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CARATTERE E AZIONE

2. Idealismo trascendentale

Alla luce di quanto detto, la tesi della «idealità trascendentale» (cf. A28/B44; A36/B53) dei fenomeni, ovvero il rapporto tra il fenomeno e la cosa in sé, assume un’importanza centrale per la comprensione del rapporto tra natura e libertà nella corni- ce del pensiero kantiano. Nel panorama contemporaneo delle interpretazioni dell’idealismo trascendentale, il dibattito si mostra estremamente complesso e frammen- tato9. Delle difficoltà nella comprensione di questa dottrina è responsabile non in picco- la parte una certa ambivalenza del testo kantiano, la quale si estende oltre la Critica del-

la ragion pura e richiederebbe un confronto della «dottrina ufficiale» articolata in

quest’opera – ammesso che ve ne sia una – con altri scritti posteriori ma anche, soprat- tutto, anteriori (si pensi alla Dissertazione inaugurale)10. Pur riconoscendo la parziale apertura del testo a una lettura ontologica della distinzione tra il fenomeno e la cosa in sé, mi preme sottolineare la possibilità – a mio avviso più promettente dal punto di vista scientifico, oltre che maggiormente simpatetica alla lettera dell’autore – di una lettura non ontologica. In questa prospettiva, la dottrina dell’idealismo trascendentale ricondur-

8 A. WOOD, «Kant’s compatibilism», 74.

9 Una ricostruzione aggiornata di questo dibattito è offerta da D. SCHULTING, «Kant’s idealism: the

current debate». In particolare, Schulting riferisce l’interpretazione metafisica classica a E. ADICKES, Kant und das Ding an sich. Una lettura alternativa è invece offerta, con particolare attenzione al problema della causalità noumenica, da G. PRAUSS, Kant und das Problem der Dinge an sich e, insistendo sul signi-

ficato epistemico della riflessione kantiana, da H. E. ALLISON, Kant’s transcendental idealism. Si ribadi-

sce l’impegno ontologico dell’idealismo trascendentale negli studi di Karl Ameriks e successivamente di Rae Langton, James van Cleve, Lucy Allais. Autori quali Robert Adams, Arthur Collins, Daniel Warren, Allen Wood e Tobias Rosefeldt suggeriscono una lettura disposizionale, nel solco di quella proposta da Allais. D’altra parte Paul Guyer, Robert Hanna, Kenneth Westphal forniscono una lettura critica dell’idealismo trascendentale, influenzata dai lavori di Peter Francis Strawson e Jonathan Bennett.

10 Per farsi un’idea della complessità di questa materia, basti pensare alla ricezione dei principali risul-

tati della Critica della ragion pura nel dibattito filosofico contemporaneo a Kant. Su questo tema cf. la raccolta antologica R. Ciafardone, La Critica della ragion pura nell’Aetas Kantiana, I, 1-68.

rebbe le condizioni di possibilità di un oggetto in generale a quelle della sua rappresen- tazione, fondando queste ultime nella natura discorsiva della conoscenza umana11. Al più tardi nella Critica della ragion pura, che in questo senso segna l’ultimo atto di una laboriosa riflessione di congedo della metafisica classica tedesca, emergono due tesi fondamentali sulle quali Kant mostra di fare affidamento come punti di partenza per l’argomentazione: (a) sensi e intelletto costituiscono due facoltà irriducibilmente distin- te e (b) la conoscenza umana richiede l’intervento congiunto di entrambi.

