Cf. I. KANT, Logik, KGS IX, 114.
no mortali (infatti il concetto di dotto non si presenta affatto in quel giudizio), ed essa può esser dedotta dal giudizio che sta alla base solo per mezzo di un giudizio intermedio (A303- 4/B360, corsivo mio).
Pur rimanendo nell’ambito della logica formale, Kant si starebbe qui riferendo all’atto di pensiero presupposto dalle due diverse forme di derivazione. Una conseguen- za immediata sarebbe analiticamente contenuta nella premessa e potrebbe esserne deri-
vata tramite l’applicazione del quadrato aristotelico delle opposizioni (cf. KGS IX, 115-
119). Una conseguenza mediata potrebbe, invece, essere ottenuta dalla premessa soltan- to sinteticamente: potrebbe esserne, cioè, soltanto dedotta tramite un atto di sussunzio- ne. Kant lo descrive in quanto segue.
In ogni sillogismo penso anzitutto una regola (maior) per mezzo dell’intelletto. In secondo luogo, io sussumo una conoscenza sotto la condizione della regola (minor) per mezzo della facoltà di giudizio. Infine determino la mia conoscenza per mezzo del predicato della regola (conclusio), e dunque la determino a priori per mezzo della ragione (A304/B360; cf. anche A330/B386-7).
La sussunzione presuppone quindi un sistema di atti teoretici cui, sotto la guida della ragione, le altre facoltà superiori della conoscenza (intelletto, giudizio, cf. A130/B169) collaborano organicamente. Sebbene l’atto di sussunzione venga effettivamente realiz- zato giudicando, sussumere [subsumieren] significa determinare una conoscenza in base a una regola, tramite la riconduzione di quella conoscenza sotto la condizione espressa dalla regola. Nelle Lezioni di Logica, Kant individua il seguente principio generale dei sillogismi: «ciò che sta sotto la condizione di una regola, sta anche sotto la regola stes- sa» (KGS IX, 120). La determinazione a priori per mezzo della ragione consiste così nella «conoscenza della necessità di una proposizione attraverso la sussunzione della sua condizione sotto una regola generale data» (KGS IX, 120, corsivo mio). Si ricordi che, nell’Analitica trascendentale, Kant aveva presentato quella della modalità come una funzione logica del tutto particolare, che «ha come propria caratteristica quella di non contribuire in nulla al contenuto del giudizio» (A74/B99) e aveva presentato il giu- dizio necessario «come se il pensiero fosse […] una funzione […] della ragione» (A75/B100 nota)15. Già allora, quindi, la necessità veniva definita in funzione della ra- gione: tale definizione acquisisce piena intellegibilità nella Dialettica. In questo conte- sto, la premessa maggiore di un sillogismo esprime «la relazione […] tra una conoscen- za e la sua condizione» (A304/B361). Avendo appreso dalla tavola dei giudizi che una relazione può essere espressa in tre modi (cf. A70/B95), ciascuno dei quali corrisponde a una categoria (cf. A80/B106), Kant distingue al più tre forme di sillogismo: quello ca- tegorico, quello ipotetico e quello disgiuntivo (cf. A304/B361; cf. anche KGS II, 45-61 e IV, 330)16.
La teoria appena descritta si chiarisce con un esempio. Si consideri il giudizio «Caio è mortale». Lo si può desumere da un’esperienza (quella di apprendere la morte di Caio, ad esempio), tramite l’applicazione di un concetto («mortalità») al molteplice di
15 Esiste dunque, sin dall’Analitica, una stretta dipendenza della categoria della «necessità» dalla ra-
gione. Su questo aspetto cf. G. MARTIN, Kant’s metaphysics and theory of science, 179.
