CARATTERE E AZIONE
3. Un Kant davidsoniano, secondo Ralf Meerbote
3.3. Autonomia, eteronomia, spontaneità dell’azione
Quanto detto sulla motivazione morale è alla base delle determinazioni autonome della volontà, nelle quali le azioni sono completamente controllate dalla ragione: in ciò risiederebbe il concetto positivo di «libertà». Il caso più interessante è tuttavia quello delle determinazioni eteronome, riconducibili anch’esse secondo Meerbote alla sponta- neità dell’arbitrio79. Uno studio della «spontaneità eteronoma» chiarisce dunque il signi- ficato del concetto negativo di «libertà».
Il caso per l’attribuzione di un’assoluta spontaneità è creato nell’uomo dalla sua ca- pacità di deliberazione. Riferendosi alla distinzione kantiana tra arbitrio bruto e arbitrio sensitivo, Meerbote osserva che negli animali mancherebbe la ragione sufficiente per ipotizzare che essi si determinino spontaneamente. Pur potendo loro accordare una mi- nima capacità rappresentativa proposizionale – una forma di coscienza, di linguaggio e così via – mancherebbe loro la capacità di elaborare razionalmente preferenze tra le mo- tivazioni dell’agire80. Meerbote ha altrove definito l’arbitrio come la facoltà di determi- narsi in base ai desideri: affinché questo non sia patologicamente necessitato si richiede una «scelta che coinvolga pro-attitudini proposizionali e credenze organizzate in rela- zioni mezzo-fine»81.
Due ragioni giustificano il fatto che la capacità di deliberazione richieda una assoluta spontaneità. La prima, intuitiva, è che per Kant «la libertà [e la spontaneità] semplice- mente coincidono con la capacità di prendere delle decisioni basate su deliberazioni»82. La seconda, filosofica, consiste nella riflessione secondo la quale nel testo kantiano «quelle azioni che sono più che semplicemente eteronome sono coscienti»83. In altri termini, ogni atto di deliberazione implicherebbe per Kant una coscienza in e di quell’atto, dei suoi contenuti e del soggetto deliberante: per la seconda volta, ci si riferi- sce all’esperienza cognitiva per spiegare concetti che trovano il loro impiego in quella pratica.
Che l’arbitrio umano sia patologicamente affetto ma non necessitato implica così una certa indipendenza dagli impulsi sensibili, che è misura della spontaneità nelle determi- nazioni eteronome ovvero del concetto negativo della libertà di agire. Tale indipendenza potrebbe essere interpretata, piuttosto che come negazione di ogni forma di determina- zione causale, come negazione di almeno alcune descrizioni causali (quelle condotte se- condo la seconda analogia dell’esperienza), sebbene ne rimangano in vigore altre (la ra- zionalizzazione dell’azione secondo il modello desiderio-credenza), che l’autore definisce «descrizioni non-determinanti»84. L’interpretazione di Meerbote si fonda su un’accurata distinzione tra un’azione «che violi le leggi causali» e una «sotto una de- scrizione non spiegabile tramite leggi causali»85, sebbene quest’ultima non le violi: in base a questa distinzione, senza implicare che l’azione si sottragga alle leggi dell’esperienza (e risulti, in questa prospettiva, arbitraria), la razionalizzazione
79 «Autonomy is one, but only one, form of spontaneity, with heteronomous spontaneity (as we may
call it) as another type». R. MEERBOTE, «Kant on the non-determinate character of human actions», 143.
80 Cf. R. MEERBOTE, «Kant on the non-determinate character of human actions», 144. 81 R. MEERBOTE, «Wille and Willkür in Kant’s theory of action», 71.
82 R. MEERBOTE, «Kant on the non-determinate character of human actions», 147. 83 R. MEERBOTE, «Kant on the non-determinate character of human actions», 147. 84 R. MEERBOTE, «Kant on the non-determinate character of human actions», 145. 85 Cf. R. MEERBOTE, «Wille and Willkür in Kant’s theory of action», 76.
dell’azione costituirebbe una forma di determinazione causale alternativa e irriducibile a quella espressa da una necessitazione patologica da parte di impulsi sensibili e, in que- sto senso, essa costituirebbe una descrizione non-determinante dell’azione.