(a) La prima tesi, alla quale Kant sembrerebbe alludere quando scrive, in una delle sue Riflessioni, della «grande luce dell’anno ‘69»12, compare già in alcuni scritti pre- critici, ad esempio la Dissertazione inaugurale. Essa segna la distanza di Kant da autori classici della modernità per i quali le idee si definiscono in funzione delle impressioni sensibili (per il Kant della prima Critica, Locke e Hume ad esempio [cf. B127]) o vice- versa queste ultime in funzione delle idee («la filosofia leibniziano-wolffiana» [cf. A44/B61-2]). Fin dall’inizio della Dissertazione inaugurale Kant si riferisce invece alla «duplice genesi di quello [dell’oggetto della conoscenza] dalla natura della mente» (KGS II, 387), ciascuna governata da specifiche regole: la legge della composizione e scomposizione dei concetti nella conoscenza intellettuale, le condizioni spazio- temporali della sensazione (nel linguaggio kantiano: «intuizione» [cf. KGS II, 387]) nel- la conoscenza sensibile. Nello stesso testo Kant definisce sensibilità e intelletto, pur mostrando di non aver ancora distinto in senso tecnico trascendentale i termini intellec-

tus e ratio:

La sensibilità è la recettività del soggetto, per mezzo della quale si rende possibile che la fa- coltà rappresentativa dello stesso sia in qualche modo affetta dalla presenza di un qualche oggetto. L’intelletto (razionalità) è la facoltà del soggetto, per mezzo della quale è possibile rappresentare quelle cose che non possono pertenere al senso per la sua conformazione (KGS II, 392).

Oltre a prendere le distanze dalle filosofie della modernità e, in particolare, dalla tra- dizione metafisica tedesca13, separando la facoltà sensibile da quella intellettiva, Kant abbandona definitivamente il progetto, da lui stesso sostenuto nei suoi primi componi- menti accademici, di un metodo comune per le scienze matematiche, fisiche e naturali da una parte e la metafisica dall’altra14. Come è stato ricordato nella risoluzione della

11 In questo e nel prossimo paragrafo seguo la ricostruzione di H. E. ALLISON, Kant’s transcendental

idealism, 3-73.

12 «Ich sahe anfänglich diesen Lehrbegriff wie in einer Dämmerung. Ich versuchte es ganz ernstlich,

Satze zu beweisen und ihr Gegenteil, nicht um eine Zweifellehre zu errichten, sondern weil ich eine Illu- sion des Verstandes vermutete, zu entdecken, worin sie stärke. Das Jahr ’69 gab mir großes Licht». I. KANT, Refl.5037, KGS XVIII, 69. Per una disamina delle interpretazioni cf. G. GOTZ, «Kants “grosses

Licht” des Jahres ‘69».

13 «Ex hisce videre est, sensitivum male exponi per confusius cognitum, intellectuale per id, cuius est

cognitio distincta. […] Possunt autem sensitiva admodum esse distincta et intellectualia maxime confusa. […] Nihilo tamen secius harum cognitionum quaelibet stemmatis sui signum tuetur, ita, ut priores, quan- tumcunque distinctae, ob originem vocentur sensitivae, posteriores, utut confusae, maneant intellectua- les». I. KANT, De mundi sensibilis atque intellegibilis, KGS II, 394-5.

14 «In omnibus scientiis, quarum principia intuitive dantur, vel per intuitum sensualem (experientiam),

vel per intuitum sensitivum quidem, at purum (conceptus spatii, temporis et numeri), h. e. in scientia naturali et mathesi, usus dat methodum [...] Verum in philosophia pura, qualis est metaphysica, in qua usus intellectus circa principia est realis, h. e. conceptus rerum et relationum primitivi atque ipsa axiomata

terza antinomia, l’Introduzione alla Logica trascendentale offre una sistemazione defi- nitiva alla distinzione tra sensibilità e intelletto, riconducendo la prima alla facoltà della ricettività e il secondo alla facoltà della spontaneità (cf. A50-1/B74-5), mentre il Libro

Primo della Dialettica trascendentale distingue l’intelletto dalla ragione (cf. A298-

302/B355-60).

(b) La seconda tesi viene esplicitata soltanto nell’Introduzione alla Logica trascen-

dentale, ove Kant sostiene che

nessuna di queste due proprietà va anteposta all’altra. Senza sensibilità nessun oggetto ci verrebbe dato, e senza intelletto nessun oggetto verrebbe pensato. I pensieri, senza contenu- to, sono vuoti; le intuizioni, senza concetti, sono cieche. E perciò, come è necessario rendere sensibili i propri concetti (vale a dire aggiungervi l’oggetto nell’intuizione), altrettanto ne- cessario sarà rendersi intellegibili le proprie intuizioni (vale a dire portarle sotto i concetti) (A51/B75)15.

