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CARATTERE E AZIONE

2. Anomalia del mentale: la «linea kantiana» secondo Donald Davidson

2.2. Kant letto da Davidson

La possibilità di iscrivere la propria teoria nel solco della tradizione kantiana si fonda su due premesse, l’una implicita e l’altra esplicita. In primo luogo, l’argomentazione sottintende che quelle che Kant nella terza antinomia della ragion pura tratta come azio- ni umane (cf. A546/B574) si possano interpretare quali eventi mentali. La definizione di «evento mentale» merita a questo punto un chiarimento. Secondo Davidson, gli eventi sono «individui irripetibili e collocati nel tempo»39 come, ad esempio, «la morte del presidente Kennedy» o «la rottura della diga del Vajont»: eventi in generale come, ad esempio, «la morte di una persona» o «la rottura di una diga», sono presi in considera- zione soltanto nella misura in cui si possono ricondurre a eventi individuali; lo stesso vale per gli eventi intesi come processi, come stati o come attributi di una sostanza co- me, ad esempio, «il lento scioglimento del ghiacciaio del Monte Bianco», «l’attesa di un cane del suo padrone» o «l’atto di stendere il bucato della mia vicina». Per la prima ana- logia dell’esperienza, ritengo che la definizione kantiana di evento potrebbe rientrare in queste ultime classificazioni. Pur tenendo presente l’identità tra mentale e fisico, si può continuare a considerare un evento come mentale «se possiede una descrizione mentale, oppure [...] se c’è un enunciato mentale aperto che è vero soltanto di quell’evento»40. Consideriamo un evento individuale x: una descrizione aperta di questo evento («x = l’evento M») o un enunciato aperto che si riferisce ad esso («l’evento x è M») si defini-

35 D. DAVIDSON, «Eventi mentali», 286-7. «che qualcuno abbia fatto affondare la Bismarck implica

che ha mosso il proprio corpo in un modo causato da eventi mentali di certi tipi […] e che il movimento corporeo ha causato a sua volta l’affondamento della Bismarck». Ivi, 286.

36 D. DAVIDSON, «Eventi mentali», 295. 37 D. DAVIDSON, «Eventi mentali», 287.

38 D. DAVIDSON, «Eventi mentali», 287. Cf. anche ivi, 307. 39 D. DAVIDSON, «Eventi mentali», 288.

scono mentali se e solo se l’espressione che sostituisce M contiene in modo essenziale un verbo mentale. Sono verbi mentali quelli che designano atteggiamenti proposiziona- li: sapere, desiderare, credere, volere e così via. Ora, che questi verbi siano contenuti in modo essenziale in una descrizione o in un enunciato significa che essi sono impiegati in un senso non estensionale, ovvero in un modo che che non sia a sua volta riconduci- bile a una traduzione in termini estensionali. Che una descrizione mentale o un enuncia- to, di per sé aperti, siano veri solo di un certo evento, equivale a considerarli chiusi ri- spetto a quell’evento individuale41. Sono dunque mentali, per Davidson, quegli eventi individuali che possono essere descritti o di cui si può parlare in termini strettamente mentali. Avendo ricondotto i termini mentali a quelli che esprimono atteggiamenti pro- posizionali, possiamo quindi altresì ritenere mentali tutti quegli eventi descrivibili in termini di «intenzionalità»42. Se ad esempio Aldo desidera mangiare una mela, l’evento (e solo quell’evento) soddisfa la descrizione aperta: «x=desiderio di Aldo di mangiare una mela» e l’enunciato aperto «l’evento x è il desiderio di Aldo di mangiare una me- la». Descrizione ed enunciato contengono entrambi, in maniera essenziale, il termine proposizionale (ovvero intenzionale) del «desiderio». Secondo quanto stabilito da Davi- dson, questo sarebbe un evento mentale.

La definizione del mentale si traduce dunque in una descrizione, difendere la cui spe- cificità costa allo studioso non poche energie. In primo luogo, egli riconosce la possibi- lità sempre aperta di descrivere ogni evento fisico in termini mentali: per ogni descri- zione estensionale (poniamo l’eruzione di un vulcano), potrebbe sempre essercene un’altra che la ridescriva in termini intenzionali (il mio apprendere che quel vulcano ab- bia eruttato). D’altra parte, questo non sembra costituire un problema per l’autore, il quale si è di fatti dichiarato interessato a mostrare che almeno alcuni eventi possono dir- si mentali43. Più problematico è, invece, mostrare che gli eventi mentali non siano del tutto riducibili a eventi fisici: e questo è appunto lo scopo del saggio. Ammesso che la teoria di Davidson, almeno teoricamente, non comporti una completa riduzione del mentale al fisico, altra cosa sarebbe mostrare che le azioni umane di cui Kant tratta nella terza antinomia della ragion pura possano tradursi in termini di «eventi mentali» davi- dsoniani: da una parte, sarebbe possibile ricondurre a un certo lessico kantiano del men- tale la tipologia dell’esperienza interna, la quale sarebbe però interamente sottoposta al- le categorie e ai principi trascendentali dell’intelletto (cf. ad esempio B407) – in questo senso, Kant sarebbe più fisicalista di Davidson – e solo in base a un principio soggettivo dell’indagine empirica ammetterebbe spiegazioni finalistiche oltre che meccaniche (KGS V, 318); d’altra parte, la concezione kantiana dell’azione – e particolarmente il ri- ferimento alle nozioni di «causalità» e di «facoltà» (cf. A538/B566 e ss.) – sembra esse- re più ampia della concezione davidsoniana degli «eventi mentali». Il problema del pa- ragone con Kant sarebbe quindi, anzitutto, nella premessa implicita per cui la nozione kantiana delle «azioni» sarebbe congruente con quella davidsoniana degli «eventi men- tali».

La seconda premessa problematica, questa volta esplicitata dall’autore, è quella per cui anche «Kant pensava che la libertà implichi l’anomalia»44. Davidson distingue infat-

41 Cf. D. DAVIDSON, «Eventi mentali», 289. 42 D. DAVIDSON, «Eventi mentali», 290. 43 Cf. D. DAVIDSON, «Eventi mentali», 290-1. 44 D. DAVIDSON, «Eventi mentali», 286.

ti, rispetto alle azioni, il concetto di «autonomia», intendendo con ciò una capacità di autoregolazione, da quello di «anomalia» e ascrive al filosofo di Königsberg, come a sé stesso, la seconda oltre che la prima. Dal momento che Davidson non offre una defini- zione positiva esplicita dell’anomalia, oltre a quella, negativa, della non-riducibilità de- gli eventi mentali a quelli fisici, rimane aperta la questione se nell’attribuire la stessa a Kant egli volesse interpretare come «anomalia» l’assoluta spontaneità propria della li- bertà trascendentale, per il qual compito, a dire il vero, tale anomalia (presumibilmente, la riconducibilità a una diversa descrizione) si rivelerebbe insufficiente, come è stato appena mostrato, o meglio essa calzerebbe soltanto alla concezione kantiana del «carat- tere empirico» e al tipo di libertà associata a quest’ultimo, ovvero alla non riducibilità della dimensione psicologica a quella fisica, ma non sarebbe adeguata a identificare il carattere intellegibile.

Soltanto se riuscissimo ad adattare la concezione kantiana a queste premesse, po- tremmo effettivamente riconoscere che la questione del rapporto tra determinismo e li- bertà costituisce un «caso particolare»45 della questione generale dell’anomalia degli eventi mentali.