L’articolazione di eteronomia e spontaneità viene ulteriormente chiarita attraverso la distinzione tra volontà [Wille] e arbitrio [Willkür]. La volontà esprimerebbe una facoltà legislativa, in grado di connettere desideri orientati verso un fine a credenze circa le re- lazioni mezzo-fine e capace, in questo modo, secondo Meerbote, di accogliere anche motivazioni empiriche. L’arbitrio costituirebbe invece la facoltà esecutiva della scelta, responsabile della deliberazione e, in questo senso, osserva sempre lo studioso, esso sa- rebbe capace di una assoluta spontaneità86. Posta questa distinzione, Meerbote definisce la concezione kantiana della libertà, in senso negativo, come assenza di determinazioni (del tipo descritto dalla seconda analogia dell’esperienza) sull’arbitrio, quindi anche come assenza del controllo – nel senso proprio del termine – della ragione sulla volon- tà87. Così definita, la libertà intesa in senso negativo costituirebbe una componente ne- cessaria della libertà in senso positivo: è solo per il fatto che l’arbitrio delibera in en- trambi i casi in assenza di ulteriori determinazioni che tanto l’uso empirico quanto quello puro della ragione pratica possono considerarsi liberi. Secondo Meerbote, un’azione libera potrebbe definirsi come una «libertà in senso negativo, presa insieme alla determinazione di un’adeguata miscela di quanto è eteronomo e quanto è autonomo secondo il modello esplicitato»88. Per quale ragione si rende necessario, al fine di garan- tire l’assoluta spontaneità dell’arbitrio, sottrarlo non soltanto alle determinazioni natura- li ma anche al controllo della ragione? Questa interpretazione del significato negativo della libertà sembrerebbe scaturire dalla natura empirica, non trascendentale, della cor- nice concettuale entro la quale lo studioso sembrerebbe collocare la propria concezione della volontà: in questa cornice, infatti, ogni ragione dell’azione sarebbe incomprensibi- le se non costituisse allo stesso tempo una «determinazione» e quindi l’assenza di de- terminazione comporta anche l’assenza di ragioni. Ciò non equivale a dimostrare, tutta- via, che anche Kant si muova entro la medesima cornice concettuale e ancor meno, pertanto, che egli abbia bisogno di postulare l’indipendenza dell’arbitrio dalla determi- nazione della volontà, al fine di garantirne la libertà nel senso negativo.
La spontaneità di tipo eteronomo richiede una motivazione empirica, del tipo descrit- to nel paragrafo precedente: alla luce di quanto detto, «almeno una delle sue componen- ti […] è patologicamente necessitata e almeno un’altra delle sue componenti […] non può essere patologicamente necessitata»89. Al contrario, la spontaneità di tipo autonomo comporta che nessuna delle sue componenti sia patologicamente necessitata. Secondo la classificazione appena introdotta, gli atti realizzati da esseri non-viventi e animali sa- rebbero del tutto eteronomi e niente affatto spontanei. Le azioni che scaturiscono da un arbitrio umano, al contrario, presuppongono sempre una misura di spontaneità: nel caso fossero anche determinate dalla sola ragione – quella che Meerbote contraddistingue con il termine di «ragion pura pratica»90 – sarebbero completamente autonome; nel caso
86 Cf. R. MEERBOTE, «Kant on the non-determinate character of human actions», 71. 87 Cf. R. MEERBOTE, «Kant on the non-determinate character of human actions», 146. 88 R. MEERBOTE, «Kant on the non-determinate character of human actions», 146. 89 R. MEERBOTE, «Kant on the non-determinate character of human actions», 145. 90 R. MEERBOTE, «Kant on the non-determinate character of human actions», 143.
fossero determinate parzialmente dalla ragione – «ragione pratica empirica»91 – e par- zialmente dai sensi, sarebbero in parte autonome e in parte eteronome. Nel caso delle azioni umane, la determinazione eteronoma non esclude l’autonomia ma la presuppone, nella misura in cui si tratta pur sempre di una determinazione spontanea. Distinguendo tra due accezioni della spontaneità, come della facoltà di scelta, Kant porrebbe le condi- zioni per strutturare una «teoria unificata dell’azione»92 e della volontà, coniugando l’elemento sensibile con quello razionale.