La conoscenza è siffatta da richiedere che qualcosa venga dato a conoscere: nel lin- guaggio tecnico kantiano, un giudizio comprende sempre una «rappresentazione data, la quale ultima viene riferita immediatamente all’oggetto» (A69/B93). La facoltà di rife- rirsi immediatamente a oggetti è l’intuizione (cf. A19/B33). Come già nella Disserta-

zione inaugurale (cf. KGS II, 396-7), anche nella prima Critica Kant ribadisce che

l’intuizione umana non può che essere spazio-temporale (cf. A26-7/B42-3; A35/B52 ma soprattutto A68/B93) e mai intellettuale. Da questa condizione seguono due fatti rile- vanti per la conoscenza umana. Da una parte, il riferimento all’oggetto è consentito da un’intuizione sensibile, ovvero spazio-temporale (cf. A19-20/B33-4). D’altra parte, il ri- ferimento al molteplice di un’intuizione da parte dell’intelletto avviene sempre in ma- niera discorsiva, tramite concetti (cf. A68/B93). La descrizione kantiana della cono- scenza sembrerebbe implicare, cioè, che l’intelletto umano operi secondo precise funzioni concettuali, ma anche che il molteplice gli sia fornito in maniera conforme, in modo tale che esso possa sussumerlo sotto concetti: in altri termini, tale descrizione pre- supporrebbe che anche la sensibilità operi in una maniera in qualche modo finalizzata alle operazioni dell’intelletto16. Quelle finora descritte come conseguenze della natura discorsiva della conoscenza umana – la necessità di un riferimento all’intuizione spazio- temporale, la natura concettuale del lavoro dell’intelletto – costituiscono altrettante «condizioni epistemiche»17 di un oggetto in generale, condizioni cioè sotto le quali sol-

per ipsum intellectum purum primitive dantur, et, quoniam non sunt intuitus, ab erroribus non sunt immunia, methodus antevertit omnem scientiam, et, quidquid tentatur ante huius praecepta probe excussa et firmiter stabilita, temere conceptum et inter vana mentis ludibria reiiciendum videtur». I. KANT, De

mundi sensibilis atque intellegibilis, KGS II, 410-11.

15 Entro la seconda parte della deduzione trascendentale delle categorie, Kant ribadisce: «Allein von

einem Stücke konnte ich im obigen Beweise doch nicht abstrahieren, nämlich davon, dass das Mannigfal- tige für die Anschauung noch vor der Synthesis des Verstandes, und unabhängig von ihr, gegeben sein müsse». I. KANT, Kritik der reinen Vernunft, B145.

16 Cf. cf. H. E. ALLISON, Kant’s transcendental idealism, 14. Sull’interpretazione di spazio e tempo

come «intuizioni formali» cf. H. E. ALLISON, Kant’s transcendental idealism, 112-116. Sulla funzione

«proto-concettuale» degli schemi trascendentali e sul ruolo dell’immaginazione cf. ivi, 204-18.

17 «By an epistemic condition is here understood a necessary condition for the representation of ob-

jects, that is a condition without which our representations would not relate to objects or, equivalently, possess objective reality». H. E. ALLISON, Kant’s transcendental idealism, 11. Allison le distingue dalle

tanto qualcosa può divenire per noi un oggetto di conoscenza. Ora, secondo Kant «le condizioni della possibilità dell’esperienza in generale sono al tempo stesso condizioni della possibilità degli oggetti dell’esperienza» (A158/B197): un contenuto che, cadendo al di fuori di esse, non assumesse per noi alcuna rilevanza cognitiva, non potrebbe costi- tuire alcun oggetto. In altri termini, nelle condizioni epistemiche dell’oggetto Kant rin- traccia le «condizioni oggettivanti»18 dell’esperienza. È dunque alle condizioni di possi- bilità della conoscenza dell’oggetto che ci si riferisce quando si parla dell’oggetto.