16 Si tenga presente che, nelle Lezioni di Logica, solo il sillogismo categorico è considerato
un’inferenza mediata, perché il sillogismo ipotetico esprime in realtà un’inferenza immediata e quello di- sgiuntivo consiste in un polisillogismo. Cf. I. KANT, Logik, KGS IX, 129-30.
un’intuizione spazio-temporale (la rappresentazione intuitiva di «Caio»). Le facoltà del- la conoscenza occupate in questa attività sarebbero l’intelletto e la sensibilità. Il mede- simo giudizio potrebbe essere derivato come conseguenza immediata da un altro, del ti- po: «Caio non è non mortale». Anche in questo caso, l’operazione dipenderebbe dall’intelletto. Infine, si potrebbe dedurre questo giudizio come conseguenza mediata a partire da una premessa, ad esempio: «tutti gli uomini sono mortali» (cf. A322/B378). In questo caso, l’attività dell’intelletto richiede la guida della ragione. Ci si dovrebbe, infatti, chiedere sotto quale condizione si può asserire che «Caio è mortale». La condi- zione potrebbe essere che Caio sia un uomo. Riportando la rappresentazione (concettua- le, in questo caso) di «Caio» sotto il concetto di «umanità», si sarebbe altrettanto auto- rizzati a ricondurla sotto quello di «mortalità». Il concetto di «mortalità» – come ogni altro concetto per Kant, puro o empirico che sia (cf. B134 nota) – esprime un’unità normativa, presuppone cioè una regola in base alla quale, affinché si possa predicare la «mortalità» della rappresentazione «Caio», bisogna poterla predicare anche di tutti i concetti che cadono sotto la rappresentazione «Caio», che cioè ne costituiscono l’intensione: ad esempio, il concetto di «uomo». La regola per l’applicazione del con- cetto di «mortalità» al concetto di «Caio» impone il verificarsi di una condizione, che Caio sia un uomo. Sotto questo rispetto, il giudizio «Caio è mortale» è condizionato dal- la regola «Tutti gli uomini sono mortali» e dunque vincolato all’ottemperamento della condizione, nel giudizio «Caio è uomo». Sussumendo il giudizio sotto la regola, la ra- gione è in grado di spiegare perché Caio è mortale, ovvero di fondare questa conoscen- za in maniera necessaria.
Con ciò, si è chiarita la funzione logica della ragione, ma non è ancora emerso in che modo le idee si originano a partire dai sillogismi né, di conseguenza, quale rapporto in- trattengano con le categorie. Fino a questo punto, sembrerebbe esserci una distinzione soltanto di grado tra ragione e intelletto: che, cioè, il lavoro della ragione, sebbene a un livello di maggiore complessità, sia, in fondo, riconducibile a quello dell’intelletto. La ragione, in questo senso, non sarebbe altro «che una facoltà subalterna, che a conoscen- ze date fornisce una certa forma – denominata forma logica – con la quale le conoscen- ze dell’intelletto vengono subordinate le une alle altre e le regole inferiori alle superio- ri» (A305/B362). Ma Kant non trascura la domanda se la ragione si possa anche «isolare» (A305/B362) e, in tal caso, se essa possa ancora «essere una sorgente autono- ma di concetti e giudizi che scaturiscono esclusivamente da essa e tramite cui essa stes- sa si rapporta agli oggetti» (A305/B362), ovvero «se la ragione in sé, vale a dire la ra- gione pura a priori, contenga principi sintetici e regole, e in che cosa mai consistano tali principi» (A306/B363).
1.2.2. Logica e trascendenza
Per avanzare su entrambe le questioni, quella sull’origine delle idee e, quindi, quella sulla ragione, bisogna compiere un passaggio dalla logica formale, che «astrae da ogni contenuto della conoscenza» (A299/B354 e cf. A55-6/B79-80), alla logica trascendenta- le, che considera la struttura sillogistica «qualora la si applichi all’unità sintetica delle intuizioni secondo la norma delle categorie» (A321/B378). Si ripete, così, il medesimo procedimento articolato per la deduzione delle categorie a partire dalla funzione logica dei giudizi (cf. A76-83/B102-9). In quel caso, tuttavia, l’uso logico dell’intelletto si era rivelato sufficiente per spiegare quello trascendentale e il passaggio dall’uno all’altro
era stato diretto. In questo caso, invece, l’uso logico della ragione costituisce un model- lo – una «intelaiatura» 17 – per comprendere quello trascendentale (cf. A306/B363), ma non è, di per sé, sufficiente (cf. A299/B356).