In questa cornice interpretativa, la distinzione trascendentale dovrebbe essere intesa «come pertinente a due modi di considerare le cose: come appaiono e come sono in sé stesse»19, piuttosto che a due classi di enti ontologicamente distinti. Ciascuno dei due modi potrebbe essere riferito a una situazione epistemica, contraddistinta da un metodo: considerare le cose come appaiono significa considerarle come oggetti di un’esperienza in generale, ovvero relativamente alle condizioni che descrivono la natura discorsiva della nostra conoscenza; considerarle in sé significa, invece, considerarle indipendente- mente da tali condizioni, come possibili oggetti di un’ipotetica conoscenza pura, distinta dalla nostra «nel tipo, non solo nel grado»20. Ora, se considerassimo quello dei fenome- ni e quello delle cose in sé come due mondi separati, ontologicamente distinti, dovrem- mo rinunciare a diverse parti della filosofia critica kantiana perché incoerenti, o poco significative. Nell’interpretazione meno caritatevole i fenomeni andrebbero a coincidere con aspetti mentali, esclusivamente soggettivi21. L’approccio fin qui descritto, invece, consentirebbe di riconoscere su solide basi la dignità ontologica dei fenomeni, fonda- mentale per lo sviluppo delle scienze empiriche, ma anche di rintracciare nei fenomeni della natura una costitutiva apertura a una dimensione ulteriore, nella quale ci sia posto per la moralità e per la libertà. Riferendosi alla distinzione trascendentale, la risoluzione della terza antinomia e la teoria dei caratteri costituirebbero il tentativo estremo di con- ciliare in una visione unificata la dimensione naturale e quella razionale dell’agire dell’uomo. È in questo senso che la Critica della ragion pura getterebbe le basi per la filosofia trascendentale morale.

Due questioni rimangono ora da affrontare, entro la cornice di un’interpretazione non ontologica dell’idealismo trascendentale. Da una parte, la nozione del carattere intelle- gibile e quella della libertà richiedono che si spieghi in che modo si possa applicare la categoria causale a qualcosa che appartiene al mondo noumenico. Dall’altra, la nozione del carattere empirico e quella della natura richiedono di spiegare in che cosa consista la causalità per il mondo fenomenico. In quello che rimane di questo capitolo, cercherò di

ruolo dell’abitudine per la costituzione di una credenza nella teoria di Hume – descriverebbe un meccani- smo della mente tramite il quale un oggetto si costituirebbe per noi come tale. Con una condizione psico- logica, una condizione epistemica condividerebbe il fatto di essere «soggettiva», ma se ne distanzierebbe per il fatto di avere una funzione «oggettivante». Una condizione ontologica, alla quale Allison riconduce le nozioni di «spazio» e «tempo» concepite da Newton, descriverebbe le condizioni di possibilità dell’esistenza di un oggetto. Con una condizione ontologica, una condizione epistemica condividerebbe il fatto di essere «oggettivante», ma se ne differenzierebbe per il fatto di avere uno statuto soggettivo.

18 H. E. ALLISON, Kant’s transcendental idealism, 11. 19 H. E. ALLISON, Kant’s transcendental idealism, 16. 20 H. E. ALLISON, Kant’s transcendental idealism, 17.

21 Cf. ad esempio P. GUYER, Kant and the claims of knowledge, 297-329. In queste pagine l’autore in-

terpreta il rifiuto dell’idealismo (empirico cartesiano) come prova decisiva dell’idealismo trascendentale, sulla premessa implicita che esso debba mostrare l’indipendenza dei fenomeni dalla mente del soggetto.

articolare entrambi questi temi. Questo comporta di addentrarsi in alcune tra le più complesse parti della filosofia trascendentale kantiana, come la «deduzione trascenden- tale» delle categorie, la distinzione tra «fenomeno» e «noumeno», lo «schematismo» trascendentale.