Per comprendere l’uso trascendentale occorre, in questo caso, recuperare una defini- zione più generale di «ragione», che Kant offre, sempre nell’Introduzione alla Dialetti-
ca, in una sezione di raccordo, premessa alle due dedicate, rispettivamente, all’uso logi-
co e all’uso trascendentale della ragione. Qui, facendo il paio con la descrizione dell’intelletto come facoltà delle regole (cf. A132/B171), Kant descrive la ragione «in generale» (A298/B355) come «facoltà dei principi» (A299/B356). Solo sulla base di questa definizione, tenendo cioè presente questa aspirazione connaturata alla ragione umana, si può spiegare la dinamica costitutiva della ragione nella sua funzione trascen- dentale e, insieme con essa, l’origine delle idee e la specificità della ragione rispetto all’intelletto18. A partire da questa definizione, diversamente dall’uso trascendentale dell’intelletto, quello della ragione può essere considerato – richiamando le definizioni della Dissertazione inaugurale (ove era attribuito all’intelletto, invece che alla ragione KGS II, 393-4) – «reale, nella misura in cui la ragione stessa contiene l’origine di certi concetti e principi, che essa non trae né dai sensi né dall’intelletto» (A299/B356)19. Mentre l’uso trascendentale dell’intelletto determina una «logica della verità» (A62/B87), l’uso trascendentale della ragione – nella misura in cui è reale, quindi «iper- fisico» (A63/B87) – genera di per sé una «logica della parvenza» (A61/B86 e A131- 2/B170-1), come si chiarirà nel seguito. Verità (cf. A57-61/B82-5), errore (cf. A260- 92/B316-49) e illusione si collocano, così, per Kant, tutti e tre sul piano trascendenta- le20. Se l’uso logico fosse stato di per sé sufficiente a fondare quello trascendentale, lo si sarebbe dovuto dichiarare altrettanto illusorio: l’aggiunta di una ulteriore premessa con- sente, invece, di preservare l’uso logico della ragione pur dichiarando illusorio quello trascendentale.
1.2.3. La ricerca dell’incondizionato
Kant riconosce che il concetto di «principio» può avere «un duplice significato» (A300/B356). In senso relativo (A301/B358), può fungere da principio ogni proposizio- ne universale, nella misura in cui essa «può servire come premessa maggiore di un sil- logismo» (A300/B356) pur non essendo un principio. In questo senso, ci si riferisce ai principi delle scienze empiriche, ai principi matematici e, infine, ai principi trascenden- tali dell’intelletto, trattati dalla seconda parte dell’Analitica trascendentale. In senso proprio e assoluto (A301/B358), invece, un principio è l’origine di una conoscenza, nel- la quale «conosco il particolare nell’universale mediante concetti» (A300/B357). Si trat- terebbe, nel lessico kantiano, di un giudizio sintetico puro, ma non a priori, poiché le condizioni di esso prescinderebbero, piuttosto che precedere, dai singoli casi dell’esperienza (a differenza delle scienze empiriche), dall’intuizione pura (a differenza della matematica), come anche da un’esperienza possibile in generale (a differenza dei
17 P. F. STRAWSON, Saggio sulla Critica della ragion pura, 145. 18 Cf. H. E. ALLISON, Kant’s transcendental idealism, 314-22.
19 Il parallelo tra l’uso reale dell’intelletto nella Dissertazione e l’uso reale della ragione nella prima
Critica è discusso da M. GRIER, Kant’s doctrine of transcendental illusion, 130.